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TESTO Commento su Giovanni 9,1-38b

don Michele Cerutti

IV domenica di Quaresima (Anno B) (15/03/2015)

Vangelo: Gv 9,1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Quando parliamo di Quaresima pensiamo subito a un cammino. Un cammino ha sempre una meta e la meta sappiamo è Cristo Risorto. Questo cammino è invece Cristo e Cristo sofferente.

Paolo ci offre indicazioni precise in questa lettera ai Tessalonicesi. La lettera a Tessalonica è il primo scritto del Nuovo Testamento. In questa lettera Paolo esorta la Comunità a riscoprirsi nell'incontro con i fratelli. Non camminiamo da soli, ma sempre abbiamo bisogno dei compagni di viaggio. Ogni cammino fatto da solo senza la Comunità ci può portare fuori strada. Ogni volta che si fa delle camminate nei punti più impegnativi c'è l'attenzione a chi va più piano a chi rischia di uscire fuori strada.

In questo tempo di Quaresima, come è importante camminare bene ed insieme uscendo dall'individualismo che pervade il nostro agire. Bisogna essere attenti ai compagni di viaggio a tutti coloro che vogliono raggiungere la meta fissata. Ci sono dei punti d'appoggio ben forti in ogni cammino. Domenica scorsa ci siamo fatti aiutare d'Abramo. Lui l'abbiamo individuato come Maestro dell'ascolto, dell'obbedienza e di una saggezza che si poggia in Dio. Da alcune domeniche abbiamo un altro punto di appoggio quella di Mosé. Da questo personaggio di cui abbiamo molte informazioni della sua vita impariamo Il servizio dell'acqua e del pane. Nel libro dell'Esodo, infatti, al capitolo 15 è indicato il grande cantico di vittoria per il Signore che ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavalli e cavalieri. Dopo di che Mosé fece levare l'accampamento di Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Dopo aver camminato tre giorni nel deserto e senza trovar acqua arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara perche erano amare. Per questo erano chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mose chiedendo con insistenza che brremo. Mosé sopperisce ai bisogni più immediati della gente. Mosè succesisvamente è alle prese con il pane e con la carne. Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mose e Aronne. Gli Israeliti dissero loro: fossimo morti per mano del Signore nel paese di Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà ed invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine. Mosé deve fornire al suo popolo le risposte concrete ai suoi bisogni immediati formandosi alla dura scuola del realismo; capisce che la gente prima di avere i bisogni sublimi ha dei bisogni molto più elementari.

Questo lo porta nella dimensione del servizio della responsabilità. Mosè prova la fatica di portare il carico dei fratelli, il peso degli altri, i loro difetti, le loro difficoltà, le loro delusioni quotidiane È fondamentale, nell'esperienza di servizio di Mosé capire che servire è innanzitutto rendersi conto dei bisogni degli altri, accettare gli altri per ciò che sono. Mosè compie a coronamento di tutto ciò il servizio della consolazione. Mosé non è soltanto colui che sa portare i pesi degli altri, equilibrare le situazioni. Egli è l'uomo che sa dare coraggio, che consola, che incita. C'è poi un altro servizio che qualifica la vicenda di Mose: il servizio della preghiera e della intercessione. Mosé rimane nella tradizione biblica il grande intercessore per il suo popolo. L'episodio classico è la lotta contro gli Amaleciti descritta in Esodo 17: Quando Mose alzava le mani Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Mosé supera la stanchezza e, con le sue mani alzate verso il Signore, ottiene la vittoria. Mosé si e talmente identificato col suo popolo, che non vuole essere salvato se non con esso, non vuole che si faccia distinzione tra lui e la sua gente.

Mosè è allora modello in questo cammino in cui Cristo è sia la meta che la strada. Cristo è anche la Luce che rischiara il nostro tragitto. Lo possiamo dedurre questo dal brano del cieco nato. L'iniziativa di donare la vista a questo miracolato è di Gesù. Egli vince la nostra cecità ed in maniera sorprendente.

Mi ha colpito in questi giorni la conversione di don Roberto Dichiera.

Mi faccio aiutare dalla Gazzetta di Parma che in maniera mirabile ha fornito una sintesi della conversione di questo sacerdote.

