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TESTO A chi apparteniamo?

don Luca Garbinetto  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/10/2014)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

La frase che Gesù pronuncia, come risposta al tentativo di ‘coglierlo in fallo' da parte dei farisei, rigidi osservanti della Legge, e degli erodiani, seguaci del fanatico tetrarca della Giudea, è divenuta una ‘sentenza' famosa e utilizzata - più o meno appropriatamente - nel linguaggio comune. D'altro canto, quando si estrapola un'espressione dal contesto, facilmente la si può impiegare per difendere tutto e il contrario di tutto. Si è parlato così della legittima autonomia della Chiesa rispetto allo Stato; della supremazia del potere spirituale su quello temporale; dell'obbligo di rispettare le leggi civili senza ‘se e senza ma', rinunciando a ogni forma di obiezione di coscienza che non si limiti a una intimistica ricerca dell'incontro con Dio, a rischio di alienazione...

Nel contesto culturale e sociale in cui viviamo oggi, per certi aspetti molto diverso da quello in cui si muoveva l'ebreo Gesù, e nella complessità dei rapporti tra la religione e la società civile, appare necessario cogliere innanzitutto un richiamo forte e deciso alla nostra responsabilità. Al cristiano, discepolo del Messia Gesù, le ‘cose materiali' interessano, eccome! Ma non tanto per una questione di dibattiti sterili e di piccinerie, che in fondo si limitano spesso a vedere ciò che ‘più mi conviene'. Pagare le tasse o non pagare le tasse, dividere l'eredità o meno, rispettare le leggi dello Stato oppure no non sono esattamente le questioni che riscaldano il cuore di Gesù e dei suoi. Almeno non in maniera così superficiale.

Gesù, infatti, fa appello a una coscienza storica più profonda, capace di andare al di là degli apparenti termini del conflitto, per cercare le domande che stanno sotto ad esso. In questo modo, Gesù sollecita i suoi ascoltatori, e noi per primi, a coltivare e far crescere una coscienza personale ben più radicata nelle vicende del mondo e assai più capace di incarnarsi - proprio come ha fatto Lui! - nella realtà. Sì, al cristiano le ‘cose materiali' interessano, ma interessano nel loro intreccio rivelativo di quanto esiste più in profondità. Separare, infatti, in maniera netta e dualista la materia dallo spirito non è cristiano, ed è sostanzialmente un negare il mistero dell'incarnazione. Dunque, significa non essere discepoli di Gesù. Invece, ‘le cose di lassù' (cfr. Col 3,1) si trovano proprio dentro ‘le cose di quaggiù', e le trasfigurano!

La storia dell'umanità, la vita di tutti gli uomini e di ogni singolo uomo, hanno una intima dimensione simbolica, e sono luogo di manifestazione della vita divina. Non vi sono altri modi per vivere e testimoniare la fede nel Dio creatore e salvatore che abitare responsabilmente la città dell'uomo. Tutti i grandi santi lo insegnano. Soprattutto i martiri, capaci di pagare di persona il prezzo di questo radicamento nella storia del popolo, come luogo dell'incontro con la vita di Dio. Lo diciamo, fra i tanti, con le parole del vescovo martire Monsignor Romero, ucciso in San Salvador (Centro America) nel 1980, mentre celebrava la Santa Messa, a causa della sua coraggiosa presa di posizione a favore dei poveri perseguitati: ‘non esistono due storie: una di Dio e l'altra dell'uomo. Esiste un'unica storia di salvezza, che si dipana misteriosamente ma efficacemente nelle vicende del popolo santo di Dio, incarnato nella storia più ampia dell'umanità'.

Guai a noi, allora, se cerchiamo di scappare in un rifugio intimistico che ci esoneri dal discernimento quotidiano sul nostro impegno perché la nostra città sia più umana, e quindi più vicina al sogno di Dio per l'uomo. Guai a noi, d'altro canto, se riduciamo l'impegno a un frenetico lavoro sociale o, peggio ancora, a una risma di rivendicazioni verso un potere esercitato male, ma che forse nel nostro piccolo anche noi gestiamo in modo inopportuno. In fondo, l'alienazione spiritualista e il materialismo ateo sono le due facce della stessa moneta. Un Dio senza l'uomo, e il Cesare sopra l'uomo nascono dalla stessa tragedia, quella di separare ciò che Dio ha unito: corpo e anima, carne e spirito, Padre e fratelli!

Separare, dividere, spezzettare l'integrità della persona e la comunione fra i popoli. In fondo è questo il grande peccato di ogni dittatura di turno: che sia quella di un potente o di un governo, oppure quella sottile e insidiosa della cultura del relativismo. Chi separa non viene da Dio, Uno e Trino, ma viene dal diavolo, il ‘divisore'.

Mentre il cuore dell'uomo ha impresso in sé l'immagine della Trinità! E la carne dell'uomo ha iscritto nel DNA la Parola fatta carne! Siamo a immagine e somiglianza del Figlio, il Verbo eterno venuto ad abitare in mezzo a noi, Colui che di sé ha detto: ‘Chi vede me, vede il Padre'. E con lettere d'oro, lo Spirito ha fatto di noi la lettera che Dio ha scritto per l'uomo di oggi.

Come ci insegna sant'Agostino, allora, Gesù oggi ci invita a tornare all'unità del nostro cuore per prendere coscienza della nostra appartenenza più intima e più vera. Perché in fondo l'impegno per un mondo più giusto e per una umanità più fraterna, secondo gli occhi e il cuore di Dio, è una questione di appartenenza. Nella frantumazione che genera solitudine, si alza il grido dall'intimo di ogni persona, mentre sperimenta l'angoscia dell'orfanità: ‘ma io, a chi appartengo?'

Anche i farisei legalisti, senza rendersene conto, con la loro ipocrisia, terrorizzata dalla paura di dover abbandonare le false sicurezze e di fare brutta figura, nascondono dietro la loro domanda trabocchetto l'urlo di ogni figlio: ‘ma noi, a chi apparteniamo?'. Siamo proprietà di un Cesare di turno, di una moda di passaggio, di una propaganda martellante, di una formalità burocratica, di una passione travolgente, di una corsa al successo... Oppure, Signore, siamo tuoi?

A chi appartengo? A chi apparteniamo? Il coraggio di porsi questo quesito, che ci porta sull'orlo del precipizio del nulla, per trovarvi delle braccia ad attenderci dall'eternità, è il vero cammino verso la responsabilità per le cose del mondo. Significa accettare la sfida della libertà, che non è mai autonomia svincolata dai rapporti, bensì piuttosto ardito abbandono a un legame che ci precede, ci accompagna, ci avvolge, ci sospinge.

Nel rischiare questo passo, che trasforma ogni cosa in un velo da togliere, in una traccia da riconoscere, in un frammento dell'Infinito, possiamo sentire risuonare intense e radicali le splendide parole di san Paolo: ‘Tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio' (1 Cor 3,23).

 

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