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TESTO Commento su Luca 8,22-25

don Michele Cerutti

IV domenica dopo l'Epifania (Anno B) (01/02/2015)

Vangelo: Lc 8,22-25 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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22E avvenne che, uno di quei giorni, Gesù salì su una barca con i suoi discepoli e disse loro: «Passiamo all’altra riva del lago». E presero il largo. 23Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Una tempesta di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo. 24Si accostarono a lui e lo svegliarono dicendo: «Maestro, maestro, siamo perduti!». Ed egli, destatosi, minacciò il vento e le acque in tempesta: si calmarono e ci fu bonaccia. 25Allora disse loro: «Dov’è la vostra fede?». Essi, impauriti e stupiti, dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che comanda anche ai venti e all’acqua, e gli obbediscono?».

Gesù è un uomo famoso un grande guaritore, un maestro e inizia una missione e in una giornata molto bella invita i discepoli a prendere la barca e andare all'altra riva del lago di Genezaret.

E' sempre così quando siamo nelle nostre sicurezze e pensiamo che tutto sia tranquillo Gesù ci chiede nella vita di fare un salto di qualità e uscire dal nostro paradiso per giocarci. Occorre remare sulla barca e andare laddove il Signore ci invita ad andare. Lasciare tutte le nostre sicurezze ci porta inevitabilmente a giungere in momenti di tempesta. Dobbiamo cercare un altro punto di equilibrio.

Incappiamo tutti nell'atteggiamento dei discepoli. Tutti pensiamo che Gesù sia assente e lo imploriamo perché si svegli dal suo torpore e venga in nostro aiuto. Gesù sprona noi dal torpore della nostra fede che sembra sempre più affievolita. "Non avete ancora fede?" E' la domanda che Gesù pone ai discepoli nel Vangelo di oggi. E' la domanda che pone a noi oggi nelle nostre difficoltà.

Come stiamo con la dimensione fede? Siamo invitati a porci questa domanda sul primato della fede nella nostra esistenza. Dio non è alla fine di un cammino, ma è il compagno di viaggio nella navigazione della nostra vita. Rischiamo oggi di avere una separazione tra fede e vita. De Lubac un grande teologo definisce questo come il dramma dell'umanesimo ateo.

La fede è un dono non perché dato ad alcuni o negato ad altri. Questo dono è consegnato a tutti, nella dimensione dell'affidamento grato. Come recuperare la fede? La fede va alimentata con il culto e i gesti di carità. Gli idoli moderni o postmoderni possono prendere il posto di Dio.

L'atto della fede nasce come bisogno. Il bimbo dice alla mamma ho bisogno, il ragazzo dice al padre ho bisogno di questo o quello, ma c'è un bisogno in quella richiesta che va oltre la necessità materiale.

La fede nasce dal bisogno. Questo bisogno si trasforma in preghiera, altre volte si trasforma in carità. Nel tendere la mano all'altro lascio che l'altro stringa la mano a me. Occorre nutrire la fiducia in sè e nei confronti degli altri e a tutto ciò si aggiunge la risposta. La fede è il luogo della risposta alla chiamata. Se non si risponde, se non ti metti in gioco non trovi Dio. Occorre per mantenere viva la fede anche tenere vivere la memoria delle grazie che il Signore ha riversato nei nostri cuori nel corso della nostra storia.

Il Libro della Sapienza, scritto nel 220 a.c., invita il popolo di Israele quello che ha compiuto nella storia liberando quel popolo dalla schiavitù d'Egitto. Poniamoci anche noi in una lettura attenta della nostra storia per capire quante volte il Signore stesso è intervenuto nella nostra vita non per i nostri meriti, ma per la grandezza del suo amore. Allora comprendiamo che nulla ci può separare dal suo amore.

Concludo, con due testimoni sono Giuseppe e Maria. Proprio loro sono stati capaci di dire al male: "Zitto, lasciaci stare, taci, calmati!" Provate a pensare, cosa ha voluto dire per questa ragazza il trovarsi incinta in un villaggio di 300 abitanti (gli scavi di Nazareth questo dicono) che saranno stati pettegoli come sappiamo esserlo solo noi credenti, e dover dire al suo promesso sposo - che l'ha già sposato, ma non vivono ancora insieme - che è incinta ma non è stato lui. Quando lui si accorge di essere davanti al mistero di Dio che lo supera, la licenzia in segreto; poi anche lui ha la sua esperienza di preghiera e di fede e dice al male: "Taci, Calmati!" Giuseppe la riaccoglie in casa come moglie e guarda a testa alta e a schiena dritta tutti che invece lo prendono come cornuto, come quello che la fa da fesso. Poi devono prendere, scappare, andare a Betlemme perché c'è l'IMU da pagare, il censimento da fare, bisogna registrarsi. E là non hanno neanche lo straccio di una casa su cui pagare l'IMU, c'è la stalla. E quando si sono acquetati, arriva il potente di turno, Erode (e la madre di Erode è sempre in cinta, in tutti i tempi della storia), che per invidia vuole farli fuori. E allora, al posto di prendere il gommone (che all'epoca non c'era), prendono l'asinello e emigrano nella terra della vergogna perché dall'Egitto Israele era uscito. Andare in Egitto per un ebreo significava vergognarsi, ma loro dicono al male "Taci! Calmati!" Vanno là, emigranti, tornano e ricominciano a lavorare. Quest'uomo, Giuseppe, muore tra le braccia a Maria cui rimane solo il figlio; ma questi prende e se ne va di casa. E gli dicono che è fuori di testa, che insegna cose strane, ma lei zitta perché è beata e perché ha creduto, l'ha detto sua cugina Elisabetta. Finché gli vengono a dire che suo figlio è in carcere e poi gli fanno fare la fine del bastardo, appeso in croce. E lei lì, zitta, sotto la croce che dice al male "Taci! Calmati! Io mi fido di mio figlio."

Chiediamo Signore che io possa trovare la consapevolezza che Tu sei il Signore di tutto e che con Te sono al sicuro. Donami di non temere nulla, se non il perdere confidenza nel tuo Amore.

 

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