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TESTO La sapienza si lascia trovare da quelli che la cercano

dom Luigi Gioia  

Dedicazione della Basilica Lateranense (09/11/2014)

Vangelo: Gv 2,13-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 2,13-22

13Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.

18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Questa lettura dal libro della Sapienza ci parla di saggezza. E il vangelo di questa domenica ci parla anch'esso di vergini sagge. Questa sapienza o saggezza non è qualcosa che si acquisisce con lo studio, riservato ai teologi o ai filosofi. E' un altro tipo di saggezza, che possiamo capire con l'aiuto della etimologia cioè del senso originale di questa parola.

"Sapienza" viene dal latino sàpere che vuol dire "gustare", "trovare, percepire il gusto delle cose". In questa luce, il saggio in generale è chi ha sviluppato un gusto per le cose. Da un punto di vista cristiano, il saggio è quindi colui che vive di questa sapienza che è Dio stesso, è colui che ha sviluppato un gusto per le cose di Dio, che vive la vita cristiana, che prega, che legge la parola di Dio non per dovere, ma perché ama farlo, perché ha scoperto il sapore di queste cose, ha scoperto che si tratta di un cibo che non solo nutre, ma è come miele per il palato: è qualcosa che piace, è qualcosa che da gioia.

Certo all'inizio non è facile scoprire il "sapore" delle cose di Dio. Che gusto c'è a fermarsi, a chiudere gli occhi, a cercare di raccogliere mente e cuore per restare in presenza di Dio, per cercare di pregare? Che gusto c'è ad andare a messa la domenica? Che gusto c'è nel ripetere sempre le stesse preghiere, nel partecipare alle stesse liturgie? Che gusto c'è nell'ascoltare sempre gli stessi brani del Vangelo che conosciamo a memoria, o crediamo di conoscere? E potremmo continuare a lungo in questa lista. Spesso la preghiera ci annoia, la messa ci stanca, per non parlare della lettura della parola di Dio che spesso troviamo distante, incapace di motivarci. Siamo come queste vergini che si addormentano. Ci addormentiamo nel senso che diventiamo abitudinari, che siamo costantemente distratti, che finiamo con il vivere la fede come routine, senza pensare mai al Signore. Dio diventa il grande dimenticato delle nostre giornate.

C'è dunque un'operosità, un desiderio, una ricerca da intraprendere per scoprire il gusto delle cose di Dio. La sapienza, dice la prima lettura, si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Il salmista parla di cercarla fin dall'aurora, con desiderio, con sete. Si ricorda di essa nel proprio giaciglio. Veglia la notte pensando ad essa. Al tempo stesso questa ricerca della sapienza, del gusto delle cose di Dio è già dolce. Vi ci si dedica volentieri, perché in questa stessa ricerca è nascosta una gioia. Chi si alza di buon mattino per cercarla - dice ancora la prima lettura - non si affaticherà. La troverà seduta alla porta. Come Gesù nel Vangelo, quando dice: il mio giogo è soave, è dolce. E poi il salmo 62 dice: Come saziato dai cibi migliori, con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Ci dobbiamo lasciar saziare dai cibi migliori, cibi che hanno gusto, cibi che ci invogliano a ritornare a nutrirci.

Di quale gusto, di quale sapore stiamo parlando? Cos'è che ci attira al Signore? Che cosa ci attira alle cose del Signore?

San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi afferma: Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi, come gli altri che non hanno speranza.

Il cristiano trova riposo nella speranza, trova gusto nella speranza, una speranza fondata sulla fede. La fede ci offre una consolazione, dà un senso a quello che viviamo, sia ai momenti di gioia che alle prove e ai momenti di dolore. La fede ci risolleva, ci nutre quando siamo affaticati sul nostro cammino, ci disseta quando le circostanze della vita ci inaridiscono, raggrinziscono il nostro cuore, ci chiudono in noi stessi. Dando senso alla nostra vita, consolandoci, risollevandoci, nutrendoci, la fede appunto alimenta la speranza.

Quale ventata di freschezza, quale riposo nella sofferenza, quale senso inspiegabile di gioia e di serenità la preghiera può inaspettatamente diffondere nel nostro cuore! Basta levare lo sguardo al cielo, basta invocare il Signore, anche solo con una frase, basta rivolgersi a lui. Basta cominciare a cercare seriamente questa sapienza, questo gusto per le cose di Dio, per trovarla seduta alla nostra porta di casa. Questo vale per la preghiera: è sufficiente pensare un attimo al Signore per scoprirlo al nostro fianco, per scoprire che non ci ha abbandonati un secondo, che è stato sempre vicino a noi, ma noi non eravamo attenti a lui. Eravamo noi che lo ignoravamo, noi che non eravamo più coscienti della sua presenza.

La più grande consolazione della fede e della speranza è proprio questa: il Signore è con noi, saremo sempre con lui, come dice Paolo riguardo alla vita eterna. Saremo sempre con lui, perché lui è con noi. E' già con noi adesso e ci vuole con lui per l'eternità. E' venuto per essere il Dio-con-noi, l'Emanuele - perché Emanuele vuol dire proprio questo: "Dio con noi", un Dio che trova, come la sapienza nell'Antico Testamento, la sua gioia nell'essere con i figli dell'uomo.

Questo è il nostro grande motivo di speranza. Ci è riservata una vita nella quale saremo sempre con lui. Prima - dice Paolo - risorgeranno i morti in Cristo e quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi per andare incontro al Signore in alto e così per sempre saremo con il Signore.

La morte può certo far paura ad un cristiano come ad ogni altra persona umana, perché è uno stacco brutale, perché comporta assenza fisica, perché il sentimento di abbandono ci invade. La saggezza cristiana però ci fa scoprire il lato bello non della morte ma della rinascita che coincide con la morte, il suo aspetto luminoso. La sapienza trasfigura la morte in una immensa speranza, la trasforma in qualcosa che in un certo senso ha un gusto, ha un sapore. Non la morte stessa, ma appunto questa rinascita che coincide con la morte, questa esistenza piena che si inaugura con la nostra partenza da questa vita. La morte non è solitudine ma è comunione, è unione definitiva a Cristo: saremo sempre con lui e lui è il vivente. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vive in me e io in lui e non vedrà la morte. Noi non vedremo la morte. La morte la vedono gli altri. I cristiani non vedono la morte, perché nell'istante stesso nel quale chiudono i loro occhi, li riaprono per vedere il Signore e essere con lui per sempre. Come le vergini sagge, entrano con lui nelle nozze, nel banchetto, nella gioia stessa di Dio.

Lasciamo allora questa frase alimentare la nostra preghiera, diventare un test per misurare la nostra sapienza. Ripetendola con il cuore, troveremo piano piano il gusto, il sapore, la gioia che essa contiene, che essa dispensa: Noi saremo sempre con lui.

 

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