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TESTO Commento su Is 22,19-23; Mt 16,13-20

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/08/2014)

Vangelo: Is 22,19-23; Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,13-20

In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Gesù entra in confidenza con i suoi amici camminando. Penso che tutti abbiamo avuto, almeno una volta nella vita, la ventura di compiere con un gruppo di amici un lungo percorso a piedi. Quando ti prende la stanchezza, quando la strada sembra non finire mai, è il momento in cui i cuori sembrano dilatarsi in un respiro d'amicizia, e ci si apre al reciproco domandare e al reciproco ascolto. Chi sono io per voi?, chiede il Cristo ai suoi amici. Per voi, con cui ho condiviso, e condivido, questa strada; per voi, che mi sembra di conoscere così bene... eppure...
Gesù stesso scopre la propria identità camminando. Non si nasce con un'identità definitiva, chiara. L'identità si definisce per via, camminando. Nel contatto con gli altri che camminano con noi. Nel dialogo con gli amici e i fratelli. L'identità si scopre quando si è confermati come soggetti, e come soggetti agenti. Per questo Gesù ha bisogno non di essere rassicurato, ma di essere confermato. Chi sono io per te? Non mi interessa ciò che tu hai sentito dire di me, mi interessa sapere qual è la relazione, vera, che intercorre tra me e te, come tu mi percepisci, che cosa tu provi per me, che cosa tu pensi di me. Non mi interessano le risposte tangenziali, i giri di parole, la prudenza del linguaggio, il nascondersi dietro le parole vuote, i doppi sensi. Gesù vuole una conferma: positiva o negativa, non importa. Non vuole però essere disconfermato. Ama il rapporto diretto, scarno, essenziale, come quello di Pietro.

Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Tu sei il Cristo... Pietro non ama i giri di parole. Non dice "ho sentito dire che...", non usa il condizionale. Il suo linguaggio non è burocratico, diplomatico, cardinalizio. Tu sei il Cristo. Non è una risposta, è una confessione. E nessuno di noi può confessare il Cristo se lo Spirito non glie lo consente, non glie lo suggerisce. Uno Spirito - che è Signore - dai disegni imperscrutabili, dalle vie inaccessibili, come dice Paolo ai cristiani di Roma. "Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli" (Rom 11,36). È solo lo Spirito che induce ad abbandonare le false prudenze, le timidezze, le circospezioni, l'ipocrisia, quella paura nel prendere le decisioni che tanto male ha fatto alla Chiesa da Costantino ad oggi, da quando cioè il rapporto invischiante con il potere ha smentito nei fatti quell'invito del Cristo: Sia invece il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal maligno(Mt 5,37). E non è casuale che qui si innesti il discorso sull'autorità.

La prima lettura aveva già introdotto questo argomento. Settecento anni prima di Gesù, il re Ezechia, al quale evidentemente non piacciono i megalomani, sostituisce il sovrintendente del palazzo, cioè il maggiordomo, Sebna, con Eliakim, trasferendo a questi tutti i poteri. Il potere aveva dato alla testa a Sebna, cosa piuttosto frequente anche ai giorni nostri, e questo funzionario reale viveva nel lusso più sfrenato. La sostituzione si rende dunque indispensabile e il nuovo sovrintendente sarà rivestito con tutti i segni del comando, la tunica e la cintura destinati a chi esercita l'autorità. Non solo, ma... "Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: / se egli apre, nessuno chiuderà; / se egli chiude, nessuno potrà aprire" (Is 22,22). Pieni poteri, dunque. Questo testo messianico viene richiamato da Gesù nel suo colloquio con Pietro. Anche a lui verranno date le chiavi del Regno, e potrà legare e sciogliere. Con una differenza, però, novità dei tempi nuovi che il Cristo ha inaugurato. Autorità non significa dominio. L'autorità è il massimo servizio che possa essere esercitato; il dominio è il vero male di tutti i tempi e, segnatamente, anche di quello in cui abbiamo la ventura di vivere. Anche nella Chiesa è stata ed è spesso confusa l'autorità con il dominio. Un dominio che si è sviluppato non solo nei confronti delle cose, ma soprattutto delle persone. Autorità non significa dire: "Io penso, decido per te: io ho la grazia del comando, tu quella dell'esecuzione". Il laicato cattolico ha vissuto, nel passato, questa contraddizione profonda, questa umiliazione infinita simboleggiata dal bacio dell'anello vescovile, segno di obbedienza: un'obbedienza da minori. Oggi con Papa Francesco, e già ieri con Papa Giovanni e con il suo Concilio purtroppo in gran parte tradito, si sta inaugurando una stagione nuova. Non più "io penso per te", ma "io penso con te". Un'autorità non di sostituzione, ma di accompagnamento. Certo, come quelle strade di Palestina sulle quali Gesù camminava con i suoi, il cammino è ancora lungo. Ma è tracciato, e occorre seguirlo con pazienza, con discrezione, con umiltà. La stessa che Gesù suggerisce ai suoi discepoli.

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Verrebbe da chiedersi: Ma è proprio un segreto la fede? No, la fede non è un segreto, non è un segreto professare il Cristo. Ma questa professione più che con le parole avviene con i fatti. Non basta avere chiari i principi teologici fondamentali, occorre realizzarli nella praxis della nostra esistenza quotidiana. "Non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21). La fede è discreta, va coltivata nel cuore e realizzata nella vita, non urlata nelle piazze. La fede nel Cristo crocifisso, nel Cristo "perdente", va vissuta con timore e pudore, soffrendo e morendo con i crocifissi e i perdenti della storia umana, più che facendone una bandiera, un segno di trionfalismo. Sarà la nostra vita, qualunque sia la nostra adesione ad una delle religioni storiche del mondo in cui viviamo, o anche a nessuna religione, a "dire" la nostra fede. È consolante sapere che non siamo soli, sapere che attorno a noi, nei nostri ambienti, nei nostri affollati condomini, ci sono persone, che magari non vediamo mai alla messa domenicale, ma che pure si sforzano, soffrendo, di fare la volontà del Signore, di aderire, magari inconsapevolmente, al suo messaggio, di professare nei fatti non la teoria della fede, ma la pratica della fede.
Segno di grande libertà interiore questa fede che il Cristo ci chiede di professare. Per questo occorre impetrarla, pregarla incessantemente.
Traccia per la revisione di vita.
- In famiglia sono autorevole o autoritario? Sono io a pensare per i miei figli, oppure li aiuto a pensare con la propria testa, e a crescere in autonomia e responsabilità?
- Mi sforzo di cogliere attorno a me le tracce di bene, i segni di una fede vissuta?
- Come coniugo, nella mia vita quotidiana, di coppia e di famiglia, le tre virtù "teologali": la fede, la speranza e la carità?
Luigi Ghia Direttore di "Famiglia Domani"

 

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