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TESTO Commento su Giovanni 20,11-18

don Michele Cerutti

Domenica di Pasqua (05/04/2015)

Vangelo: Gv 20,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Cristo è risorto alleluja. Questo dovrebbe essere l'annuncio che ogni cristiano deve diffondere.

Quest'annuncio sta nel cuore del messaggio evangelico. Lo dichiara con vigore san Paolo: "Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede". E aggiunge: "Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini" (1 Cor 15,14.19).

La resurrezione di Cristo è l'inaugurazione d'un ordine nuovo e universale; un'energia nuova è infusa nella creazione.

Dall'alba di Pasqua una nuova primavera di speranza investe il mondo; da quel giorno la nostra risurrezione è già cominciata, perché la Pasqua non segna semplicemente un momento della storia, ma l'avvio di una nuova condizione: Gesù è risorto non perché la sua memoria resti viva nel cuore dei suoi discepoli, bensì perché Egli stesso viva in noi e in Lui possiamo già gustare la gioia della vita eterna.

"La risurrezione del Signore è la nostra speranza" diceva Agostino.

La morte non ha l'ultima parola, perché a trionfare alla fine è la Vita. Occorre essere attenti perché questa nostra certezza non si fonda su semplici ragionamenti umani, ma si basano su uno storico dato di fede: Gesù Cristo, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. La sua risurrezione riguarda anche noi perché credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna.

La risurrezione pertanto non è una teoria, non è un mito né un sogno, non è una visione né un'utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile.
Dona a noi credenti tre realtà:

La speranza

Una speranza che va oltre la realtà della morte perché Dio non è dei morti, ma dei viventi.
Questa speranza è su questa terra.

Una speranza che impedisce al cristiano di affermare l'impossibilità di cambiare le cose. La logica dell'"ormai" che ci caratterizza è bandita.

Tutto sembra impossibile agli uomini di oggi e allora ci si arrovella sulle realtà del cosiddetto déjà vu.

Invece il cristiano sa che la risurrezione rompe ogni schema e invita l'uomo ad alzare gli occhi.

Il coraggio della fede

Rischiamo di scoraggiarci, di farci prendere dalla paura, di cedere alla tentazione di fermarci sulla montagna, nel guscio delle nostre chiese o delle nostre famiglie. E il tempo di ritrovare dentro di noi il coraggio della fede, di dire ancora: "Gesù ha ragione, noi ci crediamo, crediamo sul serio nell'onestà, nel bene, nella giustizia, nella verità!" Aver fede non significa solo, andare in Chiesa, cantare dei bei canti, ascoltare delle belle parole, provare dei buoni sentimenti. Aver fede significa tornare nel posto dove lavoriamo, in mezzo alla gente, e continuare a credere nelle cose in cui ha creduto Gesù, nelle cose che Gesù ha amato, nelle cose per cui Gesù è vissuto.

Tutto questo avendo lo sguardo nei confronti di quei cristiani che in diverse parti del mondo vivono con difficoltà il professare la fede in Cristo a rischio della vita.

E' proprio vero quello che dice Papa Francesco: "Ci sono più martiri oggi che ai tempi delle prime comunità".

La gioia

La gioia è la cartina tornasole che permette di definire lo stato della fede di ogni credente.

Penso a quello che diceva Papa Francesco in una omelia a Santa Marta nei giorni scorsi commentando la fede dei dottori della legge.

I dottori della legge, al tempo di Gesù avevano un sistema di dottrine precise e che precisavano ogni giorno in più che nessuno le toccasse. Uomini senza fede, senza legge, attaccati a dottrine che anche diventano un atteggiamento casistico: si può pagare la tassa a Cesare, non si può? Questa donna, che è stata sposata sette volte, quando andrà in Cielo sarà sposa di quei sette? Questa casistica... Questo era il loro mondo, un mondo astratto, un mondo senza amore, un mondo senza fede, un mondo senza speranza, un mondo senza fiducia, un mondo senza Dio. E per questo non potevano gioire. Questa è la vita senza fede in Dio, senza fiducia in Dio, senza speranza in Dio. E' triste essere credente senza gioia e la gioia non c'è quando non c'è la fede, quando non c'è la speranza, quando non c'è la legge, ma soltanto le prescrizioni, la dottrina fredda. La gioia della fede, la gioia del Vangelo è la pietra di paragone della fede di una persona. Senza gioia quella persona non è un vero credente.

Questa gioia nelle prime comunità cristiane è stata contagiosa.

Gli Atti degli Apostoli e i primi documenti patristici ci parlano di queste conversioni che nascevano proprio da quella gioia che i cristiani respiravano.

La Pasqua è il tempo utile per chiedere al Signore la grazia di essere esultanti nella speranza, la grazia di poter vedere il giorno di Gesù quando ci troveremo con Lui e la grazia della gioia.

 

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