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TESTO Strettamente personale

don Fulvio Bertellini

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/10/2002)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Forma breve: Mt 22,1-10

In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Un percorso simbolico

Dopo le parabole della vigna, ecco le parabole del banchetto nuziale. Nei Vangeli il Regno è espresso in immagini che progressivamente raggiungono una sempre più esatta approssimazione. Dalle parabole del mondo vegetale e animale (il lievito, il seme, la pecora smarrita... si passa alle parabole economiche (il padrone e i servi), per arrivare ai simboli messianici della vigna, e infine delle nozze. Un vero e proprio percorso simbolico, in cui la realtà quotidiana, che sta sotto gli occhi di tutti, è come trasfigurata, per servire da rimando al Regno dei Cieli, che inevitabilmente trascende il nostro sguardo e la nostra sensibilità.

La frattura tra Israele e la Chiesa

Anche questa parabola è rivolta agli anziani del popolo, come quella di domenica scorsa. E anche questa parabola insiste sul tema della dolorosa frattura tra Israele e la Chiesa. Noi non possiamo oggi renderci conto di quale dramma sia stato, nel primo secolo, la separazione delle comunità di quelli che credevano in Cristo dal giudaismo. La comunità apostolica, nata subito dopo la risurrezione, intendeva far parte a pieno titolo di Israele: gli apostoli pregavano nel tempio; Paolo nella sua predicazione parte sempre dalle sinagoghe; la Legge e i Profeti sono la Scrittura dei cristiani, come lo erano per gli ebrei. Le cose progressivamente cambiano: la nascente comunità cristiana, secondo il racconto degli Atti, è perseguitata dalle autorità ufficiali del giudaismo del tempo, e progressivamente si avvia la polemica e si prendono le distanze. Ma, ripeto, si tratta di una separazione dolorosa e problematica.

A partire da Gesù

Come è possibile che Gesù, creduto dalla comunità apostolica il Messia di Israele, finalmente mandato da Dio, conduca ad una spaccatura proprio all'interno di Israele? E come è possibile che i suoi discepoli siano separati e in contrasto con il popolo della promessa?

Il Vangelo di Matteo era verosimilmente rivolto ad una comunità di giudeo-cristiani, molto sensibili a questo problema, e di conseguenza molto interessati ai rapporti - e ai contrasti - tra Gesù e le autorità religiose del suo tempo. L'interpretazione dell'evangelista è che la frattura è già cominciata al tempo stesso di Gesù, e in qualche modo rientra nel progetto salvifico di Dio.

Prendere o lasciare

La parabola si presenta come una composizione di più racconti parabolici, secondo un tipico procedimento, che ama riunire e articolare in modo retoricamente coerente vari detti di Gesù, originariamente non collegati. Una prima parabola è dunque quella degli invitati a nozze; un frammento di parabola è quello dei servi insultati e uccisi, che ritroviamo anche nella parabola dei vignaioli omicidi. Esso può essere un'allusione ai profeti dell'Antico Testamento, ma anche ai primi martiri della prima Chiesa, che all'epoca della stesura del Vangelo cominciava ad essere perseguitata dai capi religiosi giudaici. Infine la parabola dell'abito di nozze. La parabola che fa da guida è la prima, quella dell'invito a nozze. Qui troviamo il nocciolo fondamentale di tutto il discorso, e al suo centro sta il verbo "invitare". E' l'immagine guida: un invito ad una festa di nozze. L'invito esprime esattamente la posizione dell'uomo di fronte al Regno di Dio: si tratta di una realtà a portata di mano, eppure in qualche modo distante, perché ancora non si vede; è necessario smuoversi, per entrarne in possesso. E' in un certo qual modo un obbligo, eppure è un fatto di libertà: l'invito mette in gioco amicizia, affetto, buone relazioni con chi te lo manda. In questo modo diventa compatibile - anche se resta in un certo senso incomprensibile - il compimento del Regno di Dio nel Messia Gesù, e il rifiuto di Israele - o della maggioranza di esso - di farne parte. Il Padre manda il Figlio per invitare - non per costringere - gli uomini a far parte del suo regno. Di fronte ad esso si impone una scelta, una scelta immediata che non può essere rimandata.

