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TESTO Commento su Luca 23,35-43

mons. Ilvo Corniglia

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2004)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Oggi la Chiesa conclude l'anno liturgico celebrando solennemente Cristo Re dell'universo. Questa festa esprime in sintesi tutto il mistero cristiano: "Gesù Cristo è centro del cosmo e della storia. Lui, solo Lui, è il Redentore dell'uomo" (GPII). Il primato assoluto di Cristo e l'obbedienza gioiosa a Lui la Chiesa fin dagli inizi li ha vissuti professando la fede nel "Nostro Signore Gesù Cristo": "Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo". Il Signore al quale apparteniamo. Siamo suoi. Sono suo. Il Signore che appartiene a noi. È nostro. È mio.

L'inno di Colossesi (1,12-20: II lettura) celebra la suprema regalità di Cristo, la sua posizione centrale nella storia della creazione e della redenzione. In Lui si è reso visibile e accessibile il volto di Dio. In Lui tutta l'umanità è riconciliata e ricondotta al Padre. In Lui trova senso e unità l'universo intero. Egli è il "cuore" del mondo e della Chiesa. È "stupefacente" riconoscere che Lui in tutta la sua realtà è presente e si dona a noi in ogni Eucaristia.

Nella scena drammatica che il Vangelo odierno riporta, all'interno del racconto della passione, possiamo cogliere il significato vero della regalità di Gesù. "C'era anche una scritta sopra il suo capo: questi è il re dei Giudei". È la motivazione della condanna: Gesù è un ribelle che ha attentato alla sovranità unica dell'imperatore romano. Il discepolo, però, che legge queste parole vi scopre la dichiarazione di un mistero profondo: Gesù è veramente re, ma solamente agli occhi della fede e in un modo che è diametralmente opposto alla concezione umana della regalità. Un re che ha come trono la croce. In effetti, questo testo si trova inserito nella scena degli scherni e degli insulti a Gesù morente da parte dei capi, dei soldati e infine di uno dei malfattori crocifissi con Lui. Che Gesù venga giustiziato in mezzo a due malfattori, giudicato colpevole come loro, e per di più disprezzato dai suoi compagni di supplizio, è il colmo dell'umiliazione. Ma il discepolo, che contempla con amore e gratitudine sconfinata il suo Maestro e Signore fra i tormenti della passione, riconosce la sua solidarietà estrema con gli uomini peccatori che lo porta a soffrire per loro e con loro. Quale re è mai arrivato a tanto per i suoi fedeli?

"Il popolo stava a guardare": non partecipa a questo crimine. Non si associa neanche all'ironia incredula dei capi, ma rimane in rispettoso silenzio. Forse anche in attesa del colpo di scena che rovesci l'attuale tragica umiliazione e manifesti la vera identità di Gesù. Forse deluso profondamente. I nemici di Gesù invece sfogano il loro odio, lanciano l'ultima sfida: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". Similmente i soldati e poi uno dei malfattori. Per tre volte ricorre la provocazione a salvare se stesso, quale segno e manifestazione del suo potere regale. Come dire: l'incapacità di salvare se stesso e gli altri dimostra all'evidenza che Gesù non è re, non è il Messia. Gesù non raccoglie la sfida. Sulla croce Egli non salva se stesso, ma dona se stesso per salvare noi. Proprio con la sua morte è venuto a salvare coloro che si convertono e credono in Lui. Li salva perdonandoli e promettendo di portare con sé nella gloria del Padre quanti lo riconoscono come Messia, come re. È ciò che osserviamo nella scena madre, costituita dal dialogo tra uno dei malfattori e Gesù. Questo malfattore non si associa agli insulti proferiti dall'altro, ma lo rimprovera. Confessa la propria colpevolezza, riconosce la perfetta innocenza di Gesù e si rivolge a Lui con una domanda che esprime pentimento e fede messianica. Lo invoca con una supplica piena di umiltà e di fiducia: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Lo chiama familiarmente per nome "Gesù" (è l'unico caso in tutto il Vangelo) e gli chiede di ricordarsi di lui, cioè di intervenire in suo favore, quando verrà nello splendore del suo potere regale. Una fede straordinaria! Il ladrone, infatti, crede che Gesù introdurrà il Regno di Dio, che comporta la risurrezione dei morti. Lo crede nonostante la situazione tragica e irreparabile del Messia, crocifisso e morente come lui. Che cosa ha potuto provocare e motivare tale fede? Il testo che precede il nostro presenta Gesù che prega per i suoi uccisori: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!". Il ladrone si converte perché ha ascoltato questa preghiera di Gesù. Ha percepito la profondità inaudita del rapporto filiale che Gesù vive con Dio e ha capito fino a che punto arriva il suo amore.

