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TESTO Bambini, non si gioca con il pane

don Marco Pozza  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B) (07/06/2015)

Vangelo: Mc 14,12-16.22-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 14,12-16.22-26

12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

26Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

La nonna era una signora dai lineamenti garbati. Nacqui quando lei aveva sessant'anni e da quel giorno mi sembrò che nulla fosse più cambiato in lei. In lei e nei suoi racconti cuciti addosso: il dopoguerra e le risaie del Piemonte, i fratelli da sfamare e il nonno al fronte, la casa da costruire e i figli da allevare. Per lei generare era narrare: favole, storie, frammenti di vita. Quando taceva, la sua era una narrazione silenziosa: con lo sguardo, con la postura, con quelle dita che filavano la tela a meraviglia. Parlava per detti, la grammatica della gente semplice ("E' la goccia continua che scava il sasso"); armeggiava l'acqua e la cenere per fare il bucato (stessi ingredienti della Quaresima); mentre tirava la pasta mi spiegava come faceva a fare i conti più veloci di una calcolatrice.

S'accoppiò col nonno, col suo baffetto sempre ben curato: un signore dai toni sommessi ma decisi. Alla sua sposa aveva dato amore e fiducia cieca: "E' una brava donna la nonna" ci disse tante volte. Mica uno zerbino, però: sapeva il fatto suo. E sapeva anche potare le viti come pochi altri: le sue mani, al tempo ella potatura e della vendemmia, andavano a ruba tra i campi del paese. Lui, tutto fiero, sembrava un imprenditore di successo: si pettinava prima d'andare nei campi. In paese aveva messo lui le fognature: tutte a mano, ci teneva a specificare. Mungendo le vacche e potando le viti, mi faceva catechismo. "Sta andando in amore" mi spiegava guardando un tralcio che lacrimava. "Questo non serve più, lo bruciamo" mi diceva di un altro che era secco. M'accorsi anni dopo che mi stava spiegando una delle pagine più naturali dei Vangeli: quella del tralcio che rimane attaccato alla vite e porta frutto; del tralcio che si secca e viene bruciato. Pagine di Vangelo tra i filari di viti: il catechismo di casa mia.

Qualche sera tiravano le orecchie a noi bambini: i motivi erano i più svariati. Mica ci mettevano acredine: era il loro modo d'educare alla vita i nipotini. Solo una sera ricordo bene che s'arrabbiarono all'inverosimile. Io e mio fratello ci divertivamo, da un capo all'altro della tavola, a tirarci le molliche di pane. Appena s'accorse, la nonna si voltò di scatto. E sembrò una rappresaglia: "Bambini, non si gioca con il pane". Fu l'unica volta che il nonno si spaventò, tanto s'era animata la sua sposa. Perché arrabbiarsi così per due molliche? A casa nostra tante frasi profumavano di pane: "Essere buoni come il pane, guadagnarsi il pane col sudore, vivere a pane e acqua, mangiare pane e lacrime". Il pane era un alimento, era anche un simbolo: si lavora per portare a casa il pane, dare il pane ai propri figli, il pane che manca. Io e mio fratello abbassammo lo sguardo e, pian piano, rimettemmo le molliche dentro il pane.

Anni dopo divenni sacerdote. Col vangelo in mano, una domenica m'apparve tra le righe quella semplice donna di mia nonna: «Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14,22). Anche lì parlavano di mangiare pane: una cosa seria quel pane se, di lì a poco, inizieranno a scriverlo con la maiuscola. Centrava quel Dio del quale i nonni mi parlavano mentre zappavano, mentre cucivano o facevano il bucato, mentre mungevano le vacche o andavamo a messa. Quel loro Dio - che divenne anche il mio tanto furono convincenti - amava parlare di Sè in prima persona, abbinandoci sempre cose familiari: "Io sono la luce, la strada, la vita, la verità, il pastore buono" Di più: «Io sono il pane della vita. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,45-47). Dio è il Pane: "Bambini, non si gioca con il pane".

Al mio paese nella Festa del Corpus Domini ancor oggi fanno processioni e gettano petali di rosa al passaggio della reliquia. Tutto come quand'ero bambino alle elementari. Ancor oggi, nel mezzo della messa, quando alzo l'Ostia consacrata - «Fate questo in memoria di me» - assieme al campanello che suona, sento l'eco della nonna: "Bambini, non si gioca con il Pane". Che nonna ho avuto! Altro che rimbrotto: quella sera mi fece una catechesi indimenticabile: "Bambini, non si gioca con il Cristo". Detto così, mentre preparava la cena.

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