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TESTO Amore

don Elio Dotto  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/10/2002)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Il vocabolo "amore" è parola oggi troppo usata. Troppo spesso parliamo di amore, anche nella Chiesa. E troppo spesso ci ritroviamo ad aver smarrito il senso autentico dell'amore; smarrito nell'ovvietà delle parole quotidiane, di quelle dichiarazioni di principio tanto scontate quanto insignificanti: espressioni magari anche belle, ma - in ultimo - lontane dalla concretezza della vita.

Accade così che anche il comandamento evangelico dell'amore - proposto dal Vangelo di domenica (Mt 22,34-40) - ci appaia sterile e distante: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. E amerai il prossimo tuo come te stesso". Che cosa vuol dire "amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore"? Che cosa significa amare Dio con tutto il cuore quando "Dio nessuno lo ha mai visto" (Gv 1, 18), mentre il nostro cuore è sempre instabile e confuso? E che cosa vuol dire "amerai il prossimo tuo come te stesso"? Che cosa significa amare il prossimo come noi stessi, quando il prossimo a volte fa di tutto per farsi odiare, mentre noi stessi ci ritroviamo spesso chiusi ed indifferenti?

Già il popolo di Israele aveva sperimentato queste difficoltà, durante il suo lungo cammino nel deserto. E aveva dovuto darsi una legge esigente per non dimenticare nella vita di ogni giorno il comandamento dell'amore: "Non molesterai il forestiero, né lo opprimerai. Non maltratterai la vedova o l'orfano. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole." (cfr Es 2,21-27: prima lettura di domenica). Ma, nonostante questi buoni propositi, spesso Israele smarrì il senso autentico dell'amore: lo smarrì nell'ovvietà delle parole quotidiane, di quelle parole tanto scontate quanto insignificanti che anche noi spesso ci ritroviamo sulla bocca. Perché appunto come noi Israele parlava di amore ma non era capace di amare.

In realtà, soltanto Gesù di Nazareth riuscì davvero nella sua vita a strappare l'amore dall'ovvietà delle parole quotidiane. Anche lui certo provò la difficoltà di amare Dio, quando non riusciva a vederlo e gli sembrava lontano; anche lui sentì la fatica di amare con tutto il cuore, quando il suo cuore era instabile e confuso; e anche lui sperimentò la sofferenza di amare il prossimo come se stesso, quando il suo prossimo faceva di tutto per metterlo a morte. E tuttavia, in tutte queste situazioni, Gesù rimase fedele al comandamento dell'amore. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo infatti che Gesù "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, lì amò sino alla fine" (Gv 13,1).

Proprio questo amore di Gesù può ridare una consistenza ed un volto al nostro amore sbiadito; e dunque soltanto seguendo lui possiamo strappare i nostri giorni dall'ovvietà delle belle parole. Perché non saranno certo i nostri buoni propositi a salvare la nostra vita e quella degli altri; e non sarà certo il nostro debole amore a cambiare il mondo. Solo la fede nel Signore Gesù potrà davvero dare pienezza e speranza alle parole e ai giorni della nostra storia.

 

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