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TESTO Figli della Risurrezione

mons. Antonio Riboldi

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/11/2004)

Vangelo: Lc 20,27-38 (forma breve: Lc 20,27.34-38) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Ci siamo a volte tuffati nel provvisorio, che è questa vita terrena, lo dicevamo domenica scorsa, in occasione della festa di Tutti i Santi e della commemorazione dei defunti, da correre il rischio di giocare tutto nell'oggi, pur sapendo che inevitabilmente ci sarà un "domani".

Sappiamo tutti, per esperienza, che il nostro "oggi" è talmente debole da non avere certezze, neppure quella se il "domani" sarà proprio domani.

Quante volte ci raggiunge la notizia di parenti o conoscenti che si spengono improvvisamente: come se la vita fosse un filo spezzato, quando meno uno l'aspetta; mentre la saggezza, che è davvero dono dello Spirito, dovrebbe farci vivere come pellegrini, il cui viaggio si arresta improvvisamente per andare oltre, o meglio guardare a ciò che li attende, dopo aver camminato a lungo.

I veri saggi assomigliano a quanti non perdono un passo del cammino verso la meta. Sanno che il viaggio è duro, ma non si fermano, né si permettono pericolose deviazioni che li portano fuori obbiettivo. Camminano con fissa la meta. Quelli che Gesù chiama "stolti", come le vergini, senza olio per le lampade, in attesa dello Sposo che deve passare per seguirlo, interpretano la vita come un camminare a vuoto...come a volte capita nei sogni: uno corre, corre, ma si accorge di essere sempre allo stesso posto e ci si sveglia sudati, come uscendo da un incubo.

Ma Gesù afferma, nel Vangelo di oggi, "Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui".

Questa risposta è stata data ai sadducei, "i quali negano la risurrezione e posero a Gesù questa domanda: Mosè ci ha prescritto; se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia discendenza al proprio fratello. C'erano sette fratelli, il primo, dopo avere preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette: morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna, dunque, dopo la risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". E Gesù: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della resurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio" (Lc. 20,27-36).

La fede nella resurrezione, per chi ha fede ed è saggio, è la vera speranza che sostiene la fatica di tutti i giorni. Dio, il Padre, appunto perché padre, non ci ha fatto dono della vita per il nulla, ma solo nella prospettiva della resurrezione, ossia di una continuità del dono, in eterno, partecipando alla bellezza, alla gioia, che Lui è. Questa vita, basterebbe guardarci intorno o dentro, davvero è provvisorietà, come il vestito che portiamo: ma questa non è la Vera Vita.

"Se Cristo non fosse risorto - e noi con Lui - vana sarebbe la nostra fede".

E' la grande, meravigliosa verità che sorregge la nostra speranza e dà il senso di eternità al bene che facciamo, alla bontà con cui cerchiamo di infondere serenità sempre, alla carità che si fa costume. Tutto insomma con l'anima del pellegrino, che sa che la sua dimora non è qui e neppure nel nulla di una tomba, ma è in cielo.

A guardare alla impostazione che tante volte diamo alla vita, ci accorgiamo che prevale un materialismo, proprio di chi si illude che la sua dimora fissa sia qui. Ci manca spesso lo sguardo dell'infinito, della eternità: di un soggiorno, qui, provvisorio, un soggiorno carico di responsabilità. Per questo tante volte ci sentiamo sconfitti, paurosi per il buio che si para davanti, come se da un momento all'altro ci attendesse un precipizio senza ritorno.

Ci manca l'educazione o la fede nell'eternità: quel diventare, domani, "come gli angeli", figli della resurrezione.

