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TESTO Meraviglioso amore di Dio per l'uomo

mons. Antonio Riboldi

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/10/2002)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

E' sempre stato un difetto di noi uomini quello di cercare di tracciare i limiti delle competenze, che le varie istituzioni hanno nella società.

In fondo ci si chiede a chi apparteniamo, se alla politica, se alla cultura, se a Dio e quindi alla Chiesa. Ci teniamo a definirci, almeno noi italiani, uno stato non confessionale: ossia con le sue regole nella politica che non sono tenute, almeno apparentemente, a sottostare al Vangelo.

Come se noi uomini potessimo essere "una composizione" di varie parti, che nulla hanno a che vedere le une con le altre, come avviene appunto nei giocattoli per bambini. Nessuno vuole disconoscere le competenze delle varie istituzioni, a cominciare dalla politica, alla scuola, alla economia e a quant'altro si vuole.

Anzi la Chiesa incoraggia a rispettare tutte queste realtà che sono poi le componenti della nostra comunità civile. S. Paolo, in una lettera, invita i fedeli a "pregare per i governanti" come fa del resto sempre la Chiesa oggi.

Il loro buon funzionamento crea quella civiltà dell'amore che ha le sue fondamenta su pilastri solidi e necessari quali: educare alla vera libertà tutti, ricercare la verità che sia maestra di vita per tutti evitando menzogne di ogni tipo, promuovere la giustizia, ossia quella legalità che altro non è che "amare il prossimo come se stessi" ed infine costruire negli atti e nelle parole quella pace, che è il grande dono di Dio.

Volere come ghettizzare o alzare steccati gli uni contro gli altri, è davvero un grande male, che rischia di portare confusione e non giova affatto al bene comune.

Ai farisei del suo tempo non andava proprio giù il comportamento di Gesù che "camminava" tra la gente, cercando di portare loro tutto l'amore del Padre, e così liberarli da ogni schiavitù. Tennero consiglio per vedere loro di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono quindi i loro discepoli a dirgli: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno.

E' lecito o no pagare il tributo a Cesare? Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Ed egli domandò: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione? Gli risposero: "Di Cesare". Disse loro: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio" (Mt.22,15-21).

Una frase questa che nel tempo venne e viene usata in tutti i modi, a volte sconvolgendone il significato, pur, ripeto, di alzare steccati, che non sono certamente un servizio all'uomo.

L'uomo, questo meraviglioso Figlio di Dio, che poi siamo noi, è il capolavoro del Cuore del Padre, che l'ha voluto non come una parte contro l'altra di se stesso, ma come una preziosa composizione, che ha la sua meraviglia nella vita: ma ancora di più si avvicina a Dio nella grandezza del pensiero, della intelligenza, della libertà, che davvero lo fanno "simile al Creatore": infine ha la sua infinita nobiltà nell'essere "figlio", ossia partecipe della sua gloria nella santità.

Ogni uomo per una vita degna di questo nome ha bisogno di tutto ciò che promuove la vita, come il lavoro, la salute, la casa: diritti che, se mancano, l'uomo rischia di non essere più uomo.

L'uomo "si alza in piedi" quando gli viene riconosciuta e coltivata la sua grandezza che è nella coscienza di sé, ossia nella libertà, cultura, responsabilità. Un uomo, qualsiasi uomo, che non si nutre di questa grandezza rischia di abbassarsi al ruolo dell'animale. Da qui il diritto alla istruzione, alla informazione, a tutto ciò insomma che lo rende "uomo". Ed infine, come a corona degna di chi è chiamato a essere partecipe della stessa gloria del Padre, l'uomo ha la sua illimitata grandezza nella santità.

Salute, benessere, o quanto è questa vita corporale terrena. ha breve durata e agli occhi di Dio ci è stata data per essere servizio alla santità, all'amore e domani essere partecipi della gloria nella resurrezione. La cultura è sapere mettere gli occhi sulla bellezza della vita, del creato e quindi di Dio. Ma la santità è davvero l'uomo che si veste della grandezza del Cielo.

