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TESTO Guai a me, se non evangelizzassi

mons. Antonio Riboldi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2004)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

C'è un silenzio sul Vangelo, che è la pericolosa via che porta lentamente lontano da Dio, fino a diventare "nessuno che veramente conti" per la nostra felicità, salvezza e futuro, che porti l'impronta della Mano di Dio.

Ci lamentiamo tutti del come vanno le cose nel mondo: sembra proprio che siano caduti tutti gli argini, che difendevano la persona umana, la vita, la pace e, dentro le nostre città, le nostre case, in noi stessi, sia entrata la menzogna, frutto di ignoranza o di diabolica suggestione...tranne poi a prendercela con tutti, Dio compreso, che le cose non vanno per il verso giusto.

Sembra una memoria che abbia le sue radici lontane: una memoria da cancellare per fare spazio alle mode del tempo, anche se queste non sono e non saranno mai il Vangelo della speranza. Eppure ricordo - e penso che tanti di voi questa memoria a volte la pensiate con nostalgia - quando le nostre case, le nostre famiglie, erano davvero piccole chiese domestiche, dove si prendeva già da bambini il latte della Parola di Dio. Dio non era uno sconosciuto o un incomodo, ma era la sola ricchezza che portava con sé quello che ora pare non possediamo più: il rispetto della vita, la fedeltà coniugale, la solidarietà, l'accoglienza, la pace. Tutti beni senza i quali è difficile dare alla vita un senso di verità, di gioia e di speranza.

Troppe volte ci si preoccupa del come apparire, del come avere, del come divertirsi, fino a quando ci accorgiamo di non possedere il vero senso della vita. Dovrebbe mettere in crisi le nostre coscienze di cristiani, figli del Padre, che tanto ci ha amati da donarci suo figlio Gesù, questa ignoranza della parola di Dio, pane della vita. E pare non sia così.

E' anche vero che conosco tante persone, soprattutto giovani, che portano con sé ovunque la Bibbia, come quella fosse la sapienza e la speranza cui affidarsi sempre. Così come è vero che ci sono ancora famiglie che sanno fare della Bibbia il momento più bello della giornata nel leggerla e metterla "a capotavola" delle nostre povere mense di uomini in cerca di felicità, quella vera, anche per donarla a chi non ne ha.

Ma, ripeto, quello che dovrebbe farci riflettere e decidere, per entrare non solo nel Vangelo della speranza, ma nella stessa speranza, è l'ignoranza della scienza della vita, che è la Parola di Dio.

Non basta indignarci per il cattivo verso della nostra storia, occorre ridarle quel sapore della vita che solo la tenerezza del Padre sa donare.

Come fanno i nostri missionari in tutto il mondo, mettendo a rischio la vita, la salute, accettando di vivere in povertà con chi vive violenza e povertà, felici, ma tanto felici, di donare loro l'amore del Padre. Ne conosciamo tanti, credo, di questi nostri fratelli; preti, suore, laici, sparsi ovunque con la passione di evangelizzare. Quando ne incontro qualcuno, che torna tra noi per un riposo, non vedono l'ora di tornare tra i loro poveri ed hanno tanta commiserazione per noi che viviamo senza amore, senza Cristo. Hanno ragione.

Uno di loro, un giorno, partendo mi disse: Sapessi, Padre, cosa si prova a tornare tra i miei fedeli in Africa, in Ruanda, dove si è uccisi per nulla, come contassimo niente!

Capisco, andando tra loro, cosa provava e prova Dio, nel suo desiderio di padre, di correre tra noi, che siamo senza Lui. E' una gioia grande fare conoscere Gesù e donarli così a Gesù. Anche se so che la mia vita può essere immolata in quei posti di violenza. "E fu così. Fu ucciso come un martire. Oggi la Chiesa tutta si raccoglie a meditare, pregare, programmare il nostro partecipare alla missione.

