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TESTO L'ora dell'amore vero

padre Gian Franco Scarpitta  

V Domenica di Quaresima (Anno B) (22/03/2015)

Vangelo: Gv 12,20-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Se i Camaleonti in una loro canzone parlavano dell'"ora dell'amore", da parte nostra possiamo parlare dell'ora dell'amore vero e universale, che raccoglie tutti gli uomini di ogni razza e provenienza. Osserviamo infatti il racconto evangelico: dei razionalisti vogliono vedere Gesù e ne fanno richiesta. Si tratta di "Greci", secondo gli esegeti membri della paganità generale (gentili) convertiti all'Ebraismo come dimostra la loro presenza alla festa di Gerusalemme, e attratti dal mistero del Dio altissimo. Sono quindi degli intellettuali, avvezzi al massimo alla religiosità pagana delle divinità idolatriche e limitate, non ancora del tutto convinti intorno alla rivelazione del Dio d'Israele o forse desiderosi di voler conoscere più a fondo questo Signore così distante dalle loro concezioni abituali. Adesso hanno sentito parlare di Gesù Salvatore, il Messia nonché Salvatore atteso, e vogliono intrattenere un colloquio con lui. Prestiamo attenzione: si rivolgono a tale scopo a Filippo, che chiama in causa Andrea entrambi apostoli dal nome greco. Forse perché vogliono scoprire se davvero egli è la Rivelazione suprema del vero Dio. Ci domandiamo: Gesù li asseconda? Soddisfa la loro richiesta di volerlo "vedere", cioè incontrare, contattare ed entrare in sintonia con lui? Apparentemente sembrerebbe che lui non conceda loro udienza, sbrigandosela con un giro di parole atto a giustificare la sua reticenza. In realtà Gesù non vuole che soddisfarli e venire loro incontro. Forse anzi si mostra propenso più verso di loro che verso tutti gli altri. Infatti nelle sue parole di risposta vi è la necessità che essi lo "vedano" al momento della sua morte e della sua resurrezione, perché appunto queste saranno le tappe determinanti in cui nel Cristo Dio rivelerà la sua gloria e affermerà la sua potenza indiscutibile. Come infatti dirà poi Paolo: "E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio."(1 Cor 1:22-24). E' nella croce che si ha la massima rivelazione del Dio d'Israele e non già nella sapienza umana o nelle prospettive di raffinato intellettualismo; sarà nel passaggio dalla morte alla resurrezione che Dio mostrerà la sua vera potenza e non nelle opere straordinarie ed eclatanti. Il Dio d'Israele è un Signore la cui gloria coincide con la vita e con la salvezza dell'uomo; la sua vera potenza è l'amore e la riconciliazione, che si rendono palesi nel sacrificio oblativo della croce, considerato inaudito agli occhi dell'umanità, ma esaltante nell'ottica esclusivamente propria di Dio. La conoscenza di Gesù esclude qualsiasi forma di esasperato esercizio di razionalità qualificandosi piuttosto come la gioia di un incontro.

Nella prima Lettura di oggi il profeta Geremia ci ragguaglia della certezza che il Signore Dio volentieri si fa conoscere dall'uomo e anzi pone le condizioni per cui l'uomo possa incontrarlo senza difficoltà e senza l'ausilio di nessuno: imprimerà la sua legge nel cuore umano e renderà così ogni persona capace di familiarizzare con Colui che altri cercano a tentoni per mezzo della scienza e della razionalità. Anche per Geremia Dio si manifesta inequivocabilmente in termini di "amore" e di "perdono" e questo lo renderà assolutamente riconoscibile alle aspettative di ogni uomo. Non occorrerà più ottenere istruzioni su Dio o averne cognizioni avulse e astruse, basterà disporsi con un'attitudine di amore e di apertura di cuore nei suoi confronti. Accogliere la rivelazione del vero Dio vuol dire fare esperienza personale di Lui, entrare in comunione e vivere immersi nel fascino misterioso della sua presenza in noi e attorno a noi. Vuol dire affascinarsi delle sue vie di gran lunga superiori rispetto alle nostre e percorrere i suoi sentieri per conseguire la gioia e la realizzazione di noi stessi e degli altri. Infatti, conoscere Dio equivale anche a testimoniarlo e a renderlo visibile a tutti per mezzo delle parole e soprattutto con le opere che palesino il suo amore.

La razionalità e la scienza esasperata non conducono che alla delusione e alla frustrazione quanto alla vera conoscenza di Dio poiché, come afferma Pascal, "la natura ha delle perfezioni per dimostrare che è un'immagine di Dio; e ha anche delle imperfezioni per dimostrare che ne è solo un'immagine" e seppure essa ci da un saggio della presenza di Dio attorno a noi, seppure ci offre la possibilità di ascendere al Creatore a partire dalla creatura, essa non è tuttavia esauriente quanto al suo mistero ineffabile. Solo la rivelazione dell'amore può convincere sul vero Dio e di questa rivelazione è massima espressione la croce, tappa necessaria della resurrezione e della glorificazione. Il Padre, la cui teofania di predilezione si era riscontrata al momento del Battesimo ("Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo") annuncia che intende glorificare il Figlio di Dio nell'esaltazione conseguente alla sua morte. In essa si verifica lo stesso destino del chicco di grano che ha una triplice possibilità: o diventare pastura per i maiali, o finire sotto una macina per trasformarsi in farina e da questa in pane o essere assorbito dalla profondità del terreno per poi crescere e moltiplicarsi in migliaia di spighe (Mandino). Gesù Figlio di Dio non si accontenta di trasformarsi immediatamente in pane per dare di se stesso un frutto poco duraturo e relativo, atto a soddisfare nei limiti di un momento, ma preferisce concedersi all'oscurità della terra del sepolcro per poi moltiplicare universalmente i frutti copiosi della sua salvezza, diventando per tutti pane vivo disceso dal cielo, Eucarestia e farmaco di immortalità. Sempre Giovanni afferma altrove che Gesù "avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine" (Gv 13, 1) e il Golgota sarà infatti il luogo del sacrificio estremamente espressivo dell'amore del quale sono destinatari tutti gli uomini, fra questi compresi i Greci, i pagani e quanti in aggiunta ad essi vogliano appagare il desiderio di incontrare Gesù. In questo luogo si realizza l'incontro di Dio con l'umanità e dell'umanità intera con se stessa e fra i singoli membri, la riconciliazione fra cielo e terra e fra l'uomo e il cosmo. E dove avrà esito l'ora dell'amore vero.

 

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