Ai crocicchi delle strade

Il messaggio della parabola diventa quindi chiaro: il Padre ha invitato per primo Israele, con i profeti e con molteplici inviati. Di fronte al perdurare del rifiuto, sono chiamati nuovi invitati. E questa nuova chiamata prescinde dalle qualità morali degli invitati stessi: tutti, buoni e cattivi, sono chiamati. Si apre una nuova possibilità di scelta.

Una scelta personale

Tuttavia - ed è questa la novità più profonda del Regno annunciato da Gesù - non è più solo questione di far parte di Israele, e neppure di far parte della Chiesa. Non basta un'appartenenza collettiva per essere coinvolti nel Regno: occorre un attivo coinvolgimento personale. E' lo sviluppo della parabola che troviamo solo in Matteo. Il re entra per vedere i commensali, uno ad uno. E chi è senza veste nuziale, viene cacciato fuori. A partire da Gesù il Regno di Dio diventa una questione di scelta personale. Oggi verrebbe da dire: non basta più essere nati in Italia, essere stati battezzati, cresimati, sposati in Chiesa secondo le tradizioni. Non basta neanche andare a Messa ogni tanto, o alle canonizzazioni dei santi. Non è neanche detto che frequentare santuari, gruppi religiosi, tombole parrocchiali o il torneo di calcetto dell'oratorio sia un segno sicuro di appartenenza al Regno di Dio. Serve la "veste nuziale". Cioè una fede consapevole e professata, nelle parole e nelle opere. Per i giovani è difficile il passaggio da una "fede di gruppo", che può esprimersi nel gruppetto parrocchiale come nei grandi raduni, ad una fede adulta, capace di scelte personali. Ma a volte mi chiedo se hanno davanti adulti che hanno fatto questo passaggio. Siamo cristiani per abitudine, o per l'ambiente in cui siamo cresciuti, o cristiani per fede e per convinzione?


Flash sulla I lettura

"Un banchetto di grasse vivande per tutti i popoli...": si tratta di una visione che oltrepassa i limiti della storia, e che appartiene ad una sezione del libro di Isaia detta "apocalisse maggiore". Partendo dalla dura lezione della storia, Dio fa sorgere nel suo popolo la speranza di una definitiva liberazione dai mali che affliggono Israele e tutta l'umanità. Necessariamente essa si esprime in simboli: il monte di Sion, che diventa punto di convergenza di tutti gli uomini; il banchetto, simbolo di festa e di comunione ritrovata; l'eliminazione della morte, simbolo di tutto il fardello di male e di peccato che inesorabilmente l'uomo sembra portarsi con sé; il velo che cade, simbolo di un rinnovamento profondo del cuore e di una ritrovata, limpida amicizia con Dio. Noi siamo chiamati a far nostra l'antica speranza di Israele: nessuno, tra i mali che affliggono il mondo, è tanto grave da poterla cancellare e indurci alla disperazione o allo scoramento. E in Gesù noi, cristiani, abbiamo l'inizio della realizzazione dell'antica speranza di Israele: la sconfitta della morte, l'apertura di una nuova relazione con Dio, la convocazione di tutti i popoli a far parte del suo Regno.

Flash sulla II lettura

"Ho imparato ad essere povero, e ho imparato ad essere ricco...": vediamo qui come funziona quella "speranza" di cui parlavamo nella I lettura. E' un atteggiamento fattivo e concreto, che si mette in moto di fronte alle mutevoli situazioni della vita. Speranza è accettare di stare al proprio posto, anche quando diventa scomodo. Speranza è accettare di stare al proprio posto, anche quando è comodo, godere delle gioie che il Signore già qui nel tempo ci concede di avere. Speranza è accettare di cambiare posto, quando è necessario, anche se comporterà difficoltà e persecuzioni.

"Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alla mia tribolazione...": l'occasione concreta in cui Paolo scrive è una situazione di difficoltà economica, in cui i Filippesi gli sono venuti incontro. E Paolo li ringrazia con gioia, anche se non è sua abitudine accettare compensi economici dalle comunità. E' consapevole di essere in grado di affrontare ogni difficoltà, se necessario. Ma si rallegra della schietta amicizia dei Filippesi, gli unici da cui accetta aiuti economici, perché sono il segno di una sincera partecipazione alle sofferenze affrontate per il Vangelo.

 

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