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TESTO Credo la vita eterna

don Roberto Rossi  

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XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/11/2004)

Vangelo: Lc 20,27-38 (forma breve: Lc 20,27.34-38) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Quando una persona ha il coraggio di accettare il martirio e la morte per un ideale grande, per la sua fedeltà al Signore, per non perdere la sua anima, ma per salvarla per la vita che durerà sempre per l'eternità, vuol dire che ha la forza di credere davvero nel Signore, di credere davvero nella vita eterna; vuol dire che è consapevole che la vita terrena è solo una parte, una piccola parte, che è una preparazione alla vita piena e definitiva che il Signore ha preparato per l'eternità.

Così è stato per quei sette fratelli di cui ci parla il libro dei Maccabei, così è stato per i tanti martiri della fede, lungo la storia; così è dei martiri e dei testimoni di oggi.

Occorrerebbe essere pronti al martirio, sapere che è una possibilità che ci potrebbe capitare.

Se io sarò chiamato a una testimonianza forte, ad una persecuzione, a subire sofferenze per la mia fede, addirittura la minaccia della morte, cosa farò, cosa penserò, da che parte starò; cederò per una salvezza terrena oppure sarò disposto a tutto per il "Tutto della mia esistenza"? Certo sono le ipotesi più gravi, che ci fanno estremamente paura, e sappiamo che solo il Signore ci può dare la forza di testimonianze così grandi; noi non possiamo presumere di noi stessi, sappiamo che da soli non siamo certo capaci di affrontare la sofferenza, la morte, tanto più la persecuzione e il martirio. Ma a Dio è tutto è possibile. E all'uomo può essere data la forza di Dio; scrive S. Paolo: "Tutto posso in Colui che mi dà forza".

Ora il problema è la fede. "Credo in un solo Dio". Credo davvero al Signore? Lui è il Creatore e colui che sostiene e dà vita a tutte le cose. Lui è il Padre: mi ha voluto e mi ama, come figlio carissimo. Lui mi ha donato il Figlio Suo Gesù Cristo che con la sua vita, morte e resurrezione mi ha salvato e tutti abbiamo salvezza e senso pieno della vita in Lui. Lui ci ha donato e ci dona continuamente il suo Spirito, che è amore, pace, gioia, forza, potenza per la mia debolezza.

"Credo la risurrezione della carne e la vita eterna". Credo davvero alla Vita eterna? Porto nel cuore la certezza che con la morte sono chiamato a passare da questa vita terrena, pur bella e importante, a quella Vita Eterna, che sarà di tale pienezza che neanche so immaginare?

Per quella Vita Eterna, riesco a fare le scelte più grandi: l'impostazione della mia vita, il senso del lavoro e della famiglia, la povertà di spirito "non accumulate tesori sulla terra, ma per il cielo"? "Che cosa serve all'uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la sua anima"?

"Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima".

Per rendere viva e solida la nostra fede nella Vita Eterna possiamo ripensare ai tanti passi del vangelo e di tutta la Parola di Dio, come quando Gesù sulla croce dice al ladrone pentito: "Oggi sarai con me in paradiso". "Come Cristo è morto e risorto, così sarà di quanti sono di Cristo".

Comprendiamo allora la fermezza dei fratelli Maccabei che dicono al persecutore: "Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per la fedeltà a lui, ci risusciterà ad una vita nuova ed eterna". E' bello morire a causa degli uomini per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati.

Questo avviene perché, come dice il vangelo, "Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui".

Comprendiamo allora la fermezza della fede e il coraggio di tanti santi, di tanti martiri, come ad es. Ignazio di Antiochia, il quale va incontro al martirio a Roma e afferma con piena consapevolezza: "Quando sarò giunto là (nella vita eterna), allora sarò pienamente uomo".

Oggi non siamo aiutati a "credere alla vita terna"; si va dietro all'immediato, al superficiale, si vuole evitare il pensiero salutare della morte, quando addirittura non la si banalizza. Si finisce poi tante volte per essere disperati di fronte alla morte delle persone care o alla propria morte; si finisce per essere anche causa di morte senza farsene troppi problemi.

E pensare a queste cose non è per renderci tristi, ma per camminare sulla strada della gioia vera; uno che non ci pensa, non è più felice, è più sciocco (il vangelo dice stolto). E chi crede di andare chissà dove impostando la vita solo in senso materiale, non va da nessuna parte; si troverà con le mani vuote.

La dottrina cristiana ci insegna che il pensiero della morte ci aiuta a costruire bene la vita e che l'attesa e la preparazione alla vita eterna, non solo non indebolisce ma addirittura intensifica l?'mpegno umano e cristiano nelle realtà terrene: basta pensare alle parabole della vigilanza, dei talenti, del giudizio finale.

"Vieni servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo Signore, perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare".

"Entra nella gioia del tuo Signore" è la grazia che chiediamo per i nostri defunti e anche per tutti noi, quando saremo chiamati ad essere sempre con il Signore. E allora capiremo che le "sofferenze della vita presente non sono paragonabili alla gloria della vita futura", "perché grande è la ricompensa nei cieli".

 

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