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TESTO Commento su Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22

don Raffaello Ciccone  

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Domenica dopo Ottava del Natale del Signore (04/01/2015)

Vangelo: Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,14-22

14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

18Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l’unzione

e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,

a proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

a rimettere in libertà gli oppressi,

19a proclamare l’anno di grazia del Signore.

20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

Siracide 24,1-12
Dopo avere, per secoli, accolto la Parola del Signore ed averla letta, analizzata, confrontata, imparata a memoria nei tempi drammatici e gloriosi del popolo d'Israele, si è sviluppata con stupore e meraviglia la scoperta della bellezza e della profondità della Sapienza. Infatti, in questo libro, scritto nel 2º secolo a. C., neppure accettato come testo canonico dagli ebrei e quindi dai cristiani protestanti, pur se conosciuto anche nel testo ebraico, è come se si levasse il velo della quotidianità e si riuscisse a svelare le ricchezze, la pienezza della Sapienza di Dio che ha creato il mondo. Proprio quella Sapienza di architetto e di inventore del mondo, ora, trascrive in parole e formule la sua ricchezza. Come lo scienziato che ha creato una macchina meravigliosa, poi scrive la formula per riproporla nel mondo, per conoscerla, per ripararla, per difenderla da ciò che corrode e deteriora, dagli incidenti, dai furti.
Si sente, insieme, l'orgoglio dell'aver ricevuto un tesoro in dono e la volontà del confronto con la coscienza pagana che non può assolutamente competere con la pienezza di Dio che si svela a noi nella Parola. Il popolo ebraico possiede la "Torah" (legge-insegnamento) che è la strada che conduce alla vita. Essa è la Sapienza di Dio che si è installata in Israele, dono gratuito che non si può meritare.
L'intuizione fondamentale è la gratuità della Sapienza: "Ogni Sapienza viene dal Signore e con Lui rimane per sempre " (Sir 1,1). La sua funzione è quella di stare presso Dio. Ed è persino commovente seguire la peregrinazione da una dimora ad un'altra, immaginare le infinite passeggiate dal cielo alle profondità degli abissi, seguirla nella conoscenza delle nazioni con la libertà di ripercorrere tutta la terra.
Ma il Signore la invia sulla terra a cercarsi la casa e riceve l'ordine di stabilirsi in Israele. Il luogo di riposo è il monte Sion, il luogo del Tempio di Gerusalemme. Là, la Sapienza prende la Parola e parla nell'assemblea liturgica. Il culto, nella città santa, è esso stesso opera della Sapienza sia perché, come l'ordine nel mondo, vi esprime la maestà e la perfezione divina e sia perché fa ritrovare armonia nella legge, come Dio l'ha codificata (v.22). La Sapienza è paragonata anche ad un albero splendido che mette radici nel popolo.
Essa aspira ad una presenza nel popolo da Dio amato. Desidera quindi che sia mantenuta non solo la ricchezza della Parola, ma anche la sua concretezza nella testimonianza di una presenza. la Parola deve essere raccolta, pensata, capita ma deve anche diventare vita. E la Sapienza sa che la Parola, per quanto letta e umilmente ospitata, non riesce ad abbattere la diffidenza delle paure, le incertezze, la perplessità. Così la Sapienza annuncia il Messia. La Sapienza si fa carne.
L'evangelista Giovanni accetta di fare sintesi e traduce nel suo Prologo (Gv1,1-18): la Parola (il Logos, la Sapienza uscita dalla bocca di Dio) si fa uomo in Gesù. Egli è riconosciuto dalla Comunità cristiana: la Chiesa. Il Gesù di Giovanni è la nuova Sapienza che dà significato alle cose, identifica ogni persona, uomo e donna come figli di Dio, restituisce al mondo il progetto di ricostituire il mondo come uscito dalle mani di Dio, riconduce la realtà alla bellezza della creazione, ai cieli nuovi e terra nuova. La Sapienza, che si è fatta carne, è la salvezza piena, che si affida a noi e, passo passo, anche attraverso noi, restituirà il mondo allo splendore dell'inizio.

