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TESTO Né ladri, né mercenari

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (26/04/2015)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Giunti a metà del Tempo Pasquale, i Vangeli domenicali abbandonano la narrazione dei fatti di apparizione di Gesù ai suoi discepoli, e da qui alla solennità dell'Ascensione il nostro cammino sarà scandito da tre testi di Giovanni che si rifanno a due diversi discorsi di Gesù; il primo è quello cosiddetto "del Buon Pastore", pronunciato dopo la guarigione del cieco nato durante la festa della Dedicazione, d'inverno, pochi mesi prima della festa di Pasqua, e questo non è un particolare da poco, in quanto le reazioni che suscita con questo discorso, nel quale implicitamente dà dei "mercenari" ai capi dei Giudei, sono tali da decretare la sua fine, a motivo di un accumulo di rabbia che giungerà al limite della sopportazione quando, nel capitolo successivo, Gesù violerà un sepolcro chiuso da quattro giorni per riportare in vita il suo amico Lazzaro. Il secondo discorso, che ascolteremo a due riprese nelle successive due domeniche di Pasqua, è invece pronunciato da Gesù nel contesto particolare e pieno di carica emotiva dell'ultima cena. Pur diversi tra loro, questi tre vangeli hanno in comune un concetto: il frutto della Vita Nuova che il Risorto ha inaugurato con la Pasqua è la profonda unità tra il Maestro e i suoi discepoli, che assume rispettivamente le caratteristiche di un gregge unito al suo pastore (il vangelo di oggi), di un tralcio unito alla pianta della vite (V domenica di Pasqua), del comandamento dell'amore reciproco come distintivo del cristiano (VI domenica).

Ma torniamo al Vangelo di oggi. Parlavamo dell'indignazione che questo discorso del capitolo 10 provoca nei capi dei Giudei, a cui Gesù allude definendoli "mercenari ai quali non importa delle pecore", o ancor peggio (in alcuni versetti precedenti a quelli che abbiamo letto) "ladri e briganti" che depredano il gregge e lo portano alla distruzione. E tutto questo discorso, in conseguenza del fatto che Gesù aveva da poco guarito un cieco nato in giorno di sabato, violando la Legge di Mosè in nome di una vita da salvare. I capi dei Giudei che gli rimproveravano un'azione illegale e irrispettosa della Legge sono visti da Gesù come "ladri e briganti" che in nome della Legge lucrano sulla vita dei più poveri, e come "mercenari" che considerano la loro funzione di capi religiosi come una professione, e non come una missione, come un'attività da svolgere (possibilmente ben retribuita) e non come una vita di servizio gratuito e disinteressato. Tant'è vero che, nel momento della difficoltà (simboleggiato in questa "parabola del Buon Pastore" dal lupo che attacca il gregge), pensano solo a mettere in salvo se stessi abbandonando il gregge.

Il Buon Pastore, invece, non fa così: per le sue pecore, è disposto a dare la vita, o quantomeno non abbandona il gregge così facilmente, perché le pecore sono sue, è molto legato ad esse, e non solo perché rappresentano il suo capitale, ma anche e soprattutto perché vuole loro bene, al punto che le conosce una ad una e le chiama per nome. E non si ferma lì, perché ha pure "altre pecore" al servizio delle quali deve mettersi: pecore che non sono del suo gregge, pecore forse rimaste senza pastore e che vagano per i monti senza alcun punto di riferimento, divenendo così preda facile del lupo o di qualsiasi altro pericolo della vita solitaria sui monti. Un pastore attento, quindi, a non perdere neppure una delle sue pecore, ma altrettanto attento alle pecore che non sono del suo ovile e che hanno bisogno di lui, perché altrimenti non sono di nessuno.

Di fronte a questa parabola (considerato anche il fatto che Gesù la pronuncia per le autorità religiose del suo tempo) siamo direttamente portati a pensare ai nostri pastori, ai sacerdoti, ai vescovi, al "pastore dei pastori" (che è uno dei titoli del vescovo di Roma, il Papa): ed è bene e naturale che sia così, tanto naturale che da oltre mezzo secolo la Chiesa celebra in questa domenica detta "del Buon Pastore" la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni. Ma il Vangelo è per tutti, il discepolato pure: e allora questa parabola è detta per ognuno di noi, perché ognuno di noi, laico o sacerdote, religioso o vescovo, abbia in sé i medesimi sentimenti di Cristo Buon Pastore, sentimenti di servizio, di dedizione agli altri, di attenzione alle loro necessità, di cura di coloro che appartengono alla nostra cerchia e di accoglienza di coloro che vengono da altrove, in una parola (per dirla con il tema più caro al "pastore dei pastori" Francesco) di misericordia.

Collego questi sentimenti - e vi chiedo umilmente il permesso di farlo - ai drammatici fatti di cronaca di questi giorni, legati all'ennesima - e purtroppo già lo sappiamo - non ultima tragedia del mare. Come sempre avviene in questi casi, nei giorni successivi in tutte le piazze della vita di ogni giorno (dal bar alle aule dei municipi, dal parlamento ai salotti televisivi di ogni genere) non si fa altro che parlare e sparlare (a volte a proposito, a volte un po' meno) di ciò che è accaduto, ma soprattutto della ricerca immediata di soluzioni perché ciò non avvenga più. E le soluzioni che emergono sono davvero le più disparate. Io sono convinto che sia giusto e necessario esprimere ognuno le proprie idee e le proprie opinioni, liberamente, e guai a noi se non lo facessimo, perché cadremmo nella peggiore delle soluzioni, che è quella dell'indifferenza; e sono altrettanto convinto che sia giusto e necessario che tutti abbiamo diversità di opinioni, perché è solo la diversità che ci permette di avere a nostra disposizione una ricca e grande varietà di soluzioni. Soluzioni che io personalmente faccio fatica ad individuare, ma mi consolo, perché vedo che quelli che sono più esperti di me (in quanto deputati a trovarle) fanno altrettanta fatica.

Cosa fare? E soprattutto, cosa fare come cristiani, seguaci di Cristo Buon Pastore? Vi ripeto che non lo so: ma vorrei concludere la nostra riflessione di questa domenica con tre frasi che sono tre stimoli che ci vengono proprio da questo capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, letto oggi in tutto il mondo (quindi anche negli altri paesi europei, perché non è che i cristiani ci sono solo in Italia). Sono un invito ad essere accoglienti e misericordiosi come il Buon Pastore, ma soprattutto a non essere ladri, briganti o mercenari come gli scafisti, i trafficanti di esseri umani, e i molti ciarlatani di qualsiasi colore o bandiera politica:

"Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore".

"E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore".

"Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza".

 

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