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TESTO Per mangiare l'erba migliore

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (26/04/2015)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Nella persona di Pietro e Giovanni agisce invisibilmente Gesù risorto. In questo episodio che ha luogo a Gerusalemme, dopo che Pietro ha proferito il suo discorso di Pentecoste ai Giudei, un uomo storpio che è tale sin dalla nascita, come da sua abitudine, si fa portare all'entrata del tempio, chiamata Porta Bella e qui cominicia a chiedere l'elemosina ai pellegrini e ai viandanti. Si avvicinano all'ingresso del monumento Pietro e Giovanni, che vi entrano per la preghiera del primo pomeriggio. Quando gli dicono: "Guarda verso di noi", lo storpio si aspetta di ricevere qualcosa in denaro, ma ottiene molto di più nel nome di quel Gesù che i Giudei avevano crocifisso e che il Padre aveva risuscitato. Guarisce immediatamente e cammina da solo saltando e lodando Dio sotto gli occhi inebetiti degli astanti. Un prodigio che fa ricordare i miracoli di guarigione compiuti da Gesù prima della sua passione, perché di fatto è simile ai segni prodigiosi che questi realizzava ancor prima di congedarsi dai suoi. E in effetti è proprio lo stesso Signore a realizzarlo, sia pure sotto forme non più visibili.

La guarigione fisica di questo storpio è infatti un effetto diretto della resurrezione di Gesù e attesta che lui è sempre vivo e presente con la stessa intensità ed efficacia che mostrava condividendo il tempo terreno con i suoi. Adesso ogni riferimento è esplicito e diretto e non servono più lunghe digressioni e articolazioni per affermare questa verità: Cristo è risorto e opera miracoli e guarigioni, ora come allora. E proprio come prima avveniva, anche adesso attrae a sé turbe di popolo che stravedono per lui e anzi mostrano molta più propensione di prima nel mutare il loro cuore. Si sentono interpellati dalle parole di Pietro e vogliono lasciarsi coinvolgere dall'Autore della vita che avevano appeso ad un patibolo (At 3, 13 - 14). Gesù stesso lo aveva affermato: ""Quando sarò attirato da terra, attirerò tutti a me"(Gv 12, 32) e la risurrezione sortisce tutti quegli effetti di cui è capace solo l'amore di Dio per l'uomo. Essa rinnova i prodigi e attualizza, rendendola sempre più appropriata e avvincente, la Parola di salvezza. Protrae il mistero dell'incarnazione attualizzandolo e dilatandolo fra gli uomini di tutti i tempi e contemporaneamente segna il trionfo della vita sul peccato e per ciò stesso sulla morte a anche sulla malattia Cristo risorto continua a mostrare il suo potere di condivisione e di redenzione. Gesù agisce invisibilmente e nel mistero di una presenza indicibile, però agisce. E' in forza dello Spirito Santo che egli mostra la sua incidenza per mezzo del ministero degli apostoli e nell'opera di tutta la Chiesa visibile. Essa è Sacramento, perché è segno della presenza invisibile del suo Signore e istitutore che per mezzo di essa continua a mostrarsi tuttavia umile servo degli uomini.

Nel ministero degli apostoli e dei loro successori (papa e vescovi) Gesù protrae nel tempo la sua figura di Maestro e di Pastore del gregge, e in questa sua prerogativa noi consideriamo di aver necessità di essere guidati e condotti verso la giusta direzione.

In una attività agricola le pecore non sono mai animali selvatici abbandonati a se stessi. Finché c'è qualcuno che le guidi e che le orienti, non si disperderanno per i campi o per le zolle. Ascoltano la voce del pastore che a sua volta non le conduce in qualsiasi luogo né tantomeno in terreni aridi, incolti o peggio ancora pericolosi: le raccoglie in branco e le tiene unite finché non le ha condotte su pascoli ubertosi da lui individuati dove esse possono nutrirsi. E mentre traggono alimento, il pastore le osserva, vigila su di esse e pone immediatamente rimedio casomai qualcuna si allontana dal gruppo. Poi le conduce, sempre guidandole passo dopo passo, al recinto, dove trovano rifugio e sicurezza. Fintanto che le pecore lo seguono, non corrono mai il rischio di perdersi nei luoghi impervi o fra le zolle aspre del terreno.

