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TESTO Commento su Matteo 22,15-21

fr. Massimo Rossi  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/10/2014)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Domenica abbiamo riflettuto sul regno dei cieli, presentato da Gesù come un banchetto di nozze, al quale tutti possono sedere, purché siano rivestiti dell'abito da festa. Oggi si ritorna con i piedi per terra: insomma, parliamo di soldi! il Vangelo affronta il delicato tema delle tasse e dei signori di questo mondo: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", citazione famosa al punto da diventata un proverbio...

Secondo la dottrina sociale della Chiesa esiste un obbligo morale di pagare le imposte allo Stato.

La Lettera ai Romani di San Paolo, "Doveri verso l'autorità", lo ribadisce chiaramente. Qui il problema è collegato rigidamente all' «ordine stabilito da Dio» (13, 6-7): «per motivo di coscienza [...] voi dovete anche pagare le imposte: perché sono pubblici funzionari di Dio, quelli addetti interamente a tale ufficio. Rendete a tutti quanto è dovuto: a chi è dovuta l'imposta, l'imposta; a chi la gabella, la gabella...". Implicitamente, per non urtare la suscettibilità del potere imperiale romano, certo non ben disposto nei confronti dei cristiani, Paolo ammette l'esistenza di qualche importante condizione, in particolare laddove limita l'obbligo a quanto dovuto, non quanto preteso da chi ha il potere, per di più ad un'autorità che discende di Dio per il bene comune. Facciamo un salto di 1800 anni: la lettera enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, ha mantenuto una impostazione fondata sul diritto naturale, talché se ne può concludere che secondo la dottrina sociale della Chiesa solo quando la politica e la legislazione fiscale soddisfano i requisiti della giusta imposta si può affermare che i cittadini hanno l'obbligo, anche morale, di pagare le tasse.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II definisce ‘frode' l'evasione (fiscale) (Gaudium et Spes, 30) e il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2409, la include tra i comportamenti contrari al Settimo Comandamento. Pertanto, il cittadino che non si senta moralmente tenuto a pagare l'imposta non può utilizzare l'evasione, ma soltanto l'opposizione e il rifiuto palese, in altri termini l'obiezione fiscale, assumendosi tutte le conseguenze che lo Stato riterrà di porre a suo carico. C'è però un aspetto che merita di essere tenuto presente; pur con tutto il rispetto per la dignità ed il coraggio di un rifiuto esplicito, è chiaro che l'effetto dell'obiezione fiscale sugli altri cittadini è analogo a quello della evasione: se lo Stato non è in grado di impadronirsi coattivamente delle risorse pretese come imposta, e in molti casi non lo è, finirà per rivalersi sugli altri contribuenti, aumentando il prelievo su di loro.

Altro caso è l'elusione fiscale, la quale consiste in comportamenti in sé leciti, ma aventi lo scopo esclusivo di consentire un risparmio fiscale individuale. L'elusione, perciò, non tocca il profilo morale del contribuente.

Molti dubbi sono emersi circa il permanere del dovere fiscale qualora la destinazione della spesa così finanziata non sia condivisa, e addirittura venga giudicata contraria ai valori morali. Tuttavia, il venir meno del dovere morale di pagare l'imposta, qualunque ne sia la ragione, non giustifica quale reazione evadere l'imposta: l'evasione fiscale è sempre moralmente inammissibile in quanto furto ai danni non dello Stato in prima istanza, ma dei concittadini, i quali, ripeto, si troveranno a dover sopportare un maggior onere tributario a causa del comportamento ‘opportunista' dell'evasore.

A fronte dell'evoluzione delle economie e delle società moderne, l'insegnamento sociale della Chiesa si è enormemente ampliato rispetto all'affermazione lapidaria di Gesù ed alle prescrizioni altrettanto drastiche e lapidarie di Paolo, avendo quale obiettivo primario, i criteri di comportamento di coloro che hanno la responsabilità politica, più che dei contribuenti.

E ciò giustamente, dal momento che i primi si muovono e possono incidere anche nella sfera del ‘politico' (e quindi nel mondo della ‘coercizione'), mentre i secondi (i contribuenti) devono cercar di conciliare le istanze della sfera morale (e quindi nel mondo della ‘conversione') con quelle talora opprimenti della coercizione che lo Stato esercita con lo strumento della pressione fiscale.

Se c'è una cosa che abbiamo capito è che il problema-evasione-fiscale è complesso: non sono pochi i fedeli che si accusano in confessione di non pagare tutte le tasse e chiedono consiglio al prete. Con buona pace di chi gira sempre con il codice di diritto penale o canonico sotto il braccio e non sa far altro che citare la legge, io faccio appello alla coscienza ed esorto a valutare la gravità del peccato in base alle reali possibilità del soggetto e all'ammontare oggettivo dell'evasione: detto in soldoni, altro è non obliterare il biglietto del tram, altro è esportare montagne di denaro in un paradiso fiscale... Ma dico anche che nel Giorno del Giudizio, sarà usata nei nostri confronti la stessa unità di misura che avremo usato noi: per qualcuno, la cifra dell'onestà sarà costituita dal biglietto del tram, per qualcun altro, invece, dal patrimonio accumulato su un conto offshore... Tutto questo per dire che esiste anche una proporzione nella gravità del peccato: la distinzione tra peccato lieve (veniale) e peccato grave (mortale) è tutt'altro che irrilevante.

Per formulare un giudizio secondo coscienza è necessario prevedere anche le conseguenze dirette e indirette del nostro atto morale: nel caso del dovere di pagare le tasse, in un Paese come l'Italia - tra i primi in classifica quanto a gravame tributario sugli stipendi - l'attenzione decisiva è proprio sulle conseguenze: Che cosa posso rispondere ad un piccolo imprenditore che mi confessa: "Devo scegliere: o pago tutte le tasse e chiudo l'azienda, lasciando sulla strada i miei operai con le rispettive famiglie; oppure evado una parte....". Francamente, ripeto, ad una domanda del genere, non posso che fare appello alla coscienza...ed egoisticamente ringrazio il Buon Dio che non mi trovo a dirigere un'azienda, in questi tempi, con questi chiari di luna... Ma la mannaia fiscale non si abbatte solo sulla categoria degli imprenditori... le famiglie, i singles, noi religiosi... siamo tutti sulla stessa barca... e si naviga tutti in acque agitate.

In chiusura, ricordo che la scena immortalata nel Vangelo di oggi ha un peso decisivo sull'intera vicenda terrena del Signore: durante il processo di fronte a Pilato, coloro che avevano consegnato Gesù lo accusarono: "Costui sobilla il nostro popolo e impedisce di dare tributi a Cesare." (Lc 23,1b). Anche Gesù se la dovette vedere con il principe di questo mondo, parla dunque per esperienza personale. Non è possibile servire due padroni!... (cfr. Lc 16,13). Lui lo sapeva bene. E lo sappiamo anche noi!

 

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