Politica, scuola, famiglia, chiesa, qui hanno i loro compiti precisi. E in questi compiti tutti sono chiamati a essere "servi"...Perché l'uomo, ogni uomo, è il vero centro della storia, dell'amore e del cuore di Dio.

Può capitare che la politica o la scuola o l'economia o la famiglia o la scienza non mettano più al centro del loro servizio il bene dell'uomo, ma altri interessi a volte ignobili, come la violenza, la ricchezza, il potere, la stessa economia volta al profitto, e in questo caso anziché essere servi del bene dell'uomo, si servono dell'uomo.

Di fronte a queste possibili deviazioni, la Chiesa che non guarda in faccia a nessuno ma si pone solo il dovere di dare all'uomo la Buona Novella del Padre, alza le sua voce, si fa voce di chi non ha voce. E qui nascono gli equivoci o le indebite accuse.

Le ho provate sulla mia pelle quando nel Belice, dopo il terremoto, di fronte alla inerzia di uno stato, che sembrava avesse messo in poco conto il bene di una casa per l'uomo, non esitai a essere voce di chi non aveva voce. E fui chiamato "prete-terremoto", o addirittura "sovvertitore".

Quando da Vescovo scrissi con gli altri vescovi della Campania la lettera pastorale: "Per amore del mia popolo non tacerò", ribellandoci alla dittatura della criminalità organizzata che si credeva padrona della libertà altrui, venni chiamato con fastidio "Vescovo anticamorra".

E non è stato certamente un invadere campi non della Chiesa, difendere i sacrosanti diritti dell'uomo. Come è giusto oggi difenderlo da una marea di vizi o passioni, che sono il miasma che si respira e avvelenano società, famiglie, fino a fare perdere le tracce dell'uomo, fatto ad immagine di Dio: come è nei fatti di sangue che si succedono in questi ultimi tempi e la cui ragione, non ultima, è in questo voler cancellare le impronte di Dio nel cuore dell'uomo.

"Non possiamo tacere", è quasi la norma che la Chiesa, oggi, a cominciare dal coraggio del S. Padre, deve avere. Il silenzio, davanti al calpestare la bellezza dell'uomo per la Chiesa e quindi per ogni cristiano è viltà, gravissima colpa agli occhi del Padre.

"Non possiamo tacere", non vuole dire avere il gusto di andare contro questa o quella politica, questo o quel partito, ma scuotere le coscienze a desistere dal male: a cominciare dalla guerra, che è il male dei mali.

Ripeto, a noi Chiesa interessa il bene, la gioia evangelica di tutti: senza esclusioni, perché tutti, ma proprio tutti, anche quelli che ci possono combattere, ci stanno a cuore: pronti a dare la vita perché tutti l'abbiano.

Piace chiudere con un pensiero che Paolo VI rivolse alla stampa nel 1976: "Per alcuni la Chiesa dovrebbe limitarsi ad annunciare il Vangelo senza interferire nel settore temporale, per altri, al contrario, la Chiesa dovrebbe mettere tutto il peso della sua autorità morale nella battaglia per la giustizia e contro ogni oppressione...Il problema è la liberazione dell'uomo, un aspetto inseparabile della sua salvezza integrale operata da Gesù Cristo.

Per questa liberazione la Chiesa si impegna con tutte le sue forze, ma senza mai rinunciare a proclamare direttamente il Vangelo che è lo scopo supremo della sua missione. E' dunque in virtù di una idea più alta dell'uomo e del suo destino che la Chiesa interviene spontaneamente là dove è in gioco la felicità o l'infelicità dell'uomo.

Piace ricordare l'affetto che mi mostrò Paolo VI quando nel febbraio 1976 gli portai i bambini del Belice venuti a Roma per chiedere allo Stato finalmente "la casa".

Temevo di avere sbagliato tutto nell'essere voce per chi non ha voce. Mi accolse a braccia aperte e mi disse: "Grazie, a nome della Chiesa per quanto fate per questi poveri". Era come un "grazie" detto da Dio.

 

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