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TESTO L'economia della salvezza

don Luca Garbinetto  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2014)

Vangelo: Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Strana economia, quella di Dio. Bisogna forse ammettere che se un padrone, in una qualsiasi città del mondo, gestisse la sua azienda come il padrone della parabola raccontata da Gesù, probabilmente non avrebbe molto successo nel mercato. Soprattutto con i tempi che corrono.

L'intraprendenza di questo Signore, che non sta mai fermo ed esce a tutte le ore a cercare lavoratori per la sua vigna, si mescola con una prodigalità più simile agli sprechi del giovane figlio della parabola lucana (cfr. Lc 15, 11-32), che a un saggio e parsimonioso amministratore di impresa. E, si sa, sono gli sprechi che rovinano le aziende!

Eppure sta proprio in questa sprovveduta generosità la novità controcorrente. Senza che si possa liquidare l'irragionevolezza di Dio con un commento astratto e disincarnato: ‘ma qui Gesù parla per immagini di cose spirituali; la realtà del mondo è un'altra!'. Non è così. Gesù ci invita a incarnare uno stile nuovo e coraggioso proprio nella vita di tutti i giorni, dove l'economia - la ‘gestione della casa' - ha e deve recuperare un proprio significato umano e spirituale, unica via per una reale trasformazione dei rapporti tra i popoli verso una convivenza pacifica e buona.

Notiamo un dettaglio non insignificante. Di fronte al paradosso di un padrone che paga a tutti gli operai lo stesso salario, nell'attento rispetto della legge di Israele - che comanda di non lasciare passare la notte senza aver dato al povero bracciante ciò che gli spetta (cfr Dt 24,14-15) -, i lavoratori della prima ora - poveri anche loro, ma non per questo esenti dai morsi dell'egoismo - non se la prendono con i propri compagni, ma mormorano direttamente verso il padrone.

In altre parabole lo sfogo di rabbia cade sui compagni apparentemente più fortunati di loro (cfr Mt 18, 23-35). Ma sembra, appunto, più uno sfogo che un affrontare il vero problema. Di che si tratta? Del nostro rapporto con il Padrone, con Dio stesso. È proprio lì il guaio. Dio è concepito come un padrone rigido, incasellato nella logica del ‘do ut des', percepito come un avversario a cui spillare compensi. Chissà come si saranno rammaricati, i nostri lavoratori della prima ora, di non essersi nascosti furbamente - come forse avranno fatto i loro compagni, pure fannulloni, che fino alle cinque si sono guardati bene dal farsi trovare in piazza... -, visto che più importante della dignità del lavoro sembra essere il salario...!

Ebbene, la guerra tra poveri, lo scontro tra compagni, l'incapacità di vedere nell'altro un fratello, l'insistenza a percepirsi in competizione anziché in carovana: tutto questo nasce da una immagine di Dio stravolta e sconvolta. Guardiamolo meglio, questo Dio, che invece sorprende a ogni piè sospinto.

Innanzitutto è un ‘padrone di casa' (20, 1). Non un possidente terreno che fa lavoro di ufficio, freddo e distaccato, o che si gode i proventi della sua vigna seduto su un divano. Dio restituisce all'economia la sua intima natura domestica. Dio abita in casa, cioè ama i rapporti famigliari, preferisce stabilire relazioni calde, ha il volto di un padre che non rinuncia a godere della vita feriale e del fuoco del focolare. Come non intravedere il cuore appassionato del padre che divide il patrimonio tra i figli, desideroso soltanto di... paternità?

Questo Padre è mattiniero e intraprendente. Non se ne sta chiuso fra le sue mura sicure e comode, mandando altri a sbrigare le faccende. Dio - ama dirci papa Francesco - è costantemente in uscita. Viene a cercarci. Instancabilmente. Cerca le persone, i suoi figli perduti. Cerca l'uomo, non cerca né il guadagno né il profitto. Cerca me. Sembra proprio scordarsene, di come va la vigna. Dio da costantemente una nuova opportunità, fosse pure dell'ultima ora. Sembra davvero ardere dal desiderio di una famiglia grande, formata da tutti coloro che restano impantanati nelle piazze dei condizionamenti sociali e nei crocicchi delle proprie paure (cfr. Mt 22,1-14).

Dio, poi, rovescia le prospettive. Parte dagli ultimi. Paga coloro che hanno lavorato meno tempo. I lavoratori della prima ora non si accorgono del privilegio. A Lui, infatti, interessa solo che i suoi dipendenti si accorgano di essere figli. E i figli, più stanno con il loro Padre più godono del calore di casa. Dio non tratta tutti allo stesso modo, è vero. Questo lo lascia intendere Lui stesso, con la sottile ironia di Gesù. Dio predilige gli ultimi, perché in loro può manifestare appieno la propria prodigalità, lo spreco del suo amore. E per questo fa di tutto affinché tutti si riscoprano ultimi, o lo diventino, scendendo dal piedistallo dell'orgoglio. Figliolanza e ‘ultimità' sembrano esperienze inseparabili...

Anche a coloro che si incaponiscono nel farsi avversari del Padre, nel coltivare la logica della contrattazione anziché dell'alleanza, Dio non toglie il regalo della sua amicizia. Appare qui l'assurda lotta dell'uomo, che si fa invidioso non del fratello, ma di Dio stesso. È il peccato originale, l'insinuazione del serpente: ‘Non vedi che puoi essere anche tu come Dio?' (cfr Gen 3, 1-5).

Certo. Dio, il Padre, vuole farci come Lui. Ma Lui non è come pensiamo noi. E se davvero desideriamo lasciarci coinvolgere e trasformare dalla luce del suo volto, è una gara di bontà quella a cui siamo chiamati. ‘Farete opere più grandi delle mie' (cfr Gv 14,12), ci promette Gesù. Ma soltanto se riscopriamo in noi quell'immagine del Dio buono, che ci ha fatti ‘cosa molto buona' (Gen 1, 31). Nulla a che vedere con l'ingenuità. Chi sceglie la logica dell'economia di Dio avrà cura della casa dell'uomo, la creazione intera, con la purezza di una colomba, ma anche con l'astuzia di un serpente. La tenerezza fraterna e la grinta del lavoro giornaliero si intrecceranno come mirabile sintesi dell'uomo di Dio, che lo Spirito unifica nell'integrazione degli opposti.

E così gli ultimi saranno... i figli e diventeranno fra loro fratelli. Come non può funzionare un'economia di famiglia?

 

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