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TESTO Commento su Giovanni 15,26-27; 16,12-15

fr. Massimo Rossi  

Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (24/05/2015)

Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,26-27; 16,12-15

26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Il capitolo degli Atti che avete ascoltato insiste sul fatto straordinario delle lingue: com'è possibile che un branco, e pure sparuto, di galilei ignoranti conosca il parto, il medio, l'elamitico, il mesopotamico, il cappadocico (?), il frigio, il panfilico, l'egiziano, il libico, il cirenico, l'arabo, il cretese, persino il romanesco?

Fatto sta che tutti quelli che erano accorsi al cenacolo, capivano perfettamente ciò che gli Undici dicevano: tutta colpa del Paradiso, o, meglio, tutto merito dello Spirito Santo!

Il primo effetto della Pentecoste è rendere comprensibile il messaggio della salvezza. Lo dichiara Gesù nel Vangelo di oggi: "Quando verrà lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità".

Dio compie, per così dire, un mossa contraria a quella fatta a Babele, quando sventò il tentativo di coalizione degli uomini che avrebbe sovvertito l'ordine naturale del creato.

Vi confesso che la vicenda di Babele non mi ha mai del tutto convinto; il racconto ha un valore simbolico: esprime il progetto di Dio di disperdere gli uomini su tutta la terra, affinché la popolassero; al tempo stesso spiegherebbe l'origine delle lingue.

Il fatto descritto nel cap. 11 della Genesi rappresenta una punizione divina per la superbia umana: gli uomini si sarebbero resi colpevoli di vera e propria cospirazione, tentando di innalzarsi al cielo per diventare uguali a Dio. L'aspetto paradossale è costituito dal fatto che Dio crea il genere umano affinché diventi il suo interlocutore preferito, salvo poi risentirsi e punirlo non appena cerca di elevarsi fino a Lui dalla condizione terrena. L'empasse si risolverebbe spiegando che Dio punisce gli uomini perché hanno tentato di aspirare al cielo già durante la vita terrena, ponendosi in competizione con Dio; la lezione è questa; finché rimaniamo in questa valle di lacrime, dobbiamo cercare di innalzare a Dio la nostra anima, il nostro spirito, senza pretendere di innalzare anche la carne... almeno non subito.

Ma le perplessità aumentano se leggiamo il capitolo 10, che precede il racconto di Babele, laddove si afferma che i figli di Noè avevano ciascuno un proprio territorio e una lingua propria: secondo questa notizia la differenziazione linguistico-culturale non sarebbe il risultato di una punizione divina, ma la conseguenza di un processo naturale. Il (successivo) racconto di Babele che si fonda invece sulla unicità della lingua, non segue un ordine cronologico; la Bibbia non è (soltanto) una storia, almeno, non lo è secondo il concetto moderno di storia. Nella mente e nella penna degli scrittori ispirati, il rigore cronologico non è rilevante.

A Pentecoste tutti posso finalmente capire le parole degli Apostoli. Ma, attenzione: anche questo racconto è fortemente simbolico! Più che l'ammirazione per l'abilità e la competenza linguistica degli Apostoli, il messaggio biblico è la trasparenza del Vangelo, la sua comprensibilità da parte di tutti, a prescindere dal sesso, dall'età, dall'appartenenza linguistica, culturale e sociale.

La sfida che la Parola di Dio lancia a tutti i credenti - ma proprio tutti! - è di non complicare la Verità di Cristo! In questi ‘ultimi' venti secoli di riflessione teologica, non sempre la Chiesa è stata in grado di esprimersi in modo comprensibile. Del resto, anche ai tempi di Gesù, l'insegnamento religioso era diventato talmente complesso e pesante da generare frustrazioni e sensi di colpa in tutto il popolo; al punto che lo stesso Signore accusò le autorità religiose di "legare pesanti fardelli e di disporli sulle spalle della gente..." (cfr. Mt 23,4). Le Dieci Parole di Mosè erano diventate più di seicento... quasi impossibile osservarle tutte!

Ora, Gesù dichiara che la Verità ci farà liberi (cfr. Gv 8,32): se, al contrario, l'annuncio evangelico risulta così difficile da ascoltare, e soprattutto, suscita frustrazioni e sensi di colpa, la colpa non è del Vangelo, ma di coloro che lo annunciano, e di coloro che lo ascoltano. Come ho recentemente ricordato, l'annuncio della fede segue le proprie strategie politiche: ai tempi di san Paolo, si agitava la polemica se diffondere il Vangelo anche tra i pagani, oppure circoscriverlo ai giudei.

Oggi vi sono ancora discriminazioni tra i potenziali destinatari dell'evangelizzazione.

Per ‘evangelizzazioné non si intende solo l'opera della predicazione realizzata in tutte le sue forme, ma anche ciò che dalla predicazione non può essere separato, cioè la pastorale dei sacramenti.

La questione è molto delicata; ne va dell'integrità dell'annuncio cristiano!

In questo nodo delicato e cruciale influisce il rapporto tra fede e morale, non sempre chiaro e oggettivo. Traghettare la fede sul terreno della morale, o canonizzare la morale, quasi coincidesse con la fede, è stato ed è un errore, non sempre incolpevole, da parte di alcuni autorevoli rappresentanti del magistero cattolico...

Immagino già le obbiezioni di coloro che fanno più o meno opportunisticamente dei distinguo, tra chi è degno di appartenere al novero dei destinatari del Vangelo e chi lo è di meno, o non lo è affatto... A proposito, quando facciamo distinguo di questo genere, stiamo attenti a precisare non solo i soggetti (inclusi/esclusi), ma anche l'oggetto del distinguo: se parliamo di Salvezza, i distinguo cadono tutti! La Chiesa ha sempre creduto e insegnato che Dio conosce altre strade per raggiungere le sue creature e salvarle, rispetto a quelle che conosce la Chiesa stessa.
Almeno questo, dobbiamo aver l'onestà di dirlo!!

Mi rendo conto di essere entrato in un vero e proprio campo minato; meglio non avventurarmi oltre.

Tornando all'episodio raccontato dagli Atti degli Apostoli, il lungo elenco dei popoli rappresentati da coloro che accorsero al cenacolo simboleggia la totalità: tutti, ma proprio tutti sono in grado di capire il Vangelo e di aderirvi, se solo vi si accostano senza faziosità, né posizioni ideologiche...

È possibile? Francamente non lo so. Tanto coloro che ascoltano, che chi annuncia subiscono la tentazione di strumentalizzare le parole del Signore, e questa tentazione è quasi irresistibile!

Che, poi, coloro che annunciano e coloro che ascoltano, in fin dei conti coincidono. L'apostolo del Vangelo sarebbe un ipocrita, se non vivesse in prima persona il messaggio che annuncia. Così pure, colui che ascolta è chiamato a vivere e ad annunciare la fede alla quale ha aderito: ce lo ricorda l'apostolo Giacomo, nella sua Lettera: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola del Signore, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi" (1,22). Adesione alla fede e annuncio sono le due facce della stessa medaglia. Con il battesimo siamo diventati membra vive di Cristo, nella Chiesa, inviati per vocazione ad annunciare le opere meravigliose di Lui che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (cfr. 1Pt 2,9).

 

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