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TESTO Commento su Is 60,16b-22;1Cor15,17-28;Gv 5,19-24

don Raffaello Ciccone  

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II domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (07/09/2014)

Vangelo: Is 60,16b-22|1Cor15,17-28|Gv 5,19-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 5,19-24

19Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.

24In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

Isaia 60,16b-22
Il popolo d'Israele, o almeno quella popolazione che è riuscita a tornare da Babilonia a Gerusalemme, ricca di sogni e di speranze, si ritrova di fronte alle macerie di una città distrutta e, per molti tratti, decrepita, abitata da persone che non l'accolgono volentieri poiché coloro che tornano hanno pretese e dinamismo e portano sconcerto e richieste poiché vorrebbero ritornare alle antiche proprietà. In fondo la lontananza è stata di circa 70 anni. Questa situazione difficile, e spesso disperante, viene riletta da un personaggio credente, poeta e innamorato di Dio che scrive sotto il nome di Isaia. È attribuito ad uno o più profeti che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi). A questo autore si riferisce il testo che stiamo leggendo, tratto dagli ultimi dieci capitoli (cc 56-66) di questo splendido libro, in cui sono descritti il ritorno del popolo liberato e la ricostituzione di Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.).
Tutto il capitolo 60 è un canto di speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro. Inizia con: "Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua luce..." (v. 1) e apre l'orizzonte della ricchezza che si riversa attraverso i popoli che arrivano al tempio. Anche nel tempio ricostruito, infatti, affluiranno le ricchezze. Nel sogno la pace regna nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme diventa un riferimento fondamentale di speranza non solo per il popolo, ma anche per tutto l'universo. Un modo curioso di mostrare la ricchezza è il richiamo dei materiali per il nuovo tempio che devono essere migliori di quelli impiegati da Salomone, 500 anni prima. E i responsabili dei lavori non si imporranno con la violenza poiché tutto si svolgerà in pace e armonia. Non ci saranno tenebre e lutto. Persino le porte avranno un nome e si chiameranno "Gloria"; le mura saranno chiamate "salvezza": sono riferimenti alla bellezza ed alla sicurezza di un popolo senza pace e disarmato.
La bellissima definizione pronunciata per i tempi nuovi è: "Il tuo popolo sarà tutto di giusti" (v 21). Per identificare la garanzia al popolo il sole viene sostituito: "Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore" (v20). Nel genere apocalittico, utilizzato nella linea della conclusione della storia umana (la stessa immagine è utilizzata in Apocalisse 21,23): il sorgere del sole e il sorgere della luna non sono più considerati portatori di luce. Probabilmente ci si richiama alle credenze di Canaan in cui si pensa che il sole e la luna siano divinità. In questo caso, nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, "tutto di giusti" (v 21), sarà completamente liberato dall'idolatria: la propria sicurezza non sarà negli astri divinizzati ma nel Signore perché il Signore stesso sarà luce perenne per Sion.
La terra d'Israele, infine, sarà capace di ospitare una popolazione immensa che si moltiplicherà e sarà tutto dono di Dio che mette mano con la sua potenza e fecondità. Ci si richiama ai "germogli delle piantagioni del Signore". C'è, probabilmente la eco di Davide, il "Germoglio della radice di Iesse" che diventa, finalmente, "un popolo immenso". (v 22). In tal modo il profeta incoraggia un popolo a costruire e a camminare, forte della protezione del Dio che salva e libera.
1 Corinzi 15, 17-28
Il tema della risurrezione è fondamentale per la fede cristiana. Soprattutto nel mondo e nella cultura greca la risurrezione della carne viene male interpretata per il disprezzo che viene riversato sul corpo, prigione dell'uomo e dell'anima, peso stantio che non permette di superare il male e la rozzezza della vita umana, imbavagliata e prigioniera dalla corporeità e dai suoi bisogni.
Paolo non si rifà ad una esperienza personale, ma alla essenza della predicazione proclamata e che, a sua volta, per fedeltà alla tradizione, egli stesso l'ha ricevuta dagli apostoli. E quando vuole sintetizzare la fede, la raccoglie in 4 verbi: Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve.
E nei primi 11 versetti del capitolo 15 (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le apparizioni che, ufficialmente, vengono ricordate alla comunità cristiana. La risurrezione di Gesù è il centro della vita cristiana e della lieta notizia che, finalmente, fa pulizia di tutte le morti e le paure. Perciò questa risurrezione sta alla base della nostra risurrezione ed è garanzia di vita nuova. Se cade l'una, cade anche la lieta notizia di Gesù e tutta la fede sarebbe vana. Cadrebbero la speranza, il perdono dei peccati, il senso dell'esistenza e della fedeltà. Ritorneremmo a vivere nella disperazione del male, ci ritroveremmo in una frustrazione terribile di inutilità e di paura. Crollerebbero tutte le novità e tutte le aspettative.
Paolo ricorda che i rabbini pensano ad un primo momento della presenza dell'inviato del Signore, quando inaugura il "regno del Messia". Paolo perciò intravede Gesù vincitore che lotta, combatte e sottomette tutto ciò che si oppone a Dio, compreso la morte. Paolo pensa che il regno del Messia debba durare finché dura il mondo. Alla fine, sconfitti tutti i nemici, compresi la morte, verrà il momento di riconsegnare, purificato, il mondo dal Messia al Padre che inizierà il regno eterno di Dio.
I nemici di cui viene annunciato l'annientamento non sono le persone ma i mali che impediscono all'uomo di vivere in pienezza la propria esistenza. Questi mali sono la fame, la nudità, la malattia, l'ignoranza, la schiavitù, la paura, l'odio, l'egoismo, il peccato, la prepotenza e la sopraffazione.
Quando queste realtà negative saranno scomparse, allora il regno di Cristo sarà compiuto.
Chiunque s'impegna contro questi mali, anche se non cristiano o non credente, collabora con Gesù alla realizzazione del progetto del Messia.
Quando tutto il male che schiaccia e distorce la vita delle persone sarà sconfitto, compresa la morte, allora Gesù consegnerà al Padre il mondo (v 28).
Paolo continua ad avere, come può, il riferimento al Padre verso cui cammina, purificando, e continua a misurarsi con l'Adamo che ha introdotto il peccato e la morte nel mondo. Così la risurrezione di Gesù è il riscatto dalla soggezione dell'uomo nuovo al male ed è il riscatto di ogni uomo, a somiglianza di Gesù. Egli esprime in tal modo la concezione globale della vita cristiana. Cristo è contrapposto ad Adamo, il primo uomo, che ha aperto la strada alla morte. Gesù apre la strada della vita. Questa vita è allora il tempo della liberazione ed ogni uomo che opera per il riscatto della vita dal male, lo sappia o no, cammina con Cristo e salva il mondo.
Per questo la sensibilità credente deve saper vedere e valutare nel mondo situazioni e valori, pur piccoli che riscattano noi e gli altri dal male. Va quindi valorizzata quella visione di ringraziamento e di fiducia che ha sostenuto S. Francesco nel suo cammino di speranza, lui che si appoggiò alla croce e visse in sé la sofferenza di Gesù crocifisso.