"Il popolo di Dio, - scrive Paolo VI - è un popolo missionario. Cristo avrebbe potuto chiedere al Padre suo ed Egli glielo avrebbe messo a disposizione, "più di dodici legioni di Angeli", per annunciare al mondo la redenzione. Invece Cristo ha conferito questo compito e questo privilegio a noi; a noi "gli infimi di tutti i santi", che siamo davvero indegni di essere chiamati apostoli. Di proposito per annunciare la buona Novella all'umanità. Egli non ha voluto avvalersi di altra voce che della nostra. A noi spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia, un tempo davvero senza precedenti, in cui ai vertici di progresso, mai prima raggiunti, anche nei campi della comunicazione, si associano abissi di perplessità e di disperazione; anch'essi senza precedenti.

Se mai ci fu un tempo in cui i cristiani - tutti senza eccezione - più che mai in passato, sono chiamati a essere luce che illumina il mondo, città situata su un monte, sale che dà sapore alla vita degli uomini, questo, indubbiamente, è il nostro tempo. Noi infatti possediamo l'antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento e alla paura, di cui soffre il nostro tempo. Noi abbiamo la Buona Novella!...E la Buona Novella è questa: Dio ci ama. Egli si è fatto uomo per poter condividere la nostra vita e perché noi possiamo partecipare alla sua.

Egli cammina con noi - ogni passo della nostra strada - facendo proprie le nostre angustie, perché Egli si prende cura di noi. Perciò gli uomini non sono soli, perché Dio è presente in tutta la loro storia, quella dei popoli e quella dei singoli individui, ed Egli ci porterà - se glielo permetteremo - a una felicità eterna, superiore ad ogni speranza umana" (Paolo VI, 25 Giugno 1971).

E' di esempio incredibile e meraviglioso il Santo Padre, che non si stanca di viaggiare per le vie del mondo, incurante, come ora, del suo stato di salute, come fosse divorato dall'amore degli uomini che soffrono, sbagliano, perché non conoscono Dio.

Noi non ci vergogniamo del Vangelo, è il vanto di chi conosce la bellezza di conoscere Dio, di gioire dell'amore che viene da questa conoscenza.

Non dovremmo mai vergognarci di elevare gli uomini a quella dignità e verità, che sono il grande cuore dell'esistenza.

Non mi sono mai vergognato di parlare di chi mi sta tanto cuore, come mia mamma, mio papà, i miei amici. Sono la mia gioia e corona qui in terra. Tanto è vero che spesso, nei miei incontri, faccio riferimento a mia mamma, a mio papà, e tutti avvertono il grande amore che mi lega loro.

Devo forse vergognarmi di fare conoscere il Padre e il Suo amore?

Magari tutti, papà, mamme, giovani, finalmente divenissero voce gioiosa di Cristo! Gesù, nell'ultima cena, nel grande momento del suo testamento a chi era stato vicino a Lui negli anni della sua missione tra noi, disse ai suoi apostoli: "Non vi chiamo più servi, ma amici, perché vi ho fatto conoscere il Padre".

Come vorremmo e dovremmo avere l'altissimo desiderio ed onore di divenire anche noi, in questo senso "amici di Gesù".

Ripeto, bisogna rompere quel velenoso silenzio che il mondo vorrebbe imporci sulla conoscenza del Vangelo. Il mondo sa che è la sola via per farci restare suoi schiavi.

E' segno di grande sapienza riconoscere che l'Italia, le nostre famiglie sono diventate "terre di missione" ed aspettano i missionari".

Nella seconda lettera che S. Paolo scrive a Timoteo, mostra come a volte può capitare a noi quello che capitò a lui: "Nella mia prima difesa in tribunale - scrive - nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si adempisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili, e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo Regno eterno: a Lui Gloria nei secoli" (Tim. 4, 16-18).

Sento commozione e gratitudine, per come voi, che leggete, realizzate questo mio desiderio missionario, di farvi partecipi della conoscenza del Vangelo, con queste riflessioni: e per come tanti di voi diventino missionari, invitando amici e conoscenti, a partecipare alla lettura.
Grazie di cuore.

 

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