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TESTO Non giudicare, ma mettiti davvero all'opera

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/09/2014)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Giudicare l'operato di Dio sindacare i suoi parametri di condotta nei confronti dell'uomo è sempre stato l'atteggiamento comune di ipocriti e millantatori, quale lo abbiamo visto peraltro nella liturgia della scorsa Domenica. In essa si parlava di una vigna e di operari che andavano a lavorarvi su incarico del titolare: a tutti il padrone (Dio) concede in ugual misura la stessa ricompensa, perché non tiene conto della quantità o della mole di lavoro, ma semplicemente della fedeltà di cuore da parte di coloro che si sono recati nella vigna. Non importa quando ci decidiamo o se ci siamo attardati a rispondere alla chiamata di Dio: quello che conta è aver risposto e non è mai troppo tardi per accogliere l'appello del Signore a lavorare nella sua vigna che è la Chiesa che cammina verso il Regno. Certamente Dio è munifico in proporzione alla fedeltà dell'uomo nei suoi confronti, ma proprio per questo non è mai tassativo nelle sue elargizioni. Non importa quindi quanto si lavori e in che misura, ma se si lavora intensamente nel suo nome e per suo mandato, se si svolge ogni cosa con umiltà, mansuetudine e pazienza facendo tutto senza mormorazioni e in vista della gloria, se si agisce con l'energia che ci deriva da Dio e con estrema umiltà e responsabilità, fuggendo ogni vanagloria e ipocrisia. Chi dunque giunge in ritardo a mettere mano alla vigna, purché svolga ogni cosa secondo queste prerogative è ugualmente meritorio alla pari di chi ha lavorato sin dal primo mattino e anzi tante volte i ritardatari possono anche dimostrare più zelo e maggior merito di quanti si sono messi all'opera solo ostentando presunzione, protervi a e protagonismo. Se Dio dovesse considerare i criteri umani di giustizia e di equità, se dovesse prendere in considerazione le pretestuosità proprie del nostro pensare, allora sarebbe meglio credere in qualche altra divinità o idolo fra i tanti forgiati dal talento umano.

Da parte dell'uomo vi è tuttavia una disposizione innata a che Dio si atteggi secondo le sue preferenze, e che adoperi una giustizia interpretata secondo criteri del tutto umani. Tante volte ci atteggiamo e giudici del Signore quasi pretendendo che egli agisca secondo le nostre sole preferenze misconoscendo che le vie di Dio non collimano affatto con quelle dell'uomo.

Riprendendo quindi il discorso interrotto la scorsa Domenica, le letture odierne considerano la presa di distanza da parte di Dio verso la cultura e la mentalità dell'uomo: "Voi dite: non è retto il modo di agire del Signore... Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?" (Ez 18, 26; I lett). Il discorso prende forma da un precedente riferimento alla misericordia di Dio nei confronti dei peccatori che, ravvedutisi e convertiti, possono usufruire dell'amore riconciliante del Signore senza che i figli debbano scontare le colpe dei loro padri (vv 20 - 24). Dio, che ama la conversione e la vita dei reprobi e dei peccatori, si atteggia con amore nei loro confronti quando questi vogliano emendarsi, per cui per chi ha peccato vi è sempre possibilità di salvezza. Parimenti per il giusto che si allontana dalla retta via vi è invece possibilità certa di condanna e a scavargli la fossa saranno proprio i suoi stessi misfatti. La giustizia di Dio si concilia con l'amore e con la misericordia, quindi con il perdono, per la qual cosa non è mai tardi la conversione del peccatore, il suo ravvedimento e la sua condotta giusta. Poiché è avvenuto che chi ha cambiato vita "ha riflettuto", cioè ha preso coscienza del proprio errore in rapporto alla bontà di Dio Amore.

Argomenti simili non sono però compatibili con la comune concezione dell'uomo che della giustizia ha ben altro concetto e per questo si erge a giudice del Signore. Ma piuttosto che sindacare l'operato di Dio, l'uomo non dovrebbe preoccuparsi di praticare la vera giustizia, di adoperarsi per il bene e per l'amore verso il prossimo? Non dovrebbe l'uomo considerare di essere sempre in debito nei confronti del Signore e di conseguenza atteggiarsi nei suoi confronti con filiale apertura di fede e di carità sincera?

Riprovare Dio per un suo mancato intervento a nostro vantaggio, accanirsi contro di lui in occasione di un insuccesso, di una tragedia, di un lutto è tipico di parecchie persone che si trovino in difficoltà, così come è altrettanto tipico che le stesse persone omettono di professare Dio nella prosperità o nell'assenza di problemi. E' proprio assurdo e ipocrita mettere in dubbio la stessa esistenza di Dio quando tutto ci è favorevole, per poi pregare Dio in ginocchio nel momento della sventura. E' ancora più riprovevole quando ciò succeda nell'atteggiamento bigotto e meschino di moltissima gente di dubbia devozione e religiosità, atta semplicemente a sgranare vacue preghiere al solo scopo di raggiungere immeritate grazie o favori divini mentre il cuore è lontano dal vero Dio.

Di conseguenza quello che conta è la vera conversione al Signore e non già la pretesa che egli scenda a patti con noi o che si disponga ad agire secondo i nostri interessi; piuttosto che condannare il padrone della vigna per il suo atteggiamento si deve optare per il cambiamento radicale di noi stessi, per la comunione vera con il Signore e per l'esercizio della carità vera e schietta.

A tutti gli uomini, ma specialmente a coloro che presumono di aver raggiunto uno stato di perfezione definitiva in rapporto a Dio e al prossimo, il Signore rivolge ancora una volta il monito a rifuggire l'insulsa recriminazione e a lavorare nella sua vigna con buona volontà e soprattutto secondo trasparenza e coerenza, omettendo la falsità e l'ipocrisia di chi promette di lavorare nella vigna per poi andare chissà dove. E' più meritevole chi dice di non andare ma poi pentito va (senza neppure informare il padrone) che non chi parte dalla buona intenzione di lavorare nella vigna con impegno per poi smentirsi in un secondo momento. Nel primo caso assistiamo ad un esempio di edificante generosità e trasparenza sai pure tardiva, nel secondo ad una falsità e dabbenaggine ridicola e meschina che non può corrispondere alle prerogative effettivamente cristiane. Occorre pertanto che ci atteggiamo a lavorare per il Signore in modo da non meritare che altri (appunto prostitute e peccatori) ci sorpassino nell'obiettivo del Regno dei Cieli.

 

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