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TESTO Commento su Is 11,1-10; Eb 7,14-17.22.25; Gv 1,19-27a.15c.27b-28

don Raffaello Ciccone  

V domenica T. Avvento (Anno B) (14/12/2014)

Vangelo: Is 11,1-10; Eb 7,14-17.22.25; Gv 1,19-27a.15c.27b-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,19-27a.15c.27b-28

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Isaia 11,1-10: il germoglio che salva
Il profeta Isaia sente insieme la povertà del suo popolo che si è sviluppata sempre più e la pietà per questo disfacimento palese. Questo popolo era nello splendore e nella potenza al tempo di Davide che germogliò come un virgulto da una radice povera e sconosciuta, il pastore di Betlemme Iesse, ed era diventata forte come i cedri del Libano. Ma ormai sono venuti i boscaioli ed hanno tagliato, bruciato, aggredito questo grande popolo benedetto da Dio un tempo, ma ora lasciato in balia del male che aggredisce e che corrode per il peccato di abbandono di Dio e per il rifiuto della sua legge. Ma mentre lo scoraggiamento serpeggia di fronte agli attacchi delle grandi potenze come quella degli Assiri (siamo nel tempo della espansione di questi eserciti di invasori e razziatori che travolgono tutto e che sottometteranno il regno del Nord: le 10 tribù d'Israele nel 721 a.C.), Il profeta sente il suo compito che riceve da Dio con urgenza e impegno: il popolo deve essere aiutato alla speranza.

E' la responsabilità che ogni fedele, amico di Dio, deve vivere con fiducia. "Se sei fedele a Dio devi portare speranza ai fratelli ed alle sorelle". E Isaia incoraggia il suo popolo del Sud: la Giudea e Gerusalemme, tracciando l'identità di un nuovo re, nel "libro dell'Emanuele" (parte iniziale del libro).

C'è il profilo della vita nuova: il capitolo 7 ne annuncia il concepimento, il c.9 ne canta la nascita regale, il c.11 ne descrive il regno. E dal ceppo ormai sterile e abbandonato, da quelle radici nasce un virgulto e sarà ricco delle Spirito del Signore. E' lo Spirito ricordato 4 volte per indicare l'universalità, l'abbondanza e la pienezza che nascono dai quattro punti cardinali della terra e spira come all'inizio della creazione (Gn1,2). La potenza del Signore lo arricchirà di doni, elencati in tre coppie che si richiamano ai doni dei Grandi del popolo:
- sapienza e intelligenza (doni a Salomone),
- consiglio e fortezza (doni a Davide),
- conoscenza e timore del Signore (conoscenza e rispetto di Dio come la ricchezza di fede dei patriarchi).
Questo elenco sarà ripreso nel catechismo e arriverà a definire i 7 doni dello Spirito: Va aggiunta "pietà", la scoperta della misericordia di Dio per noi e quindi la nostra disponibilità a voler bene.
Ci sarà giustizia perché affronterà drammi e difficoltà con lucidità e non " per sentito dire". Si farà carico della giustizia dei poveri e la garantirà. Questo eliminerà male e guerra e sarà garante della pace. Ci sarà pace tra cielo e terra, tra gli uomini e le donne, tra gli stessi animali, come all'inizio della creazione. L'amore di Dio e il rispetto della sua legge porteranno giustizia e quindi il rifiuto della violenza. Questo germoglio lo abbiamo conosciuto. Continuiamo, certo, a vedere drammi e ingiustizie, guerre e violenze, ma questo germoglio ha generato un popolo che è la Chiesa ed a noi, che ne facciamo parte, vengono consegnati questa proposta di novità e l'impegno della pace vera.

Ebrei 7, 14-17. 22. 25 il Sommo Sacerdote che intercede
Nel mondo degli ebrei convertiti ritorna la nostalgia del mondo sacerdotale che serviva il tempio nel fasto di grandi liturgie di offerte, sacrifici, presenze significative e personaggi famosi. Non ultimo, manca, a questi ebrei convertiti, la soddisfazione di poter offrire a Dio costosi animali. L'offerta restituiva la soddisfazione di essere graditi a Dio e di fare qualcosa per Lui. Tanto da meritare il suo intervento.
Nel Nuovo Testamento, solo nella lettera agli Ebrei di parla di sacerdozio per limitarsi al "Sommo sacerdote" che è Gesù, e in relazione della sua morte in croce e la sua Pasqua. Per i ministri della Comunità cristiana si usano altri nomi che vengono dal mondo laico greco: "episcopi, presbiteri e diaconi". Con il secolo terzo si inizia a chiamare sacerdote il "vescovo" e solo più tardi si usa la parola "sacerdote" anche per i presbiteri. Anzi si arriva a ritenere equivalenti il sacerdozio ed il presbiterato. Ordinati con il sacramento dell'Ordine, i sacerdoti nella Comunità cristiana si dedicano con il loro ministero ad un particolare servizio a Cristo ed alla Chiesa.

