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TESTO Così è il Regno

don Luciano Cantini  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/06/2015)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Così è il regno di Dio

Tre azioni costituiscono questa breve parabola: quella dell'uomo che getta, il seme che autonomamente cresce, la falce mandata; non l'uomo, il seme o la falce ma le azioni che a loro sono legate sono da leggere con attenzione. Capire qualcosa del Regno, sempre che sia possibile, significa entrare nella sua azione dinamica, nel costante divenire della storia, continuamente in trasformazione, mai uguale al passato e destinato a non rimanere tale nel futuro. Il Regno è negazione del tradizionalismo che tende a perpetuare se stesso con uno sguardo fisso al passato, piuttosto è affermazione di una Promessa sempre reiterata e sempre nuova. Poggiare l'attenzione sulle azioni ci libera dal ricercare di individuare i soggetti, l'uomo potrebbe rappresentare il cristiano, l'apostolo, Gesù o il Padre, quello su cui interessa riflettere il fatto che getta il seme. Questo verbo non ci richiama ad una azione mirata come il seminare, piuttosto un'azione casuale, senza controllo; in sostanza potremo dire che il Regno di Dio è buttato dove va va, senza un obiettivo preciso se non la terra; talmente sconsiderato è il gettare che non ci permette di individuare il luogo della caduta; in pratica ogni luogo è possibile custode del Regno. Non è il Vaticano o la parrocchia, né quella famiglia o quel convento, neppure quella associazione di volontariato o quel centro di solidarietà ogni luogo non è escluso dal custodire il seme del Regno. Possiamo avere un atteggiamento passivo come il dormire o attivo come il vegliare, non serve per capire, lo si capirà poi quando il seme germoglia e cresce.

Questa parabola ci mette davanti il mistero del Regno che è già una realtà concreta avvolta però dall'oscurità degli anfratti della terra, perché ha bisogno di sparire, rendersi invisibile per radicarsi, trasformarsi e poi, solo dopo, germogliare: come, egli stesso non lo sa.

C'è una spinta automatica della crescita che è imperscrutabile, esce fuori dal nostro controllo umano, così non ci è dato di stabilire quali siano i confini del regno perché in ogni dove, in un tempo che non conosciamo, spunterà un germoglio che darà il suo frutto, là dove non pensavamo e la nostra fantasia non era ancora giunta. Non illudiamoci per terreni che sembrano rigogliosi, né rammarichiamoci per quelli aridi, piuttosto ci viene chiesto rispetto per i tempi di Dio che non sono i nostri, per i luoghi della storia che non sono i nostri, per l'animo di ogni uomo chiamato, quando non sappiamo, a partecipare alla bella avventura del Regno. Riconoscere il Regno significa diventare discepoli di un Dio che abolisce i confini, le definizioni, la cittadinanza o la nazionalità per costituire una umanità nuova da cui nessuno può essere escluso.

Poi la falce sarà mandata, quando tutto sarà compiuto, allora e solo allora potremo riconoscere il frutto maturo pronto per la mietitura. Anche per l'Apocalisse la fine della storia è come una mietitura: Getta la tua falce e mieti; è giunta l'ora di mietere, perché la messe della terra è matura (Ap 14,14-16).

Con quale parabola

Gesù parla con immagini ricavate dalla vita agricola e campestre che ognuno deve rileggere con la propria esperienza. A vederla la senape sembra insignificante, tanto piccola e microscopica è la sua semente, ma quando la pianta cresce diventa riparo degli uccelli del cielo. Così la parabola ci invita ad andare oltre le apparenze ciò che sembra debolezza, povertà o fallimento potrebbe possedere una dinamica nascosta che deve essere attesa, scoperta e vissuta; è nel metodo di Dio iniziare da ciò che appare senza senso, piccolo, scartato, ultimo.

Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro (EG 198).

La parabola ci parla della piccolezza della nascita del regno e ci chiede di adeguare la nostra visuale della vita come quella della testimonianza cristiana alla sua natura. Ciò che le comunità cristiane hanno realizzato, pensato e costruito nella storia sembra contrastare con l'ideale di piccolezza raccontato dalla parabola. Papa Francesco (omelia del 11.06.2013) è consapevole che «si devono portare avanti opere della Chiesa» e che «alcune sono un po' complesse», ma bisogna farlo «con cuore di povertà, non con cuore di investimento o come un imprenditore».

Chi avrebbe mai pensato che da un semino piccolo piccolo potesse nascere un albero che diventa grande e rifugio per gli uccelli!

 

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