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TESTO Contro la banalità del male

mons. Antonio Riboldi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/10/2002)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Dire che siamo sconcertati da quello che avviene in questi giorni, è dire poco. Non ci si rende conto di come ragazzi di tenera età ritengono un gioco violentare ed uccidere una loro coetanea con cui chissà quante volte avranno condiviso la compagnia e l'allegria.

Non ci si rende conto di come un uomo non riesca a dominare l'odio, a lungo covato e represso, e faccia una strage della propria famiglia e dei vicini: come fosse una fiction televisiva.

A leggere le cronache, si arriva a filmare con telecamera interna la strage, come ad offrire alla gente lo spettacolo dell'odio e della morte.

E potremmo continuare nel triste rosario degli inferni dell'uomo che non sono solo tra noi, ma un poco dappertutto. Basta pensare alla strage di Bali; o al serial killer d'America che si diverte a cercare ed uccidere la vittima.

Viene sulle labbra la domanda: ma siamo ancora uomini o demoni? Cosa è avvenuto o sta avvenendo?

Qualcuno ha definito tutto questo come conseguenza della banalità del male: ossia l'uomo ha perso la coscienza del bene e del male, riducendo tutto ad esperienza da farsi, senza alcun rimorso, come se lui, e lui solo, fosse il Dio che decide su di noi.

Ed è proprio qui che bisogna tutti riflettere e convertirsi. La "banalità del male", come la "banalità del bene", o addirittura "la banalità della religione ossia dell'uomo che è figlio di Dio e come tale va amato", ha inizio dall'avere voluto cancellare dalla propria vita la necessità di mettere Dio al centro della propria esistenza, ovunque, dalla famiglia, alle istituzioni alla stessa scuola.

Il vero dramma dell'uomo moderno è quello di avere voluto stupidamente, cancellare la presenza di Dio dalla propria esistenza.

Dio è il "papà" che creandoci ha lasciato in ciascuno di noi le impronte della sua bellezza, ma ancora di più ha alitato in noi quello che Lui veramente è: l'Amore.

Non finiremo mai di dire che una vita senza amore non è vita: "è la banalità del male e del bene" che produce quello che abbiamo cercato di ricordare.

C'era un tempo - quando non esisteva un mal concepito "senso del progresso" - in cui l'ospite meraviglioso della famiglia era Lui, il Padre. E i nostri genitori avevano una pedagogia verso noi figli che sembrava attinta direttamente dal cuore di quel Padre.

Crescevamo con i difetti di tutti: ma certo non esisteva la banalità del male.

L'anello meraviglioso che teneva legato tutti noi, fino a fare della famiglia una meravigliosa chiesa domestica, preludio di quella futura in cielo, era il grande amore che diventava la scuola del bene, l'asilo della felicità, la regola del rispetto e dell'accoglienza del prossimo, chiunque fosse.

Il cosiddetto "progresso delle cose", ma non certamente dell'uomo, ha come eretto un altare all'egoismo, alla voglia di benessere, alla licenza di compiere ogni male, come se tutto questo fosse paradiso terrestre. E così, non solo si sgretolata la bellezza della famiglia, ma della scuola, dell'intera società.

Oggi il Signore, ci ricorda tutto questo. E la Sua Parola è Parola di vita eterna. Dice il Vangelo: "I farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?" Gli rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente.

Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti" (Mt.22,34-40).

Dio poteva darci altri comandamenti, fondati sulla sua potenza o autorità di creatore di tutte le cose. Ma Dio in questo comandamento rivelò la sua natura di Padre, che tutto fa e dirige solo per amore.

Quindi Lui, da cui tutti e tutto dipendiamo, è il solo grande Bene a cui l'uomo deve guardare per farsi modellare, amando, dalle sue ineffabili mani di padre, per essere poi simili a Lui.

E ha voluto che tra di noi non ci fosse altro debito direbbe l'Apostolo Pietro che quello di amarci, con tutto il cuore, come figli della stessa famiglia, la sua, e quindi fratelli. E l'amore di Dio è così presente nella vita di ciascuno, come del resto in piccolo dovrebbe essere l'amore di un papà o di una mamma, da ritenere tutto ciò che si fa ad uno di noi come fatto a Lui.

Questo ce lo sentiremo dire alla fine nel giudizio, quando nessuno di noi potrà sfuggire a Lui: un giudizio tutto fondato sull'amore. "Avevo fame, avevo sete, ero ammalato e mi avete dato da mangiare", "Venite benedetti del Padre mio nel Regno preparato per gli angeli e per voi, perché ogni volta fate questo ad uno di questi piccoli lo avete fatto a me".

Una, e non unica espressione dell'amore, è quella di cancellare quella che si chiama "banalità del male". L'amore restituisce le regole della vita e dello stare insieme, dalla famiglia, alla società, fugando ogni ombra di male.

Ma bisogna tornare a mettere al centro della vita il Padre e quindi l'amore, se veramente abbiamo orrore del male che avviene e vogliamo che torni a splendere il sole della gioia, che è quella che Dio continuamente dona e tanti fratelli cercano di diffondere.

Invitato da un folto gruppo di giovani ad un loro recital, ben volentieri presi parte, anche se sapevo che apparentemente non gradissero né Dio, né Chiesa. A parole. Per non venire meno alla regola di "banalità del branco".

A metà recital, tutto composto da loro e debbo dire fatto bene, ma con il tono di una via crucis della giovinezza senza futuro, né speranza, venni invitato sul palco. Mi ringraziarono della presenza "perché era molto importante che fossi tra di loro".

Quando chiesi "perché era importante", il loro "capo", senza alcun timore disse: "Abbiamo bisogno di un papà": ossia di uno che ci faccia conoscere cosa voglia dire veramente essere amato ed amare.

I nostri genitori per questa sete di vita non hanno tempo: hanno da fare, dicono loro. Ma noi abbiamo bisogno di uno che veramente ci voglia bene e ci educhi alla vita basata sull'amore.

Perché si può vivere senza sapere "perché vivi", ma non si può vivere senza sapere "per chi vivi". Per loro forse ero il papà che timidamente cercavano.

"Ma voi, che vi chiamate branco e siete tanti, non siete quella porzione di amore, stando insieme, che vi manca? Forse briciole di cuore, ma sempre briciole di amore. Mi rispose senza esitare: "No, non siamo briciole di vero amore: ci incontriamo senza conoscerci: stiamo insieme senza amarci: moriamo senza rimpiangerci".

Sono uscito da quel teatro piangendo e con il desiderio di essere loro "papà". E' solo così che si fa a pezzi la "banalità del male e del bene".

Ma è necessario che sgombriamo la casa dell'anima nostra, della nostra famiglia o di quello che volete, dalle macerie che l'egoismo o altro, ha come ridotto a una spelonca di ladri.

E, con la Grazia di Dio, andare a riscoprire le meraviglie dipinte sulle pareti nella cattedrale del nostro cuore. Allora, e solo allora, capiremo la bellezza dell'amore e l'inferno del male. Ci riusciremo?

Prego che ciò avvenga per asciugare troppe lacrime che sono un fiume a volte inutile e dannoso, per lasciare posto alle aiuole del cielo, che ci sono sempre quando a regnare è l'amore.

 

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