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TESTO L'essenziale e la Speranza

don Alberto Brignoli  

II Domenica di Avvento (Anno B) (07/12/2014)

Vangelo: Mc 1,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,1-8

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

3Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri,

4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Sembra strano, o quantomeno inusuale, sentir parlare di "conversione per il perdono dei peccati" in questo periodo dell'Anno Liturgico. È vero che sono toni di un discorso che si confanno parecchio alla figura di Giovanni il Battista, ma di certo queste parole le sentiamo risuonare con più facilità nel Tempo di Quaresima. Giovanni è comunque il precursore di Gesù, e se il Tempo di Avvento ci prepara alla venuta del Signore, nessuno meglio di lui può aiutarci a "preparare la via del Signore". Tra l'altro, lo fa con piena autorevolezza, perché Giovanni incarna in sé quelle tradizioni della profezia dell'Antico Testamento, che si rifanno a due figure profetiche fondamentali, quella di Isaia e quella di Elia.

Il Battista, infatti, è descritto da Marco (così come da Matteo) con le stesse caratteristiche di Elia, anche nella sua vicenda storica: entrambi vivono come nomadi, entrambi vestono selvaggiamente alla stessa maniera, entrambi lottano con forza contro i rispettivi sovrani del loro tempo, i quali a loro volta sono sostenuti da due consorti (le regine Gezabele ed Erodiade) che fanno di tutto per rovinare, riuscendoci, la vita dei due profeti. Per non parlare di gesti e frasi che Giovanni compie quasi nella stessa modalità in cui le compì Elia. Ascoltare, quindi, l'invito di conversione che Giovanni ci rivolge in questa seconda domenica di Avvento, ci rimanda direttamente ai contenuti della predicazione di Elia, mandato da Dio per riportare sulla genuina via della fede dei Padri un popolo che si era perso dietro ai culti di altri popoli stranieri introdotti nel Regno proprio dalla famiglia reale. Anche se le modalità di Elia avevano caratteristiche certamente più violente rispetto a quelle di Giovanni (che rimasero violente solo verbalmente), il concetto di fondo della loro predicazione era lo stesso: ritornare a vivere con Dio un rapporto genuino, puro, essenziale, vero.

Ben diversa, ma ugualmente significativa, è la comparazione tra Giovanni e Isaia, il più conosciuto tra i profeti, altra grande figura del nostro cammino in preparazione al Natale (a lui, infatti, appartengono i testi che conformano le prime letture delle domeniche di questo tempo). Diversa, perché diverso è il tono del messaggio di Isaia, almeno quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi, a cui Giovanni fa da cassa di risonanza attraverso le primissime parole virgolettate del vangelo di Marco: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore". Queste parole sono collocate da Isaia all'interno di quella parte della sua opera che viene chiamata "Libro della Consolazione di Israele" (le prime parole della lettura di oggi ce ne chiariscono il motivo), ovvero quell'insieme di parole di speranza pronunciate al popolo d'Israele mentre si trova in esilio nella terra di Babilonia, desideroso solamente di sapere che presto avrebbe fatto ritorno in patria.

Giovanni, quindi, assume su di sé entrambi gli aspetti della profezia (l'essenzialità della fede e il tenero annuncio della speranza), e ne fa il nucleo del suo messaggio, che rimane comunque un messaggio di conversione per il perdono dei peccati, reso visibile dal gesto dell'immersione nel Giordano, il battesimo, appunto. Ottenere il perdono dei peccati significa, in Giovanni, operare una conversione, un cambiamento di mentalità e di comportamento nel nostro rapporto con Dio, basato su questi due concetti-chiave: la riscoperta di una fede essenziale (come Elia la ricercava) e la fiducia - ricolma di speranza - nella tenerezza di Dio, cantata da Isaia agli esiliati.

Essenzialità e speranza: questi sono i due messaggi che la Liturgia della seconda domenica di Avvento ci consegna, e ce li consegna sotto forma di "cambio di mentalità", di cambio di prospettiva, di cambiamento della vita di fede, soprattutto del nostro modo di vedere Dio. Perché c'è bisogno di questo cambio di mentalità? Probabilmente perché non è così ovvio e scontato che il nostro rapporto con Dio sia basato sull'essenzialità e sulla speranza. E in effetti, abbiamo ancora molto da imparare, su questi due aspetti.

La nostra vita di fede, così come spesso la nostra stessa esistenza quotidiana, manca di essenzialità. Anche noi, come il popolo di Dio al tempo di Elia, viviamo una fede farcita da tutta una serie di ingredienti che con Dio e con il suo messaggio hanno ben poco da vedere, come era per i culti pagani di Acab e Gezabele ai tempi di Elia. Invece di stare in contatto con la Parola di Dio leggendo la Bibbia, farciamo la fede con un'abbondanza di elementi dottrinali e catechetici che, per quanto suggestivi e appetitosi, non fanno altro che nasconderci la visione chiara ed essenziale di Dio. Invece di partecipare ai Sacramenti e di viverli con l'essenzialità con cui i riti ce li hanno tramandati, li farciamo con tutta una serie di elementi più o meno paganeggianti che poi mascheriamo di solennità rituale. Invece di vivere la carità cristiana immediata e spicciola, fatta di elemosina e di solidarietà, farciamo l'attenzione verso i più bisognosi con un mucchio di programmi e di strutture così pesanti e farraginose che ci fanno perdere tempo, e in quel frattempo i nostri fratelli continuano a morire di fame, di sete, di freddo, delle peggiori malattie.

Se è vero, come lo è, che il nostro Dio è un Dio della Vita e della Speranza, il messaggio cristiano, se vuole tornare a essere essenziale e genuino, deve avere al centro della propria predicazione e della propria azione pastorale l'annuncio della Speranza, l'annuncio di un Dio teneramente misericordioso e prossimo, che ci chiama a lui, che non ci allontana come spesso fanno la pesantezza delle nostre strutture e la formalità dei nostri atti ecclesiastici.

Termino ricordando alcune parole di Papa Francesco, che spesso batte il chiodo sull'essenzialità della nostra vita di credenti. "Essere cristiani - dice Francesco - esige l'impegno comune per un progetto pastorale che richiami l'essenziale e che sia ben centrato sull'essenziale, cioè su Gesù Cristo. Non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l'incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore" (14 ottobre 2013).

Mi sa che non è sufficiente il cammino del Tempo di Avvento per attuare questa conversione...però quantomeno iniziamo a farlo!

 

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