Romani 8, 3b-9a.
San Paolo vuole sviluppare la conoscenza del dono dello Spirito e il capitolo 8, di cui, oggi, leggiamo solo una parte, si può intitolare: "La vita secondo lo Spirito" (Rom 8,1-39). La vita cristiana, che pure è destinata alla morte, riceve il dono dello Spirito, lo Spirito creatore che aleggiò sul caos all'inizio della creazione, lo stesso che fa risorgere Gesù dalla morte, e lo stesso che possiede la potenza e lo splendore della vita e scende sulla Chiesa a Pentecoste. "Nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù"(8,1) poiché "la legge dello Spirito libera dalla legge del peccato" (8,2). Questa trasformazione è possibile poiché Gesù ha preso la nostra stessa carne mortale. Morendo, la sua carne e il male, che ha preso su di sé, sono stati distrutti nella morte. In Lui prende possesso, come in noi, lo Spirito del risorto e la carne è trasfigurata. Da Gesù ereditiamo nuovi stili e valori che inglobano, ancora, l'eccezionale Sapienza della Prima Alleanza, ma si aprono alla pienezza della maturità. Ogni giorno, nella vita quotidiana, Paolo ci rassicura: "Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi" (v.9). E mentre afferma ciò che la sua coscienza di credente gli garantisce, intravvede che c'è un cammino nuovo da compiere, nella linea di Gesù. E con lo Spirito ricupera anche, con fiducia, tutte quelle doti proprie della comunità umana, e insieme quelle ricchezze del vivere quotidiano di molte persone che Paolo ha conosciuto.
Paolo intuisce che lo Spirito del Signore, nel cuore di ciascuno che è credente in Gesù, offre un modello inarrivabile in pienezza di vita; ma capisce anche che il Signore ha diffuso splendori e bellezze tali da donare esempi e aiuti ad ogni progetto di vita.
Il Concilio Vaticano II ce lo ripete e ci rassicura: abbiamo la conoscenza di Gesù e il dono dello Spirito. E attorno a noi tante persone vivono con coraggio e generosità, semplicemente, e nemmeno si rendono conto del loro vivere secondo lo Spirito.
Lo abbiamo letto nel tempo di avvento: "In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri".
Paolo raccomanda un ideale di condotta di cui tutti i termini erano correnti presso i moralisti greci del suo tempo (è la sola volta che usa la parola «virtù»), ma invita a metterlo in pratica secondo gli insegnamenti e soprattutto l'esempio che egli ne ha dato.
Incoraggia infatti a trovare dei buoni maestri che educhino nella scoperta del Bene e, senza esibizione, si propone a modello pratico: "Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetelo in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!" (Fil 4,8-9). La stessa cosa dice qualche versetto prima: "Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi" (Fil 3,17).
Le relazioni nel lavoro, il rapporto di solidarietà, l'attenzione ai bisogni delle persone che ci vivono accanto, i criteri di pace che vanno costruiti con intelligenza, cercando di salvare la dignità e la responsabilità di ciascuno, sono alcuni elementi di stili di vita cristiani. Eppure, su tutto questo, siamo in un mondo in cui non ci si interroga a sufficienza. Dovrebbe essere questo l'ambito degli interrogativi tra cristiani, all'interno dei contesti di vita, con uno scambio intelligente di ricerca, riflessione, impostazioni di vita e di comprensione di criteri. Eppure difficilmente il mondo cattolico, o le parrocchie, si ritrovano a interrogarsi e a raccontarsi fatti e intuizioni (non pettegolezzi) sul senso nel quotidiano, sulle operazioni di giustizia e di responsabilità nel proprio quartiere, sui rapporti di solidarietà. Deve emergere non la scaltrezza del potere, né la ricerca di aggregazione per un far valere di più quello che ci interessa.
In ogni laico adulto si ponga interrogativi credenti, e che ci aiuti a cercare ciò che nell'oggi può essere volontà di Dio. E va cercato nella realtà sociale e nella burocrazia, nel sindacato e nel mondo politico della propria aggregazione. Lo scopo finale non dovrebbe alimentare un piano partitico ma il bene comune, non la convergenza di un voto, ma il coraggio di creare una consapevolezza di criteri morali di vita.

Lc 04,14-22
"Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui". Gesù ha appena finito di leggere nel rotolo di Isaia quali sono i gesti che proclamano l'anno del Signore: "Sollevare i poveri ad accogliere la gioia, promuovere liberazione e dignità a tutti coloro che sono ridotti schiavi e prigionieri, sciogliere gli oppressi dai pesi e dai gioghi, dare la vista a chi è cieco". Dare la vista non significa soltanto togliere la cecità fisica, ma rendere capaci di vedere, cioè di capire, di comprendere, di accogliere, di valutare nella loro vita persone e cose, fatti e avvenimenti. Dare la vista significa porsi nel mondo e nella storia come adulti: non c'è tempo per l'infantilismo, la vita ti chiede di mettere in circolazione ciò che sei e ciò che hai ricevuto in dono, per illuminare e amare quella parte di mondo, di storia e di tempo in cui sei inserito. Per non tradire quello Spirito del Signore che è sopra ciascuno: sopra e dentro Gesù, in maniera particolare, ma sopra e dentro ciascuno di noi, perché ciascuno è prezioso agli occhi di Dio ed è da lui pensato secondo il profilo di Gesù. Dobbiamo sempre chiedere al Signore di riavere la vista come il cieco Bartimeo (Mc 10,46), perché l'amore non ha confini ed è un mistero nel senso che sempre ci eccede e ci porta a sconfinare là dove magari non vorremmo, perché siamo stanchi, perché -tutto sommato- abbiamo le nostre comodità. Anche se piccole, anche se non le riteniamo tali. Il richiamo di oggi è di essere adulti e svezzati, parte viva dell'umanità.

don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)

 

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