La risposta di Gesù supera ogni attesa: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". "Oggi": la salvezza promessa da Dio e attesa per lunghi secoli è qui, interamente donata grazie alla presenza misericordiosa di Gesù. "Sarai con me". Ecco il bene supremo che Gesù assicura al ladrone: essere con Lui, in un rapporto di intimità e comunione profonda. L'esperienza della morte non lo separerà da Gesù, ma sarà unito a Lui e associato al suo destino di vivente al di là della morte. "Nel paradiso". Nel linguaggio di allora il termine indicava uno stato di felicità dove si trovano i giusti nell'oltretomba. "Paradiso"significa "giardino". Quale giardino! Con tale immagine Gesù conferma il "Sarai con me" specificando che il suo interlocutore vivrà il proprio legame con Lui in una condizione di immensa felicità. Nella piena comprensione cristiana, che scaturisce dalla risurrezione di Gesù, il "paradiso" è la vita infinitamente beata della Trinità dove Gesù è entrato e con Lui i suoi, a cominciare dal malfattore crocifisso con Lui. "Salva te stesso e noi" chiedeva il primo malfattore. La salvezza, in realtà, è data da Gesù all'altro malfattore. La condizione di tale salvezza sta nella conversione e nella preghiera a Gesù. Egli non solo esaudisce tale richiesta, ma la supera. Il ladrone, infatti, chiedeva la grazia per il futuro e Gesù invece gli promette la felicità del paradiso lo stesso giorno. Gesù si rivela come il salvatore dei peccatori per mezzo della morte in croce. Si manifesta così l'efficacia del suo sacrificio: la croce di Gesù trasforma il mondo producendo la conversione delle persone e assicurando la misericordia divina.

Contemplare a fondo la croce significa capire che ci troviamo di fronte a un gesto supremo di misericordia e di perdono, e nel contempo prendere coscienza del proprio stato di peccatori. Col buon ladrone siamo invitati a considerare le sofferenze di Gesù e a riconoscere le nostre colpe. E insieme al pentimento la croce fa nascere la confidenza: "Gesù, ricordati". La risposta di Gesù "In verità ti dico..." mostra che questa confidenza è pienamente fondata. A contatto con la croce una vita interamente sciupata e perduta viene ricuperata e salvata da un atto di pentimento e di fiducia. Sul Calvario Gesù inaugura la sua regalità. La croce è la rivelazione suprema di Dio che è misericordia, perdono e amore infinito.

Il tema della Giornata Nazionale delle Migrazioni, "Il mondo come una casa: dalla diffidenza all'accoglienza", ci invita come singoli cristiani e come comunità parrocchiali a verificare e a cambiare il nostro modo di pensare e di rapportarci concretamente nei confronti degli immigrati. Tra i vari atteggiamenti che i Vescovi italiani ci propongono nel recente documento "Il volto missionario delle parrocchie..." (n.13), viene sottolineata l'ospitalità. Questa non è semplice accoglienza a chi chiede qualche servizio, ma è "saper fare spazio a chi è o si sente estraneo o addirittura straniero". Viene anche incoraggiata la ricerca dei fratelli stranieri. Nell'incontro con loro, però, bisogna offrire il meglio che abbiamo, e cioè la nostra testimonianza di fede. Che traspare anzitutto dal nostro modo di accogliere e di amare. Può essere anche, però, nel rispetto pieno dell'altro, annuncio discreto ma chiaro della speranza che è in noi, cioè il Cristo risorto.

"Oggi sarai con me...nel mio Regno". Se desideriamo sentire rivolta a noi tale assicurazione, tanto simile a quella che il Re divino farà nel giorno del Giudizio ("Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno": Mt 25,34), bisognerà che possa dirci: "Ero forestiero e mi avete ospitato" (Mt 25,35). Il Papa ci ricorda, appunto, che nello straniero la Chiesa vede Cristo che mette la sua dimora in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14) e bussa alla nostra porta (cfr. Apc 3,20). E ancora: "Nella Chiesa nessuno è straniero". L'ideale di un mondo come casa comune dove tutti, anche coloro che vengono da lontano, si sentono in famiglia, è impegno responsabile di ogni cristiano e di ogni comunità parrocchiale.

Ecco il nostro Re! Non colui che domina e umilia con l'arroganza del potere. Ma colui che serve fino a dare la vita. Colui che si "perde" tra i "perduti". Colui che proprio morendo salva. La qualità e la misura della sua regalità è l'amore, l'amore che si fa servizio fino alla morte. Riconoscerlo come Re significa convertirsi, accogliere il suo perdono e imparare a servire col suo stile e la sua dedizione.

Impareremo a ripetere anche noi al nostro Re, non solo nell'ora suprema, ma quotidianamente – soprattutto nel momento del buio e della paura -: "Gesù, ricordati di me!" e ascolteremo ogni volta la sua risposta rassicurante: "Oggi sarai con me!".

Come viviamo il rapporto con gli immigrati? Li consideriamo estranei... una minaccia... fratelli a cui non possiamo negare l'amore?

 

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