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TESTO L’Amore guarisce da ogni male

mons. Antonio Riboldi

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/10/2004)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

E' davvero sconcertante quanto racconta il Vangelo di oggi: sembrerebbe lontano dalla verità, ma è confermato dalla attualità, di cui tanti di noi siamo a volte protagonisti, a volte testimoni.
E' il Vangelo dei dieci lebbrosi guariti da Gesù.

Ai tempi di Gesù, quanti erano di pericolo alla salute pubblica, venivano costretti a vivere fuori le mura delle città dall'autorità, che allora erano i sacerdoti del Tempio. Anche perché allora il male, e tra questi la lebbra, venivano considerati come un castigo del Padre, che certamente nella sua infinita misericordia, non fa riscorso a simili meschinità: queste casomai appartengono alla nostra meschinità, che è davvero grande.

I lebbrosi subivano così due gravi umiliazioni: la prima era nel male che abbruttiva l'aspetto fisico, al punto da non essere più presentabili agli occhi degli uomini: ma anche perché si guardava alla lebbra come ad un male che poteva contagiare. E tutti noi sappiamo come ci teniamo ad essere accolti dall'apprezzamento di chi ci vede; una bella presenza è come un biglietto di invito per essere accolti. E quanto si spende oggi, in ogni età, per avere questo lasciapassare della bellezza fisica! Indifferenti, magari, se "dentro" il nostro cuore, la nostra anima è "lebbrosa" da fare ribrezzo!

La seconda umiliazione era ben più grave della prima, perché era la completa emarginazione dalla vita in società, che è per tutti noi una delle esigenze più sentite. Condannati così una solitudine che poteva generare solo disperazione; perché l'uomo ha sete dell'altro o meglio dell'amore dell'altro, soprattutto quando si sente "lebbroso" nel cuore, più che nella pelle. Basta pensare ai tanti malati di AIDS, che vengono rifiutati, visti come un pericolo da isolare, più che come fratelli da amare di più. Basta pensare ai tossicodipendenti, guardati a volte come "peste" più che come amici, perché la nostra società, priva di valori, ha comunicato la "lebbra" del disamore alla bellezza della vita, che Dio ci ha donato, così verso di essi non si sente il dovere di una riparazione, con una accoglienza piena di infinito amore. O pensare al vero esercito di prostitute, molte volte vendute come oggetti di piacere, da uomini senza scrupoli, usate e poi emarginate, come persone private del diritto di vivere come noi e con noi per ritrovare la dignità rubata.

E in questo doloroso rosario di emarginazione vorrei ricordare le tante, ma tante persone, donne, uomini, giovani, che, per tante ragioni, con colpa o senza colpa, Dio solo può giudicare, vengono escluse dalla nostra stima, dal nostro affetto, come avessero addosso la peste. E non è così. Hanno solo bisogno, ma tanto bisogno, di trovare qualcuno che non giudichi, ma le ami, butti loro le braccia al collo, come fa Dio misericordioso, per risentire il calore dell'amore e quindi la gioia della vita.

Racconta Luca: "Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samara e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali fermatisi a distanza, alzarono la voce dicendo: "Gesù Maestro, abbi pietà di noi!" Appena li vide Gesù disse: "Andate e presentatevi ai sacerdoti".

E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarLo. Era un samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?" E gli disse: Alzati e va: la tua fede ti ha salvato" (Lc 17,11-19).

Gesù pare si soffermi, più che sulla guarigione dei dieci, su un grave difetto comune, quello di non saper riconoscere il bene che si è ricevuto e quindi "rendere gloria a Dio!" E tutti siamo chiamati a chiederci se in noi prevale quello di accorgersi del bene che Dio vuole e fa sempre e quindi fare spazio, ma molto spazio, a rendere lode all'amore, oppure quello del dimenticarsi subito di ciò che si è avuto, e non avremmo mai potuto avere da altri, e dimenticare il bene ricevuto...come fosse un dovuto! La conoscono molto bene questa ingratitudine, tanti genitori che, a volte, dopo aver fatto tutto per i figli, vengono dimenticati! E' un dolore grande, oltre che egoismo.

