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TESTO Commento su Matteo 21,33-43

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/10/2014)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Giuseppe Di Stefano

Sogni, delusioni e ostinatezza di Dio

«Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna» (Is 5,1). È così che si apre la liturgia della Parola di oggi, suggerendo al nostro cuore il volto di un Dio innamorato, inguaribilmente innamorato della sua creatura, un Dio che canta il suo amore per il suo popolo. Sì, perché l'amore è canto, ritmato dallo Spirito sulle corde del nostro spirito, è passione, ostinata passione di Dio per il suo diletto, per ciascuno di noi.

Nella parabola che oggi ci viene proposta, Gesù riprende l'immagine della vigna presente nel poema del profeta Isaia, e la rilegge alla luce della storia della salvezza. È la storia di Dio e del suo popolo, un intreccio di fedeltà e rifiuto. La vigna è il popolo d'Israele, il padrone è Dio, i contadini sono i capi del popolo, i servi sono i profeti e il figlio è lo stesso Gesù. Al centro di tutto c'è il sogno di Dio, la sua passione, il suo amore ostinato per l'umanità. Amore che si traduce nel prendersi cura della vigna: circondandola con una siepe, scavando un frantoio, costruendo una torre per vigilare su di essa e custodirla, come una sentinella. Il padrone della vigna fa tutto il possibile, non lascia nulla al caso.... L'amore non si improvvisa, è frutto di piccole attenzioni che ti fanno percepire speciale, desiderato, semplicemente amato.

Ma ad un certo punto siamo spiazzati dall'agire di questo padrone, che, dopo tanta cura e tanti sacrifici, affida la sua vigna a dei contadini e parte per un viaggio. Chi di noi l'avrebbe fatto?

Chi mai avrebbe agito così? Eppure, il tempo dell'«assenza» del padrone è il tempo della responsabilità, della nostra risposta a Dio, al suo agire premuroso nei nostri confronti, a fare nostro lo stile di Dio: prendersi cura dell'altro, senza possederlo. Perché l'amore, quando è vero, genera orizzonti di libertà, spazi sconfinati in cui ritrovarsi o perdersi...

Al tempo opportuno, il padrone, dopo tanta cura e tanto lavoro, invia un servo nella vigna per raccogliere i suoi frutti, ma la faccenda, immediatamente, precipita. I contadini bastonano il povero servo che torna a casa malconcio e a mani vuote. I ripetuti e ostinati tentativi del padrone, che invia altri servi, ottengono un risultato sempre peggiore: sono picchiati, rifiutati e persino uccisi. C'è un fortissimo contrasto tra la tenerezza appassionata del padrone, che pianta e si prende cura della vigna, e la furia omicida dei contadini che fanno piazza pulita dei servi. Siamo di fronte alla storia di Dio e del suo popolo, storia del sogno di Dio, del suo inguaribile e ostinato amore che non si ferma neppure davanti alla delusione, al tradimento, al rifiuto da parte del popolo e dei capi, e continua a mandare i suoi profeti.

Ma ecco il secondo e più drammatico colpo di scena: il padrone non stermina i vignaioli ribelli, anzi a loro invia il proprio figlio amato, il quale non si sottrae alla stessa sorte degli altri servi. Così facendo, il figlio, pur accomunato nella morte a tutti i testimoni scomodi della verità, passati e futuri, svela con la sua morte, i tratti di una inattesa, quanto inaudita novità.

Gesù sulla croce non mette fine alle contraddizioni e alle storture della storia, ma si mette dentro fino in fondo. E lì, appeso al legno della croce, illumina la storia del mondo e degli uomini e si fa solidale con essi, escluso tra gli esclusi, raggiunge e abbraccia tutti.

Ecco la vendetta di Dio: inviare il Figlio amato, l'unico Figlio, amare l'uomo ostinatamente, fino alla follia. Gesù sulla croce, non cede al meschino ricatto dei suoi crocifissori che vorrebbero una dimostrazione di forza e di potenza da parte sua. Lui non scende dalla croce, rimane lì inchiodato, steso, nudo, impotente, e da quel legno infamante, svela al mondo la vera e inaudita potenza della debolezza, la potenza scomoda e disarmante dell'amore.

Dio avrebbe potuto dirci il suo amore in molti modi, ma non ha voluto lasciare spazio alle interpretazioni, ai fraintendimenti.... Altro è usare dolci e consolanti parole, altro è appenderle a tre chiodi, sospesi tra cielo e terra. E sulla croce, da quel corpo reso irriconoscibile dalla barbarie umana, arato dai flagelli, tumefatto dai colpi e dalla tortura, è torchiato il vino nuovo, il vino della misericordia scaturito dal fianco trafitto di Cristo, sangue versato per noi e per tutti.

 

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