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TESTO Commento su Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/11/2014)

Vangelo: Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Domenica la liturgia ci proponeva il ricordo della dedicazione della cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Il tempio è il luogo dove ci si può riunire per pregare e per incontrare Dio, ma cosa molto più grande è la capacità di riconoscere Dio nel fratello che ci sta davanti, che ci chiede qualcosa, che ha bisogno di aiuto o che semplicemente vuole parlare con noi. Come Gesù anche noi siamo tempio dello Spirito di Dio per mezzo della grazia che ciascuno ha ricevuto da lui e che ci viene data anche attraverso i sacramenti.

La liturgia di questa domenica ci mette a confronto con la parabola dei talenti. Il cristiano che accoglie il messaggio della salvezza deve impegnarsi con coraggio nel far fruttare durante la sua vita i doni che il Signore gli concede. Il Signore mette nelle mani dell'uomo tutta la creazione, si fida dell'uomo che con il suo lavoro la deve rispettare facendola fruttare per il bene di tutti, anche di coloro che non hanno le forze per fare nulla e godrà della gioia di Dio.
Nella prima lettura tratta dal libro dei Proverbi, l'autore fa una lunga descrizione della donna perfetta.
Essa è attiva e responsabile, generosa con i poveri e gioia per il marito, lo onorerà per tutti i giorni della sua vita.
Una donna forte vale molto più di tante cose preziose e vane, illusorio è infatti il fascino e la bellezza passa presto, ma l'opera delle sue mani verrà ricordata anche fuori dalla città.
Difficile oggi pensare questo: nel nostro tempo infatti contano molto le apparenze piuttosto che la realtà vera di ciascuno. Le mode ci portano a non vedere più quello che è veramente essenziale per la nostra vita, per il nostro bene e per quello degli altri che in Cristo sono fratelli.
Spesso parliamo di "sobrietà" con i fidanzati, proprio nel momento in cui stanno preparando il loro matrimonio sacramento, e molto spesso ci accorgiamo che "Cristo" non è stato neppure invitato.
Per loro è quasi obbligatorio fare tutto come fanno gli altri!
Con il ritornello del salmo responsoriale "Beato l'uomo che teme il Signore" viene ricordato che colui che teme il Signore e cammina nelle sue vie e vivrà del lavoro delle sue mani sarà felice per sempre.
Il secondo versetto fa l'esaltazione della donna che viene paragonata ad una vite feconda, i figli come virgulti e la tavola sarà sempre imbandita, potrà così essere felice e vedere la grandiosità di Gerusalemme.
Nella seconda lettura l'apostolo Paolo scrive ai fratelli di Tessalonica, ricorda loro che non sanno il momento e l'ora in cui incontreranno il Signore, ma questo non è una preoccupazione per l'uomo che vive la sua vita nella luce e nel giorno; chi vive nella speranza dell'incontro non può avere paura.
Siamo Cristiani ma quando si parla della morte non siamo mai molto tranquilli. Anche molti sacerdoti pur predicando che la morte è il momento più grande della nostra vita perché torniamo da dove siamo venuti, hanno però personalmente paura di morire.
Questo succede perché nonostante la fede siamo legati a questa terra che ci invade tutta l'anima e ci impedisce di godere per quello che sarà la vita soprannaturale. Vogliamo solo certezze e non speranze.
L'apostolo Matteo, nel brano di vangelo, ci presenta la parabola dei talenti. In questa parabola il Signore vuole insegnarci che per essere "servi buoni e fedeli" non basta essere pieni di buone parole, ma di opere.
Il brano è noto: un padrone prima di partire per un lungo viaggio, chiama i suoi servi e dà a loro tutte le sue ricchezze. Ad uno dona cinque talenti, a un altro due talenti, a un altro uno, secondo le capacità di ognuno.
I primi andarono subito ad impegnare i talenti ricevuti e ne guadagnarono il doppio, chi invece ne aveva ricevuto uno solo scavò una buca e lo sotterrò.
