TESTO Commento su Luca 17,7-10
VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (05/10/2014)
Vangelo: Lc 17,7-10
«7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Non è avere la coda di paglia, ma davanti a questa Parola di Dio che oggi la liturgia ci pone, è difficile predicare. Attenzione non perché non si sa cosa dire, ma perché vivere di fronte a queste provocazioni della prima lettura è veramente difficile.
Giobbe infatti è un pio israelita, fedele al Signore delle promesse, e viene provato nella sua fede: Dio stesso autorizza Satana a provare la fede di questo uomo. In questo primo capitolo, da cui è tratta la lettura, iniziano una serie di disgrazie che toccano Giobbe. Questo brano si conclude con Giobbe che, davanti alle difficili situazioni in cui si trova, afferma queste espressioni: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto sia benedetto il nome del Signore".
Com'è duro cari amici, e ben lo sanno i nostri ospiti che frequento nella Casa guanelliana di Barza, davanti al loro dolore al termine di questa Vita non è semplice.
Lo sanno bene i tanti giovani che vivono in situazioni di malattia. Mi chiedo e penso se lo chiedono i tanti "sani": "Sarò pronto a esprimermi così davanti all'evolversi delle situazioni della vita?".
Sono certo e ho provato, in questi anni di esperienza di vita religiosa nell'Opera don Guanella, davanti all'accettazione di situazioni di malattia degli ospiti, che questo atteggiamento porta frutti maturi di cui si possono cibare coloro che sono in ricerca della Verità.
In questi giorni ho terminato la lettura di un libro che racconta la prova di Filippo, un giovane morto di un tumore raro poche settimane prima della nascita del primo figlio. Un giorno don Fabrizio, il coadiutore dell'oratorio, in cui Filippo prestava collaborazione volontaria come educatore, porta in ospedale vicino al letto di Filippo il Santissimo Sacramento per il colloquio intimo con il Signore. In un SMS don Fabrizio chiede come è andato il colloquio con il "capo".
Filippo risponde con un altro SMS: "All'inizio volevo dirgliene quattro... poi ho capito che Lui ‘carica' la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno )..."
In questo atto di affidamento si sprigiona una forza a cui possono attingere tanti giovani che si alternano in quei giorni nell'assistenza nella camera di Filippo. Anche dopo la morte questa forza si sprigiona portando a molte conversioni. Un giovane che ha mostrato la capacità di plasmarsi al Signore. Filippo ci offre una grande lezione che ci dimostra come il Vangelo non può essere imprigionato, ma ha una forza propulsiva, come ci dice in queste poche righe Paolo oggi.
Il Vangelo va annunziato con la vita dice Paolo a Timoteo e ce lo dice Filippo.
Questo ammonimento paolino e l'esempio di Filippo mi interroga perché anche io sia capace a testimoniare con la vita. Ci deve essere una consapevolezza in più e ce lo dice Gesù oggi nel Vangelo: noi siamo servi e non proprietari e siamo servi inutili.
Solo da Lui viene la forza e dobbiamo dircelo perché può esser scontato ma molto spesso, nella vita concreta, in particolare per noi sacerdoti, rischiamo di diventare i padroni, così anche molti laici impegnati.
Solo da Lui viene la forza per questo bisogna invocare il Signore nella nostra preghiera per vivere la fede non in una dimensione da etichetta o da pasticceria, ma giocandosi veramente.