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TESTO Commento su Giovanni 1,35-42

don Michele Cerutti

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/01/2015)

Vangelo: Gv 1,35-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Nella prima lettura di oggi Samuele ci dimostra che il Signore continua a chiamare a seguirlo più da vicino; Lui non si stanca di chiamare.

Credo che anche i giovani che sentono oggi la chiamata nella loro vita non siano pochi. La difficoltà odierna sta nel trovare persone come Eli capaci di decodificare i segni di una chiamata. I primi responsabili sono certamente i preti e tutti i consacrati: il popolo di Dio giustamente deve richiamarli alla loro responsabilità di persone capaci a mettersi vicino ai tanti giovani di senso che maturano germi di vocazione sacerdotale e consacrata. A questi si debbono aggiungere anche le famiglie. C'è bisogno di genitori capaci di coltivare questo aspetto nei loro figli. Oggi, entrando in crisi la famiglia, molto spesso vi sono giovani che soffocano questa loro aspirazione instillata dal Signore. C'è bisogno di preghiera perché più che crescere le vocazioni crescano Eli: c'è bisogno di persone capaci di indicare la presenza del Signore nella vita dei giovani.

Il Battista è l'uomo che sa indicare Cristo che passa nella vita di Andrea e dell'altro discepolo. Questi, dice la Scrittura, erano discepoli di Giovanni. Il Battista li ha donati, non li ha tenuti gelosamente per sé. E' il rischio di qualche padre e qualche madre che pregano per le vocazioni sacerdotali e religiose purché riguardino i figli degli altri. Quante retrosìe a donare i propri figli. E' anche un po' il rischio dei preti quando vedono sottratti alcuni giovani, sentendoli quasi proprietà.

Il Battista ci dimostra la sua libertà e il donare a Cristo questi due discepoli dimostra la sua preoccupazione per la loro felicità.

Ecco come deve essere l'Eli che dobbiamo chiedere al Signore di donarci. Un Eli aperto che sa riconoscere l'importanza del Signore nella sua vita e lo dona e lo indica agli altri. Allora il chiamato vivrà veramente un'esperienza di gioia che non riesce a tenere per sé, ma trasmette.

L'esempio ci è offerto da Andrea. Sì, perché incontrare Cristo è un'esperienza difficile da tenere per sé perché tocca profondamente. Giovanni ci spiega anche nel prosieguo che la gioia ha assunto un circolo nuovo di contagio. Altri seguiranno Gesù perché contagiati di questo amore.

Ogni sacerdote, suora e frate ha qualcuno nella sua storia che lo ha contagiato ed è salutare in loro pensare chi è stato. E' importante per loro fare quella memoria per tornare alle origini della vocazione.

Preghiamo con insistenza il Signore perché apra il cuore dei giovani a una risposta generosa di sequela e chiediamogli di donare loro persone capaci di discernere la loro vocazione.

 

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