TESTO Quando tutto appartiene a Dio
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XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/10/2002)
Vangelo: Mt 22,15-21

In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
La vita cristiana è un invito a cercare la sapienza. Essa trova fondamento nel mistero di Dio, che rivela a noi la ricchezza del suo pensiero nella materialità poliedrica del testo sacro. Siamo il popolo del "libro", pronti(!?) ad essere chiamati "uditori della Parola".
La sapienza è uno sforzo non solo intellettuale, ma anche contemplativo: è il "canto nuovo" che riconosce che "il Signore regna", cioè è presente ed operantesu "tutta la terra". Ed è proprio questa prospettiva che ci aiuta, oggi, a cogliere la portata della Parola del Signore: accorgerci non soltanto della sua presenza, ma anche dei suoi segni e, soprattutto, del suo disegno provvidenziale che tutto abbraccia, tutto vuole redimere e niente inserisce in una logica di contrapposizione. Tutto è grazia; tutto è assunto; tutto è redento: l'uomo, la sua vita interiore, il suo spirito, le sue Œpolitiché e, addirittura, i suoi Œsistemi economici'.
Se vogliamo individuare una domanda interpetativa o un interrogativo che accompagna, trasversalmente, i brani dell'odierna liturgia, potremmo chiederci: dove abbiamo collocato Dio? O, più ancora: dove intravediamo la sua operante presenza?
L'invito è a crescere nel discernimento; a saper collocare, cioè, l'esperienza della fede nella sua dimensione storica. Se la storia non diventa "spazio teologale", rischi e deviazioni sono sempre alle porte...
A. Dio sa tutto. C'era un Re, Ciro di Persia, pagano e non credente. A Lui il Signore affida un'opera di ricostruzione. Sembrerebbe, di primo acchito, un'operazione da biasimare per il tentativo di offuscare "il potere e la gloria del Dio di Israele". Isaia, invece, ci conforta e ci ricorda che quel Re "è il Signore che lo ha chiamato per nome e gli ha dato un nome". Viene da Lui, dal suo disegno provvidenziale. Ha una missione affidatagli dalla sua bontà: malgrado la sua inconsapevolezza, è lì per il Signore.
C'è bisogno di uno sguardo attento, oggi necessariamente più urgente, su quanto ci accade attorno: sembra non intravedersi la presenza del Signore o i segnali della sua provvidenza. Uno sconforto o una solitudine o uno scoraggiamento ci aggredisce: dov'è Dio?, è la domanda più diffusa. E non ci accorgiamo che la storia è nelle sue mani; che tutto riconduce e rimanda al Signore del mondo: c'è una Sua conoscenza che va al di là delle nostre percezioni. C'è un Signore che ama e che salva...
La fede è la consapevolezza di una Presenza, che è sempre pronta, pur con indecifrabili disegni, ad offrire e ad assicurare salvezza e vita buona...
B. A ciascuno il suo. Ci infastidisce, per la verità. quel continuo desiderio degli Ebrei di "cogliere in fallo" Gesù: chissà mai cosa aveva fatto loro! Eppure era venuto per salvare... ed essi ben sapevano che "era veritiero ed insegnava la via di Dio".
C'è una sottile domanda che ci nasce spontanea: è il modo con cui si intende pensare Dio. Se Dio diventa un oppio o un'illusione, allora giustificherei il necessario sospetto: è un Dio che fantastica e, soprattutto, è disincarnato, quasi un Œsolitario sognatore' che si gratifica con le sole sue utopie...
Il Vangelo di oggi ci rivela, al contrario, un Dio concreto, estremamente reale, interessato perfino alle cose di Cesare. Gesù è chiaro nei suoi obiettivi: la fede non è disincarnazione, ma assunzione e partecipazione responsabile alla vita del mondo. E quanto più ci si immerge nel mistero di Dio, tanto più ci si tuffa nelle faccende della storia: quanto ritardo registriamo alla comprensione e alla testimonianza delle parole del Concilio che, nella Gaudium et Spes, ci invita a costruire un ponte tra la Chiesa e il mondo contemporaneo.
Ciò che conta - e da non dimenticare mai - è il riconoscimento del giusto primato: quello di Dio, riconosciuto come unico, a cui si deve l'obbedienza di ogni creatura (Colletta).E' qui che si fonda, anche, la Dottrina Sociale della Chiesa - questa sconosciuta! -. La fede non è solo una risposta al Dio che si rivela, ma è anche una parola da offrire o una luce da accendere nel groviglio delle vicende umane. Avremmo da dire - anzi, da gridare - che la giustizia sociale, la correttezza professionale o deontologica, il dovere della giusta fiscalizzazione, l'onestà morale e la lotta ad ogni degrado etico sono i segni più veri che il Regno di Dio è venuto...
Lo abbiamo dimenticato o non lo abbiamo capito, ma la via di Dio non è mai dissociata dalla vita buona degli uomini.
C. Una speranza sempre desta. Quando la fede diventa storia, essa si trasforma in una comunicazione dagli orizzonti vasti: la costante speranza nel Signore.
Questi giganti dei primi anni del Cristianesimo - Paolo, Silvano, Timoteo, ecc. - esaltano l'impegno nella fede e l'operosità nella carità di coloro che hanno abbracciato la fede: niente è risparmiato e tutto va accolto e abbracciato.
La nostra è una vocazione (siamo stati eletti da Lui) all'universalità e ad una partecipazione incessante al mistero della salvezza. Che bel segnale di speranza sapere che c'è gente che continua a farsi i fatti del mondo: con profonda convinzione non ci resta che registrare la continua azione dello Spirito.
Se tutto appartiene a Lui, tuffiamoci allora a farne cogliere la bellezza della sua presenza...