Dopo molto tempo il padrone tornò e volle regolare i conti con i suoi servi. I primi dissero di aver fatto fruttare i loro denari e gli dettero ciò che avevano guadagnato, e il padrone lodò la loro fatica e disse loro che come erano stati fedeli nel poco avrebbero avuto potere su molto e avrebbero preso parte alla gioia del padrone.
Chi invece aveva sotterrato il denaro glielo restituì dicendogli che aveva agito così per paura di perderlo e perché sapeva che il padrone era un uomo duro e "mieteva dove non aveva seminato e raccoglieva dove non aveva sparso".
Il padrone non approvò quello che aveva fatto, gli disse che almeno avrebbe potuto affidare il denaro ai banchieri che lo avrebbero fatto fruttare e al mio ritorno avrebbe ritirato il guadagno. Gli fece togliere il talento per darlo a chi ne aveva dieci, perché "a chi è nell'abbondanza sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha."
Ordinò poi che il servo inutile fosse buttato fuori nelle tenebre "dove c'è pianto e stridore di denti".
Dalla lettura di questo brano ci viene spontaneo pensare alla grandezza di Dio Padre, che nella sua onnipotenza ha voluto l'uomo come collaboratore. Egli infatti affida all'uomo tutto ciò che ha creato, anzi ha creato l'universo per l'uomo e per la sua felicità.
All'uomo ha solo chiesto di non distruggere quello che lui ha creato, ma di farlo fruttificare. Noi non possediamo nulla abbiamo solo ciò che Dio ci dona.
I due servi della parabola sono coloro che in vita hanno collaborato con Dio, affinché la natura si moltiplicasse e potesse essere cibo per l'umanità. Il padrone loda i due servi perché hanno messo in pratica ciò che lui voleva per il bene comune: Sono i santi che hanno avuto il coraggio di spendere la propria vita per gli altri, hanno speso i loro doni a favore dei fratelli.
Il servo infedele viene allontanato soprattutto perché non è utile a nessuno, non ha avuto fede e speranza nella misericordia di Dio. Non si è messo in gioco, non ha speso la propria vita per nessuno, se non per lui stesso, in una parola ha rinunciato a vivere.
Potrebbe sembrare ingiusto, con la nostra mente umana, il fatto che Dio abbia distribuito i suoi dono in misura diversa: Il Signore sa quello che fa e distribuisce a ciascuno secondo le proprie capacità affinché nel mondo ci possano essere varietà di carismi e possa così realizzarsi la condivisione e la comunione fraterna degli uomini.
Se noi abbiamo la salute, l'intelligenza, il benessere dovuto al nostro lavoro, se queste cose le teniamo solo per noi non ci frutteranno nulla, anzi si perderanno e non potranno essere donate. Abbiamo letto da qualche parte che quando ci presenteremo davanti a Dio non ci serviranno tutte le cose che abbiamo accumulato ma solo tutto ciò che abbiamo donato, in modo particolare l'amore.
Quando eravamo molto giovani ricordiamo che un sacerdote non più giovane in una omelia aveva scandalizzato l'assemblea dicendo che alla fine della nostra vita non saremo giudicati sulle messe ascoltate ma solo sull'amore con cui ci saremo rapportati con i fratelli.
In un libro abbiamo ancora letto che l'uomo che tiene per sé i doni ricevuti da Dio e non li usa per fare del bene, che ci piaccia o no, è un ladro.
Molte cose ci possono ingannare l'unica cosa che non inganna mai è l'Amore.
Per la riflessione di coppia e di famiglia
- Siamo disposti a far fruttare i doni che Dio ci ha dato?
- Per far fruttare i doni che abbiamo ricevuto dobbiamo mettere in gioco tutta la nostra vita a favore degli altri. Ne siamo capaci?
-Che cosa ci impedisce di far fruttare i doni di Dio? Riusciamo a capire il perché delle nostre scelte sbagliate e a cambiarle alla luce del vangelo?
-Le qualità della donna perfetta ci sembrano ancora oggi realizzabili?
Gianna e Aldo - CPM Genova

 

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