Giovanni. 5, 19-24
Gesù compie un miracolo di sua iniziativa su un povero malato di paralisi "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2). E' costretto a letto, incapace di camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e quindi in procinto di morire senza speranza (5,5).
Il fatto della guarigione, compiuta da Gesù, e il conseguente trasporto del lettino/branda sulle spalle del miracolato aprono una discussione violenta sul sabato mentre è palese a tutti l'azione immorale di violazione del sabato. Gesù affronta la discussione, osando rispondere: "«Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». Per questo i Giudei cercano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto viola il sabato, ma chiama Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" (5,17-18). Il testo, nella sua concisione, è chiarissimo: Gesù opera segni di liberazione e di guarigione, ma rivendica questi interventi come opera di sviluppo della creazione. E' opera da sempre del Padre, è opera continua di impegno per salvare la vita e svilupparla.
Il pensiero giudaico stenta a conciliare il riposo di Dio dopo la creazione, riposo di cui il sabato è l'immagine (Gen 2,2s), con la sua continua attività nel governo del mondo. Si distingue, infatti, l'attività del Creatore, che è terminata nel settimo giorno, e l'attività del Giudice, che non cessa mai. Eppure, dice Gesù, Dio non desiste dall'azione di conservare la vita delle creature e governa il mondo anche nei giorni di riposo. Così, mentre i rabbini ammettono che Dio non riposa mai nella sua attività di giudice supremo e capiscono che Gesù rivendica per sé l'uguaglianza perfetta con Dio (Gv10,33). Gesù identifica la sua attività con quella del Giudice sovrano. Da ciò l'indignazione dei Giudei e il discorso con cui Gesù giustifica la sua pretesa (soprattutto Mt 12,1-8).
Quello che scandalizza gli ebrei dotti che lo accusano non è che Gesù chiami Dio Padre perché Israele ha sempre considerato Dio come suo Padre; ma Gesù si pone come colui che assolve da grandi peccati e si pone al centro anche del sabato. In tal modo si è fatto uguale al Padre.
E' chiaro che qui il testo riporta una confessione di fede nella comunità post-Pasquale, poiché è praticamente impossibile che i discepoli riuscissero a capire qualcosa in coerenza.
Gesù sviluppa alcuni temi essenziali:
- Il Figlio imita il Padre. "Il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa', anche il Figlio lo fa allo stesso modo" (5,19).
- Il Figlio conosce i segreti più profondi e la potenza più alta del Padre: "Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati" (5,20).
- Il Padre combatte contro la morte e dà la vita attraverso la risurrezione. Al Figlio è dato lo stesso potere. "Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole" (v 21)
- Il Figlio giudica: "Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato" ( 5,22-23). Ma il significato del giudizio va ripreso da un testo precedente di Gesù a Nicodemo, riportato da Giovanni: "Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,17).
In tal modo l'autorità del Figlio, ricevuta dal Padre, implica il potere di giudicare, di dare la vita, di resuscitare i morti e di salvare i credenti.
In conclusione Gesù non chiede altro per sé poiché sa che è troppo pretendere di più. "Importante, però, almeno, che si ascolti la sua parola". Perciò: «In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». Tutto questo discorso di cui noi, oggi, leggiamo solo in parte, è fondamentale perché esprime una pienezza di disponibilità di Gesù verso il Padre: per un certo verso, si presenta egli stesso come un apprendista che impara con grande fedeltà davanti al maestro che insegna (v.19). E' anche quello che Gesù si aspetta da noi, con umiltà e con coraggio. L'agire di Gesù si fonda su un rapporto di amore senza riserve del Padre verso il Figlio e tutto il Vangelo, in particolare quello di Giovanni, vorrà dimostrare questa fedeltà totale di ascolto da parte di Gesù che sviluppa e matura la volontà di Dio nel tempo.

 

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