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TESTO Commento su Sap 1,13-15 2,23-24 2Cor 8,7-9 13-15 Mc 5,21-43.

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/06/2015)

Vangelo: Mc 5,21-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Se dovessimo dare un titolo a questa domenica potremmo definirla la domenica della vita, anche se all'apparenza il tema centrale sembrerebbe la morte, la sofferenza....
Ho in mente i passaggi di tanti cari, in famiglia o fuori famiglia, che hanno vissuto la morte, più o meno consapevolmente, più o meno con fede.
Alcuni aspetti che potrebbero "consolarci" sono che la morte quanto meno è l'unica cosa giusta della vita, perché quando arriva non guarda in faccia a nessuno; che ci piaccia o no, la sostanza reale è che il rapporto con la morte è unico, diretto, senza intermediari, al quale nessuno, e dico proprio nessuno, si può sottrarre; poi il come, il quando, il perché...beh, questa è tutta un'altra storia.
L'altro aspetto non di poco conto, è che si scrive "morte" e si legge "vita"; che poi sia una vita eterna o un'altra vita, questo ognuno lo vivrà sulla sua pelle, o meglio nel suo spirito. Per il credente c'è la "speranza" di una vita eterna, magari nell'amore di Dio, e per il non credente c'è la possibilità di "rivivere" in qualcun altro o qualcos'altro il suo post morte.
In tutti i due casi, per questo "pit stop" della vita, dobbiamo avere una buona dose di "fede" nel credere che chiusi gli occhi in questo mondo, poi li riapriremo, in forma metaforica, in qualcos'altro per continuare a vivere, per il semplice fatto che quello che turba gli animi non è il morire, ma non avere la certezza di cosa c'è dopo...
La cosa "buffa", se vogliano dirla così, è che la morte è il passaggio più "pubblicizzato" rispetto alla celebrazioni dei sette sacramenti della vita...siamo proprio dei bei sado/masochisti...quando mai abbiamo pubblicizzato, con adeguati manifesti o comunicati stampa esterni appiccicati sui muri, battesimi, comunioni, confessioni, cresime, matrimoni, unzione degli infermi e ordine sacro? Proviamo a rifletterci...
La morte non è un fatto privato, o meglio, se è vero che la morte tocca direttamente 1 sola persona, è anche vero che coinvolge una collettività, da quella familiare a quella civile e religiosa.
La morte è un tête à tête, con il proprio fisico ma anche con la propria mente e con il propri sentimenti. E' una relazione privilegiata "terminale", che presuppone una disponibilità; Cristo ne fa un cardine della sua vita pubblica, anche quando la gente mostra "incredulità", egli quasi non la considera, anzi, la prende quasi in giro: lasciatela tranquilla, dorme...!, oppure...chi mi tocca? con tutta la folla che preme da ogni parte per vederlo e toccarlo.
Cristo ancora una volta, in questa domenica, non si ferma alla fisicità, ma bensì va oltre...va nel profondo, nella relazione di fede, ne far mettere in gioco la persona diretta o chi lo circonda, fino alla professione di fede.
I testi domenicali ci raccontano che la morte è entrata nell'Uomo a causa del peccato, rendendolo quindi un "imperfetto terminale", ma che solo la medicina spirituale della fede può far guarire e/o far risorgere una persona.
San Francesco chiamava la morte "sora morte", nel senso di "sorella morte" e si sono sprecati fiumi di inchiostro per esaltarla o per smitizzarla. Mi piace riportare qui il testo che fu scritto in occasione della morte della splendida voce chiamata Whitney Huston:

"Ah morire così...per sfuggire al buio della mente. E aprire il varco al nulla...Mi perdo nell'incomprensibilità del vivere senza voler vivere. Ah morire così...bellissima e disperata...Voce sinuosa d'armonia di donna, risonante eccezionalità di talento che spedita sale su vette per precipitare, improvvisa di debolezza con toni lugubri di arresa... Ed è l'attimo neutro che invade sempre d'infelicità, come cancro inguaribile a devastare ragione d'usignolo che non apriva chiare ali, né voleva più gorgheggiare per la sua vita senza più amore di sé!"

Ogni commento lo lascio a voi personalmente.
E come possiamo collocare la morte e la sua sofferenza nel contesto della famiglia, della coppia, senza volerla esorcizzare?
Ricordo che quando è morta mia madre eravamo in vacanza in Sardegna, e nella notte del secondo giorno di vacanza telefona mio fratello dicendo semplicemente: "Mamma non c'è più!", non ha detto mamma è morta, oppure mamma ha smesso di soffrire...no "Mamma non c'è più!", senza lasciare spazio ad altro... Non un turbamento o scoppio di pianto, nel frangente, ma una fredda razionalità di gestire il momento, attraverso l'esecuzione di atti burocratici...e forse, ma senza forse, ho sofferto più per la morte della suocera, che ho sempre considerato una seconda mamma...due momenti uguali per due reazioni diverse...tutto dipeso dalla qualità della relazione, dalla sua intimità.
E' chiaro qui che gli atteggiamenti di fronte alla morte ed alla sofferenza variano nel tempo, nei e per i contesti, per le relazioni con le persone e delle persone, per cui difficilmente ognuno di noi è in grado di discernere se la reazione di fronte a questo misterioso evento è una sua, chiamiamola, "performance" emotiva originale, oppure tutto quanto sopra aiuta ad elaborare il momento di dolore esorcizzandolo, allontanandolo, annullandolo nella memoria della ritualità socio-culturale.
Pensiamo che tutto sommato alla fine la questione non è dare un senso alla morte, ma dare un senso al suo dopo...viviamo per questo...perché come ricorda un salmo biblico: "mille anni per te, o Signore, sono come un giorno; soffi e vivo, soffi e muoio...", ma questo è solo il momento, è la separazione tra l'essere e non l'essere, in un soffio...ma dopo?
Ci piace concludere ricordando "Oscar e la dama in rosa", che è una breve storia di un bambino di dieci anni colpito dalla leucemia. Oscar, su suggerimento della dama in rosa, scrive delle lettere a Dio, che portano il lettore attraverso le stagioni della vita, quali quella delle scoperte, dell'amore, delle riflessioni ecc. Scrive fino a all'ultimo, fino a quando chiude gli occhi al mondo, ma prima di lasciare questo mondo lascia sul comodino un biglietto, un'avvertenza: "Solo Dio ha il diritto di svegliarmi"!

Riflessioni:
- Come singolo e cristiano come mi rapporto al passaggio dalla vita alla morte?
- Come coppia o famiglia come elaboriamo la sofferenza, il dolore, la morte, con passività e fatalismo o con coraggio e forza fidandoci della Parola di Dio?
- Come Comunità o Chiesa, sappiamo accompagnare la vita cristiana vivendola con speranza, nel servizio del prossimo e nella fiducia che nulla termina ma tutto continua nell'amore infinito di Dio?

Famiglia Maria Grazia e Claudio Righi - Cpm di Pisa

 

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