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TESTO Luce propria e luce riflessa

padre Gian Franco Scarpitta  

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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/02/2005)

Vangelo: Mt 5,13-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,13-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Nelle Domeniche precedenti abbiamo avuto occasione di riflettere sull'importanza della conversione, riscontrando tutte le condizioni per cui essa si possa attuare in noi: 1) In primo luogo è Dio che per primo ci converte: Egli manifesta il suo amore e la sua volontà che tutti siamo salvi, chiamandoci a sè 2) Noi ci "convinciamo" di Dio e, una volta compreso il suo disegno di salvezza ci disponiamo a cambiare mentalità, modi, costumi in direzione divina 3) Tutto questo ci conduce alle opere buone e alla retta condotta di vita. In altre parole, convertendoci noi corrispondiamo all'appello di Dio una volta compresa la sua importanza. Aggiungevamo anche che perché in noi possa realizzarsi tutto questo processo, occorre anche docilità e sensibilità alla chiamata di Dio, e questo lo riscontravamo in modo peculiare in quanti mancano dei mezzi di sussistenza: i poveri.

Ebbene, sempre nel contesto delle liturgie precedenti, osservavamo anche che Dio, chiamandoci a conversione, ci si propone nella persona di Gesù Cristo, definito Luce nel mondo; adesso notiamo come chi aderisce al suddetto appello di vita diventi a sua volta "luce del mondo". Intendiamoci: la Luce vera che illumina ogni uomo rimane sempre Cristo, ma chi aderisce a lui diviene anch'egli riflesso di questa luminosità perché di Cristo diviene apportatore e testimone. E' quanto avviene durante la liturgia del Battesimo dei bambini, nella quale si invitano i papà ad accendere una candela al cero pasquale: poiché il bambino è stato appena rigenerato nel lavacro battesimale, divenuto figlio di Dio, viene innestato in Cristo e pertanto partecipe di quella Luce rappresentata dal cero medesimo; ma poiché il bimbo non è cosciente della responsabilità cristiana che il battesimo comporta, saranno i genitori a dovere fare in modo che questa fiamma venga alimentata sempre nel loro figlio, attraverso una crescita e una pedagogia in senso cristiano.

In tutti i casi, se Cristo è la luce propria, noi siamo "luce riflessa", che non può restare nascosta, ma deve brillare tutt'intorno: in una strada in aperta campagna, il lampione non lo si colloca certo fra i rovi, i cardi e i cespugli della zona antistante, ma ai margini dell'asfalto perché possa orientare i viandanti e gli automobilisti e tale deve essere per analogia il nostro cristianesimo: un concreto orientamento per quanti cercano la verità vagando nell'errore.

Altra similitudine fa' Gesù nell'immagine del sale, che potrebbe perdere il suo sapore e rendersi inutile. Considerando che nella con testualità dell'epoca il sale era formato da polvere di gesso oltre che di elemento marino, possiamo percepire al volo l'analogia: quando veniva a ridursi in sola polvere di gesso, esso perdeva il suo sapore; cosa che non deve avvenire nel credente in Cristo

Ciò vuol dire che il nostro cristianesimo non è affatto sterile e passivo, ma piuttosto dinamico, entusiasta, intraprendente: chi aderisce a Cristo manifesta a tutti la gioia di appartenergli e di essere stato da Lui liberato e rinnovato e pertanto la testimonianza di luminosità la si offre con la nostra stessa vita intrisa di gioia ed esultanza.

Ma andiamo ancora oltre: in apertura facevamo riferimento ai poveri, considerando il fatto che si trova nell'indigenza e nella penuria materiale vive la conversione come familiarità con Dio, e per ciò stesso la sua è una testimonianza continua di beatitudine terrena; tuttavia occorre considerare – Come già facevamo la volta scorsa- che essere poveri non corrisponde necessariamente a non possedere mezzi; si può essere poveri "nello spirito", cioè anche possidenti ma tuttavia non affettivamente legati al denaro, considerando che di ogni cosa noi non siamo altro che depositari e in tale ottica condividere quello che si ha con i bisognosi. Ed è proprio questa una delle dimensioni nelle quali testimoniamo il nostro essere "luce del mondo": la carità; così afferma il bellissimo brano di Isaia 58, di cui alla Prima Lettura, fra l'altro allusivo alla retta penitenza e in particolar modo al valore reale del digiuno: quello che è gradito a Dio è la concreta apertura alle altrui necessità che va operata senza esitazioni né retoriche nelle opere di bene da svolgersi verso il misero, il forestiero, la vedova (categoria fra le più sfortunate dell'epoca). L'amore al prossimo e la carità costituiscono infatti i "frutti degni di penitenza", cioè i segni effettivi e reali di un processo di conversione e di mutazione interiore che è già avvenuto e di cui siamo stati protagonisti, una volta assaporato in prima persona l'amore di Dio, pertanto nessun'altra testimonianza della "luce di Cristo" noi credenti potremo mai dare se non quella della carità operativa.

A che punto siamo con la carità? Siamo convinti che essa è una dimensione ineluttabile da viversi tutti i giorni, anche nelle minime circostanze e che qualsiasi opera, anche la più insignificante che dedichiamo a noi stessi è sempre relativa al bene degli altri? Siamo disposti a donare noi stessi agli altri innanzitutto nel nostro stesso atteggiamento (un sorriso, una parola, un buon consiglio) e innanzitutto verso il prossimo più vicino (familiari, amici, vicini di casa) per poi estenderci anche agli estranei e finalmente a tutti i nemici?

Quando sia espressiva della nostra comunione con Dio, quando sia accompagnata dalla letizia e dalla gioia nel Signore e non si riduca a sola filantropia, l'amore al prossimo è l'unica caratteristica che convincerà gli altri del nostro cristianesimo e che ci guadagnerà pertanto il paradiso in questa e nell'altra vita. E che ci fa essere luce del mondo.

 

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