Conobbi un giovane che credo ora sia presso Dio. Aveva vissuto una vita spensierata, con tanti che si dicevano amici. Venne colpito dall'AIDS, e come un "lebbroso" fu subito allontanato e lasciato solo. "Creda, padre, - mi diceva con le lacrime agli occhi, che parlavano di un immenso dolore - quello che mi fa più male non è la malattia che velocemente mi conduce alla morte. E' giusto sia così: ma è questo abbandono, questa solitudine. Quando morrò, Padre, faccia in modo che ai miei funerali non partecipino quelli che si dicevano miei amici. La loro presenza da morto mi farebbe più male del male. Dovevano farsi vicini da malato e non lo hanno fatto!"

Parlando di lebbrosi, non posso dimenticare chi è stato, ed è ancora oggi, "l'amico dei lebbrosi": il grande Follereau. Si racconta di lui che nelle sue frequenti visite ai lebbrosari, non aveva certamente paura di essere una cosa sola con loro. Un giorno, al termine della vita, si incontrò con 200 lebbrosi. Non aveva più nulla da dare se non l'amore, e lo diede. Si fece avanti un lebbroso: "Non ci interessa che abbia nulla da offrirci oggi, a noi basta l'amore che sentiamo sempre e ci apre alla speranza. Permetta almeno che ognuno di noi le stringa la mano". Ciò che fecero. Dopo. Dopo poco tempo, Follereau ricevette una lettera da quei lebbrosi: "Grazie, amico, del grande amore che hai per noi. Noi abbiamo voluto conservare il profumo di questo amore non lavandoci le mani per qualche giorno, per non perdere il profumo del tuo amore che sembrava stampato nelle nostre mani, a volte monche per la lebbra".

C'è vicino a noi tanta gente che vorrebbe conoscere il profumo dell'amore, perché a loro modo si sentono lebbrosi più nell'anima che nel corpo. E' davvero incredibile quanto sia grande il bisogno di trovare mani profumate di carità in tanti, ma tanti. E costa poco donarle le mani, gettare le braccia al collo di chi si sente solo, per farlo risorgere alla vita. Non fa onore, alla nostra coscienza cristiana, fare finta di niente, peggio ancora prendere le distanze dai "lebbrosi dell'anima e del corpo", che sono tra di noi: assomiglia tanto all'atteggiamento, condannato da Gesù, del levita e del sacerdote che passando sulla via, che da Gerusalemme porta a Gerico, si imbattono nell'uomo abbandonato semivivo dai briganti. La vita di quell'uomo era davvero nelle mani di chi passava ed avrebbe avuto cura di lui. Il sacerdote ed il levita "videro e passarono oltre". Fu il samaritano che si fermò, ebbe cura di lui, come ha fatto Gesù con i dieci lebbrosi, e lo portò a completa guarigione.

E quel samaritano è Gesù per noi: ma noi lo dobbiamo essere per altri. A volte può darsi che all'amore risponda l'amore della gratitudine: a volte, tocca a noi, quello che è toccato a Gesù: ossia fare finta di niente.

Ma il bene non si fa per essere gratificati. Si ama perché si ama: l'amore è un dono gratuito e libero, senza attesa di risposta. L'unico che dobbiamo lodare è Dio che ci ama.

Amiamoli gli ultimi! Ne abbiamo tanti fra di noi. E non succeda quanto è successo un giorno a me. Intervenendo a favore degli immigrati o terzomondiali, che sono tanti oggi tra di noi, suscitai un vespaio di dissenso. Così uno sbottò: "Sporco vescovo comunista, perché non te ne vai tra i tuoi amici africani? Ricordati che la nostra pazienza ha un limite".
Gli risposi: "Per fortuna la pazienza di Dio no".

 

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