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TESTO Le mie pecore

Monastero Janua Coeli  

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (02/05/2004)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,27-30

27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Conosciamo tutti la gioia di sentirsi nuovi nell'andare di alcuni sogni

freccia e folli, il coraggio di donarsi alla vita, consegnandosi al

fratello, il sereno tormento di notti insonni e al tempo stesso le ansie per

la preoccupazione di edificare una vita senza emozioni e il nostro amare a

volte troppo incerto, rarefatto, frettoloso, che ci rende gregge incapace di

tendere l'orecchio alla voce del Pastore. Eppure lui conosce le sue pecore,

e la sua premura ci parla di un amore immenso, vero, autentico, paziente,

quotidiano che sa stupire, affascinare e insegnare all'uomo di sempre la

possibilità di 'riscattare' le cose di ogni giorno rendendole 'grandi' :

cariche di amore. Perché i nostri pigri silenzi di aprano al richiamo di

colui che oggi ci dice " le mie pecore ascoltano la mia voce...e mi
seguono".

Le mie pecore

MEDITAZIONE
Domande

Le mie pecore ascoltano la mia voce. La tenerezza delle parole di un Maestro nei confronti dei suoi è qualcosa che attrae. Ascolterò la voce di colui che conosce la strada della mia vita? Oppure preferisco continuare a farmi strada con le cesoie di una libertà tutta mia con il rischio di incappare nelle trappole della dispersione?

Chiave di lettura

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Quanta consolazione nelle parole di Gesù. Lo stretto legame tra le pecore che egli dice sue e la voce del suo esistere in quanto uomo che percorre i pascoli di una terra non troppo sicura da pericoli porta un nome particolare: ascolto. C'è un nome che risuona e che lega: il proprio nome. E io le conosco ed esse mi seguono. Conoscere, il verbo che la Scrittura usa per dire l'amore coniugale, un amore intimo e profondo, un amore di appartenenza reciproca. Questo è l'amore che Dio ha per noi. E la risposta dell'uomo a questo immenso amore è la sequela. Il minimo che si possa di fronte a una iniziativa di amore gratuito è andare sulla scia di quel dono per continuare a gustare la bellezza del sentirsi conosciuti, del sentirsi amati nel rispetto della propria libertà e nella gratuità del non chiedere null'altro che di essere accolto. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. In un percorso umano la perdita è l'emozione più temuta. Quando tutto sembra diluirsi e la proprietà del vissuto si dilegua in una sorta di evanescienza senza confine, le parole del Maestro possono risuonare come protezione profonda di fronte alla minaccia di essere rapiti da sé, portati via dal nido costruito tanto a fatica. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. La voce di Gesù è la voce del Padre, le mani di Gesù sono le mani del Padre: nessuno può togliere dalle mani dell'Amore la dignità dell'uomo. E non una dignità universale. La dignità dell'essere io, con il mio nome, la mia storia, i miei desideri, tutto quello che ho vissuto. Io e il Padre siamo una cosa sola. Una cosa sola: quale liberazione affidarsi a chi mai potrà farci del male. Il Padre e il Figlio non possono che scegliere l'amore per noi. Quelle mani che custodiscono, che accompagnano, che stringono non potranno volere per noi altro che quello che sono: essere una cosa sola.

PREGHIERA

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni (Sal 22).

CONTEMPLAZIONE

Seguirò l'eco della tua voce quando vorrò incontrare il tuo volto. Le tue mani così forti e tenere mi danno la sicurezza che la vita non mi dà. Concedimi, Pastore della bellezza, la libertà di volerti seguire e fa' che non mi avvolga la seduzione di una mia libertà che porti lontano da te. Tutto nelle tue mani si fa eterno: il solo pensiero mi spinge a cercarti lì dove penso abitualmente tu non sia. Nel cuore degli eventi quando vedrò le orme del tuo passaggio e leggerò il messaggio che hai lasciato per me nascosto sotto la pietra della quotidianità perché nessun altro possa trovarlo se non io, allora ti incontrerò come Maestro e Padre, come unica ragione del mio esistere.

Per i piccoli

Noi siamo le sue pecore, dice Gesù e ascoltiamo la sua voce. Perché ci chiama pecore? In Israele il gregge era una ricchezza per l'uomo perché gli permetteva di vivere, e non era facile custodire il gregge perché oltre i pericoli della sopravvivenza c'era il rischio che le rubassero dall'ovile o che i briganti nel passaggio al altri pascoli le portassero via. Gesù è un pastore speciale. Per non farsele rubare le mette nelle mani del Padre: lassù nessuno le prenderà di sicuro. E la sua voce è per loro il segno del non perdersi o del non sentirsi portare via. E se il pastore si allontana? Come si fa a udire la sua voce? In quel momento può avvenire di tutto. Sembrerebbe così, ma non è. Perché la sua voce non è fuori delle pecore, è dentro: fa parte della loro vita come il loro respiro. Senza Gesù loro non ci sarebbero: è Lui che le ha generate, messe insieme, guidate, custodite. È proprio rassicurante sapere che abbiamo per pastore Gesù e pensare che siamo il suo tesoro. Ciao, pecorella!

 

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