E' straordinariamente bello il racconto del martirio dei sette fratelli Maccabei con la madre. Siamo ad un racconto biblico, che risale al 160 prima di Cristo. Il re Antioco voleva imporre agli Ebrei di rinunciare alla loro fede, pena la morte. Catturò una famiglia, composta da una mamma e sette figli. "Il re, racconta, voleva costringerli a mangiare la carne di maiale che era proibita dalla legge di Mosè. Perciò li fece picchiare e frustare, ma uno di loto si fece avanti e disse a nome di tutti: "Che cosa ti aspetti o che cosa vuoi sapere da noi? Piuttosto che disubbidire alla legge dei nostri antenati, noi siamo pronti a morire". Allora il re si arrabbiò e fece mettere al fuoco alcune caldaie di bronzo...dopo averlo torturato comandò di gettarlo vivo nel fuoco e arrostirlo nella caldaia. Mentre il fumo si diffondeva abbondantemente dalle caldaie, gli altri fratelli con la madre si esortavano a vicenda a morire con coraggio. Dicevano: "Il Signore Dio ci vede e certamente ci manda il suo conforto". Il re così fece con gli altri fratelli. "Degna di essere ammirata e ricordata, racconta la Bibbia - più di tutti fu la madre. Essa vide morire in un sol giorno tutti i suoi sette figli. Eppure sopportò la prova con coraggio, per la speranza che aveva nel Signore. In ebraico li esortava, a uno a uno. Piena di nobili sentimenti, univa la tenerezza femminile a un coraggio da uomo. Diceva loro: "L'inizio della vostra vita dentro di me è stata una cosa meravigliosa, che continua a sorprendermi. Non sono stata io a darvi il respiro e la vita. Non sono stata io a formare le membra di ciascuno di voi. Il Creatore del mondo, che sta all'origine di tutte le cose, forma anche l'uomo. Voi trascurate voi stessi per amore delle sue leggi, vi darà di nuovo il respiro e la vita". E al più piccolo, di appena tre anni, sussurrava: "Ti scongiuro guarda il cielo e non la terra...Non aver paura di questo carnefice. Sii degno dei tuoi fratelli e accetta la morte. Così io ti riavrò insieme ai tuoi fratelli, quando il Signore manifesterà la sua misericordia" (2 Maccabei, Cap. 7).

Descrive molto bene la grandezza di, quella madre quando la definisce: "Era piena di nobili sentimenti: univa la tenerezza femminile al coraggio di uomo". Quanti esempi simili, anche oggi! Mamme che esortano i figli a non farsi ingannare dalle lusinghe del mondo, anche se questo costa tanta emarginazione. Quante mamme ci sono che trattengono il respiro per i loro figli, soprattutto nelle missioni, sapendo dei tanti pericoli che corrono! Mamme di cui possiamo dire: "hanno la tenerezza femminile ed il coraggio di uomo".

Ci fu un giorno, da vescovo, in cui mia mamma mi vide arrivare a casa di sera, senza una ragione. Le bastò una sguardo, di quelli che scendono fino in fondo all'anima e leggono la tua storia. Fece finta di niente. Attribuì quella mia visita a stanchezza. Preparò la cena. Dopo mi invitò a recitare con lei il Santo Rosario. Guardavo quella corona, che era sempre tra le mani e da cui traeva il suo coraggio e la sua tenerezza. Quando fu l'ora di andare a dormire mi accompagnò. Giunti sulla porta della stanza mi fermò, ancora una volta mi guardò fisso negli occhi e mi disse, senza un tremito di voce: "Antonio immagino facilmente la ragione della tua presenza qui, oggi. Sappi che io ti voglio un bene immenso, che a volte ha gelosia di Dio, perché te ne vuole infinitamente di più. Io ti posso offrire poco, ma Lui il Cielo.

Preferisco un giorno ricevere la notizia che ti hanno ucciso per essere fedele alla tua missione di vescovo, piuttosto che vederti sano qui vicino a me ma fuggito dalla prova". Non disse altro. Il giorno dopo tornai qui.

E' davvero bello sapere che c'è tanta gente che vive in attesa della resurrezione, quando saremo come angeli. Auguro ci siate anche voi.

 

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