Da spacciatore a sacerdote. E' la storia di don Roberto Dichiera, un trentottenne originario di Pisa, appartenente al movimento «Nuovi Orizzonti». Un giovane che prima distribuiva «pasticche» nei locali e ora impartisce la comunione. Nei giorni scorsi don Dichiera ha portato la sua testimonianza ai giovani della parrocchia di San Paolo Apostolo durante un incontro molto partecipato, aperto a tutta la cittadinanza. «La mia storia è composta da tante tappe - ha esordito - a dodici anni ho provato la prima sigaretta, a quattordici i superalcolici nelle discoteche. Ai miei dicevo che andavo a fare un giro in paese con gli amici e invece andavo a sballarmi». Dopo la terza Media, Roberto non ha più voglia di studiare e si arrangia con qualche lavoretto, «giusto per tirar su due lire da spendere nel weekend». A diciassette anni le prime vacanze trasgressive in Riviera romagnola. «Era il 1991 - ha ricordato don Dichiera - eravamo a Riccione e la vacanza è stata un mix tra ragazze e spinelli.

Passa il tempo e le trasgressioni aumentano. «Volevo ballare continuamente - ha proseguito - ballavo sui cubi e non mi fermavo mai. Con la maggiore età ho ottenuto ancora più libertà e facevo uso di diverse droghe (ecstasy, allucinogeni, cocaina), che io stesso vendevo all'interno delle discoteche». A diciannove anni don Roberto parte per il servizio militare, in Veneto, ma la situazione non migliora. «Avevo la mia «roba» anche in caserma - ha spiegato - bastava farla sparire nella spazzatura quando arrivavano le ispezioni e poi ripescarla, e il gioco era fatto. Poi, il venerdì, si tornava a casa in permesso e partiva il lungo fine settimana in discoteca». «Stavo bruciando nell'inferno - ha continuato don Roberto - quando un giorno il Signore ha mandato un angelo a salvarmi, un angelo con le sembianze di una meravigliosa ragazza, Manuela». Il sacerdote ha ripercorso ogni istante di quel fondamentale incontro. «Io ero con i miei commilitoni, lei con un paio di amiche - ha ricordato - Mora, bellissima, simpatica. Sentii subiti qualcosa dentro. Lei scese a Bologna, ma ci eravamo lasciati i rispettivi numeri di telefono, giurando che ci saremmo risentiti e magari rivisti». E così avviene. «Sacrificavo uno dei miei pazzi fine settimana ogni mese per andare a trovarla a Bologna - ha dichiarato - Sentivo che qualcosa in me stava cambiando: io, che ero sempre passato di ragazza in ragazza, mi stavo innamorando. All'inizio cercai di resistere, di restare quello che ero trascinando anche Manuela nel mio mondo fatto di sballo ed eccessi. Le raccontai tutto di me, le dissi che l'avrei fatta divertire. Ma c'era una forza strana in lei, qualcosa che mi diceva: "Roberto, non sarò io a seguire te. Semmai il contrario"». Il piano di Roberto infatti cambia. «La domenica - ha affermato - Manuela andava a messa, e questo succedeva anche quando andavo a dormire da lei a Bologna. Io non volevo fare quello che resta a letto a poltrire, così cominciai ad accompagnarla. Le prime volte restavo in fondo alla chiesa e pensavo: "Che noia". Poi, con il passar dei mesi, presi a trascorrere quasi tutti i fine settimana da lei e la messa diventò una costante. Lo facevo per amore, certo, ma a poco a poco iniziai ad ascoltare l'omelia, a provare a schiudere le labbra nella preghiera: ma non me ne ricordavo una, era dai tempi della cresima che non dicevo un'Ave Maria».

Don Roberto decide di confessarsi e ricevere la comunione. Da quel momento diventa un'altra persona. Niente più discoteca e soprattutto pasticche. «Stavo finalmente cominciando a capire che il Signore mi stava chiamando a sé - ha rimarcato - che nonostante avessi fatto tanto male nella mia vita, lui mi amava lo stesso. E voleva insegnarmi a mia volta ad amare». Nel 1996 don Roberto decide di diventare sacerdote.

«Ormai sono dieci anni che vivo a Roma nella comunità «Nuovi Orizzonti» - ha concluso - e sono un sacerdote di strada, ossia mi spendo per evangelizzare le persone più lontane dalla fede. Vado nei centri sociali e nelle discoteche e promuovo una serie di iniziative per favorire l'ascolto delle persone. Sono felicissimo e, come me, lo sono anche i miei genitori».

Ecco un cieco guarito. Gesù continua i suoi miracoli ancor oggi e vuole guarirci dalla cecità dell'anima.

E' bello concludere questa testimonianza con la preghiera di John Henry Newman, scritta mentre il neoconvertito al cattolicesimo percorre in mare il tragitto da Napoli alla Sicilia.
Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all'orizzonte,
un passo solo mi sarà sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!
Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell'orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà;
e con l'apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amo
e per poco avevo perduto.

 

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