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TESTO Il Poeta e il Fanfarone: parole a confronto

don Marco Pozza  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/06/2015)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Fu l'uomo delle parole folli e bambine. Un giorno glielo dissero apertamente: «Tu solo hai parole di vita eterna». Fu la risposta alla sua domanda: «Volete andarvene anche voi?» Che era come dirgli tra le righe: "Tu solo sei capace di parlare al nostro cuore. Dove vuoi che andiamo lontani da Te?" Gli restano addosso, Lo calcano ovunque, s'appartano con Lui: quel suo parlare scarnificato ed elegante è come una riva verso la quale cercare l'approdo per salvarsi. Parole strane quelle del Rabbì. A sfidarle con la logica di quaggiù sembrano insulse, mezze storte, sbilenche: più una consolazione per anime afflitte che arnesi per uomini tutti d'un pezzo. Eppure son parole di fuoco, misteriose, dense di umanità. Non promettono l'eternità, fan molto di più: nella terra dell'effimero innestano un senso verso l'eterno. Parlano della terra in maniera diversa, più densa, quasi sopraffine. Sono parole di poeta: quelli che sanno vedere l'esistenza in una buccia di banana, il senso del vagare in un granello di sabbia, le tracce del Regno in una misura di lievito o in un chicco di grano. In un granello di senape, un misura da microscopio.

Eccolo il Regno di Dio: «E' come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Ai discepoli quelle parole piacciono assai, restano ad ascoltarlo anche quando la tentazione d'andarsene è alle stelle. Gli danno fiducia anche quando lo sbruffone di Lucifero pubblicizza parole più veloci, in presa diretta, senza fatica. Le accettano, eppur sono urtati da esse: li sconvolgono, si stupiscono, anche s'infastidiscono ad ascoltarle di petto e di getto. Sono poche le parole dei Vangeli: il Regno è vicino, mutate le anime, fate presto. Le solite parole da millenni a questa parte. Eppure quando cadono in uomini ben disposti - in piccoli che vogliono diventare grandi, in giusti che vogliono diventare santi, in peccatori che mai s'arresero alle loro miserie - quelle parole mettono radici. Gemme e fiori. Fanno loro nuove le teste e il modo d'immaginare la storia.

Marco lo apre così il suo Vangelo, come il più navigato dei romanzieri: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Compiuto è il tempo: ciò che toccava al Cielo è stato mantenuto. Vicino è il regno: tocca all'uomo adesso scegliere il da farsi. Cristo ha preso l'iniziativa: ha bussato. D'ora in poi attenderà, sull'uscio. Rimarrà di passaggio Dio: intercettarlo è salvarsi. Distrarsi è dannarsi. Vederlo è capottarsi dallo stupore. Eccole le parabole: più che un trattato d'altissima teologia somigliano al collirio per gli occhi. Li guariscono, ne tolgono le occhiaie smunte, li aiutano a cogliere meglio i piccoli particolari. Permettono loro di vedere ciò che è già presente piuttosto che promettere qualcosa che verrà: li allenano a decifrare nell'infinitamente piccolo l'esordio dell'immensamente grande. Rimangono ancor oggi le parole di un Viandante cortese: "Il mondo sta cambiano, non vedete gente?" L'avversario, quello sbruffone e smargiasso, s'incaponisce a dire che il mondo cambierà. E' il suo trucco per maledire il presente, rimandando tutto al futuro: Dio dice bene del presente, lo benedice, ne mostra il bello. "Guarda, non passare oltre, fermati. Vedi? Non è lo stesso: è poco, è piccolo, eppur vedrai come diventerà. Dagli tempo, accetta i suoi tempi". Il Regno sta maturando: «Quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Non prima: che non lo si colga ancora acerbo. Non dopo: che non si faccia i conti col frutto marcio per troppo sole. Appena è maturo: con la giusta cottura, a tempo debito. Proprio allora.

Parole che sanno di tempo e d'eterno: dell'Eterno che si gioca nel tempo. Parole di speranza: non che il mondo cambierà, che il mondo sta già cambiando, in meglio. Anche se quello Sbruffone alza la voce e dice che tutto questo è follia: "Come fate a credere ad un Dio. Peggio per lui: vive così male che solo a dargli credito ci si addossa l'odore delle cose scadute. Delle anime avariate e delle parole scontate (Amen).

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