Se Gesù paragona se stesso al pastore, se anzi egli stesso si definisce Pastore supremo è perché considera che noi alla pari delle pecore, abbiamo necessità di essere sorretti e guidati. L'uomo infatti brancola nel buio senza essere guidato da Dio e inconsapevolmente perde se stesso nella molteplicità delle illusioni e delle chimere propinategli dal successo, dalla propaganda, dalle false sicurezze.

Tante volte ci autoesaltiamo e poniamo fede solamente nelle nostre limitate capacità e nelle nostre disillusioni, sostituendo non di rado Dio con altre molteplici proposte. Ma l'uomo senza Dio è inconsapevolmente una pecorella smarrita che si illude di trovare pascolo o che si nutre di erbe velenose. La mentalità del nostro secolo è quella di non volerci considerare pecore al seguito del Pastore che è Dio fatto uomo; preferiamo piuttosto essere pastori noi ciascuno di se stesso, organizzare pascoli preferenziali secondo le nostre scelte e c'è addirittura chi suole combattere contro il Pastore supremo. In realtà Cristo risuscitato è l'unico pastore in grado di soddisfare le attese dell'uomo perché come Dio e come Uomo conosce la nostra condizione, scruta a fondo il nostro cuore e ha già individuato quali siano i pascoli a noi più congeniali. Come pure Gesù sa bene quale erba dobbiamo brucare per non incappare nei veleni.

Ma soprattutto Gesù può qualificarsi Pastore perché ha condiviso la nostra situazione di pecorelle smarrite egli stesso, assumendo la piena umanità e sperimentando di questa tutte le debolezze e le effimeratezze. Ha potuto comprendere quanto sia necessario che noi siamo condotti e accompagnati sin da quando, sulle rive del Giordano, faceva la fila assieme ai peccatori, come pure esprimendosi senza riserve contro gli ipocriti, gli impostori e i falsi profeti, e ancora quando annunciava le Beatitudini dal monte. E ancor di più ha sperimentato egli stesso la nostra condizione di pecore allo sbando facendosi egli stesso pecora anzi Agnello immolato il cui sangue veniva versato sulla croce. La lettera agli Ebrei ci fa eco quando afferma "Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato."(Eb 4, 13) Cristo ha quindi ragione di proporsi come nostra guida e pastore sollecito non in forza di un predominio personale superbo e altezzoso e neppure in ragione della legittima superiorità che gli proviene dalla sua Signoria divina, ma semplicemente perché ha condiviso egli stesso tutte le nostre infermità e la nostra situazione di peccatori smarriti che si autocondannano con la loro condotta perversa.

Come si diceva all'inizio, nello Spirito Santo, Cristo pasce il suo gregge nel Sacramento della Chiesa. In essa si trovano tutti i mezzi salvifici per poter noi usufruire della guida di Cristo Pastore, soprattutto nei Sacramenti, segni della sua presenza, nella comunione dei fratelli e nella successione apostolica visibile nel papa e nei vescovi, coadiuvati dai sacerdoti e dai diaconi. Nel ministero degli attuali Pastori Cristo ci si mostra come il Pastore sollecito e nel loro servizio si protrae la Parola e viene diffusa nel tempo la rivelazione divina. Aver fiducia nella Chiesa, considerata quale unica Istituzione di salvezza nella quale Cristo è presente, equivale ad aver fiducia nel Signore risorto che guida e pasce il suo gregge. Certamente nei suoi ambiti interni e nella sua condotta di esemplarità, la Chiesa non deve mai abbandonare la consapevolezza di dover dare testimonianza del Risorto per mezzo di una vita degna ed esemplare; i pastori visibili non possono omettere di farsi essi stessi "modelli del gregge" per essere guide veramente sollecite e impeccabili ed è sconcertate che abbiamo assistito a deplorevoli comportamenti da parte di non pochi ministri di culto. Come diceva Don Mazzi in un suo intervento, occorre scongiurare il pericolo che le pecorelle debbano pascere i pastori. Ciò nonostante è sempre vero che la Chiesa è il luogo in cui il Signore (soltanto lui e nessun altro) provvede invisibilmente alla guida e alla tutela del suo gregge, offrendo tutte le condizioni per cui questo non vada disperso e possa sempre alimentarsi di copiosi pascoli non fallaci. Al di là delle umane carenze e delle imperfezioni di cui possa essersi macchiata la vera Istituzione di salvezza, in essa è sempre lo stesso Cristo, unico pastore del gregge, a guidare e sostenere anche l'ultima delle pecore.

 

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