Questa lettera confronta l'antico sacerdozio levitico del tempio, fatto di uomini peccatori e il perfetto e unico sacerdozio di Cristo. Tale sacerdozio di Gesù non si misura, dice l'autore, con il sacerdozio levitico, ma con la figura di Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme), citato in due passi biblici: Gen14,17-20 e Salmo 110,4. Gen14,17-20: "Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaòmer e dei re che erano con lui, Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Ed egli (Abramo) diede a lui la decima di tutto".
Questo semplicissimo episodio diventa un segnale preziosissimo se unito al testo del Salmo 110,4: "Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek».
Il re di Salem, Melchisedek, con la sua breve e misteriosa comparsa, è ricordato come il re di Gerusalemme dove Dio abita secondo la tradizione ebraica. Di lui non si descrive né la sua genealogia, né la nascita e la morte. Si racconta solo che benedice Abramo e da lui riceve le decime. È sacerdote e insieme re giusto e pacifico. Gesù Cristo è sacerdote dello stesso tipo di Melchisedek in quanto insieme è Sacerdote e Re. Si applica così il salmo 110. È rappresentato come sacerdote eterno e nel rapporto con il sacerdozio di Gesù, si dice che è superiore a quello dei lieviti. Insieme nel Salmo 110,4 il re Melchisedek è considerato un anticipo della figura di Davide e, a sua volta, una figura del Messia, re e sacerdote.
La mediazione di Gesù porta alla piena realizzazione della figura di Melchisedek: Gesù è la salvezza totale perché è "perfetto" agli occhi di Dio. Infatti, con la sua ubbidienza, è stato cosciente e fedele alla volontà del Padre fino alla morte.
Questa presenza nella nostra vita, al centro della nostra fede, garantisce di avere accesso al Padre e di svolgere il compito che il sacerdote sviluppa: offrire i doni del Padre, in particolare, il suo Spirito e la sua misericordia, e portare al Padre le nostre attese con le nostre preghiere. Noi, che a somiglianza di Gesù siamo sacerdoti, re e profeti, con tale intercessione possiamo sentirci fiduciosi di essere dei buoni testimoni per Gesù e dei buoni fedeli verso inostri fratelli e sorelle.

Gv1,19-27°. 15c.27b-28 La voce
Una domanda si rincorre nella 1ª parte del Vangelo di oggi: "Tu, chi sei?". "Chi sei, dunque?". "Che cosa dici di te stesso?". È una domanda rivolta a Giovanni, il Battista; questo personaggio umile e gigantesco che annuncia il Messia nel quadro di una giustizia da recuperare e di una dignità umana disprezzata nelle pieghe della corruzione e dell'indifferenza dilaganti.
È necessaria una conversione radicale, un modo diverso e autentico di pensare a Dio e l'umanità. Ci vuole una preparazione ad accogliere Gesù che si presenterà nel modo più impensabile come manifestazione di Dio.
Ma è una domanda rivolta anche a ciascuno di noi: "Tu, chi sei? Che cosa dici di te stesso?". E ci troviamo impreparati a rispondere: è un invito a guardarci dentro senza veli e senza risposte preconfezionate, lasciandoci svelare da lui e ricondurre alla condizione di figli amati, di persone chiamate a salvezza.
Salvezza da noi stessi e da quanto ci fa scivolare nell'ombra della morte.
Sarebbe bello poter dire anche noi di essere "voce", cioè capaci di comunicare qualcosa di importante e di vero, desiderosi di aprire e di spianare le vie del Signore. Di far nascere relazioni vive. Un'altra riflessione riguarda l'ultima parte di questo Vangelo, dove viene detto: "In mezzo a voi sta uno che non conoscete", che ci rimanda alla constatazione che normalmente non ci accorgiamo del Signore che sta in mezzo a noi e che perciò non dobbiamo mai smettere di cercarlo e di lasciarci condurre là dove abita per capire che l'incontro con Lui è irripetibile e incancellabile, nonostante tutte le nostre defezioni e allontanamenti.
"In mezzo a voi sta uno che non conoscete"; uno che sarà, che è Colui che libera, che cammina con noi, che non ci abbandona e che desidera salvarci sempre e consolarci.

don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini Vangelo

 

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