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TESTO Commento su Mt 11,25-30

Monastero Domenicano Matris Domini  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/07/2014)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Lectio
Con la ripresa del Tempo Ordinario e il termine delle solennità seguenti la Pentecoste (Santissima Trinità e Santissimo Corpo e Sangue di Cristo) a cui quest'anno si è aggiunta anche la solennità dei santi Pietro e Paolo, possiamo riprendere anche la nostra lettura di Matteo. L'avevamo interrotta dopo l'VIII domenica del Tempo Ordinario, domenica in cui ha avuto termine il discorso della montagna.
In questa XIV domenica invece ci ritroviamo nella sezione di Matteo 11,1-30, che rappresenta una digressione dalla linea principale del racconto. Al termine del discorso missionario, che ha occupato tutto il capitolo 10, non avviene l'effettiva partenza dei discepoli, bensì è Gesù stesso che parte (v. 1): "partì via di là per insegnare e predicare nelle loro città". Il vero inviato è lui.
Matteo racconta poi l'episodio, sconosciuto a Marco, dei discepoli mandati da Giovanni incarcerato (vv. 2-6). La domanda del Battista che esprime un dubbio su Gesù è un espediente perché Gesù manifesti più chiaramente la propria identità. Tutto il resto del capitolo è un discorso di Gesù che dà la propria testimonianza su Giovanni e accosta se stesso al Battista nel piano della salvezza (vv. 7-14). Poi lancia un "guai" alle città galilee che non si sono convertite alla sua venuta (vv. 16-24) e conclude con una preghiera di ringraziamento, il brano di Vangelo previsto per questa domenica.
Si tratta di una composizione tipica di Matteo, una delle più belle pagine del Vangelo.
E' composta da tre parti:
a) un ringraziamento al Padre (vv. 25-26)
b) un soliloquio sul rapporto tra il Padre e il Figlio (v. 27)
c) un invito a imparare da Gesù (vv. 28-30).
Elemento unificante è l' "apocalisse" cioè la rivelazione. Una struttura così si ritrova anche in Siracide 51:
a) un inno di ringraziamento (vv. 1-12)
b) un soliloqui sulla ricerca della sapienza
c) un invito a mettersi alla scuola di un maestro, a sottomettersi al giogo della sapienza.
La presenza di questo schema ci fa pensare a una elaborazione delle parole di Gesù compiuta da Matteo in chiave sapienziale.
25 In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
"In quel tempo" è una notazione cronologica molto generica, che indica simultaneità piuttosto che successione. Quello che noi abbiamo tradotto come "disse" in realtà è un "rispondendo". Ciò non implica alcuna domanda, ma suggerisce la percezione dei molti che non hanno creduto alle "opere del Messia" e dei pochi che vi hanno aderito.
Gesù esordisce con una confessione di fede e di lode (exomologoumai, ha anche la sfumatura "ti riconosco, cf. Mt 10,32). Nonostante tutte le apparenze e la grave incredulità appena denunciata delle città che gli sono state più vicine, Gesù ha l'intima certezza che la sua "opera" non è stata vana, e perciò benedice il Padre. Il motivo del ringraziamento ci ricorda le parole polemiche di Isaia 29,14: "Perirà la sapienza dei sapienti e si eclisserà l'intelligenza degli intelligenti".
Questo testo viene citato anche da Paolo in 1Cor 1,19. Dio ha nascosto queste cose, cioè le opere del Messia di cui egli parla in Matteo 11,2. Non è che i sapienti non abbiano visto le opere del Messia, ma è sfuggita ad essi la loro reale importanza, il loro significato più profondo. Questo invece è stato rivelato (apokalypto) quasi per connaturalità a coloro che sono sprovvisti di strumenti intellettuali, sprovvisti perfino della capacità di parlare (gli infanti, i semplici, gli ingenui).
26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Gesù non ringrazia il Padre perché nasconde ai sapienti, ma perché si rivela agli umili. C'è una logica sottostante a questo e la possiamo vedere in 1Cor 1. La benedizione di Gesù verso il Padre si può chiamare "inno di giubilo", questo è ciò che è piaciuto a Dio.
27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Con questo versetto vi è un cambio di prospettiva. Prima era il Padre a rivelare ai piccoli i misteri nascosti.
Ora è il Figlio che rivela il Padre a chi vuole. "Tutto mi è stato dato dal Padre". Questo tutto corrisponde al queste cose del v. 25 e chiama in gioco l'autorità messianica di Gesù, che si opera dappertutto ("Mi è stata data ogni autorità in cielo e sulla terra").
Il Padre si può conoscere solo attraverso il Figlio. Questo significa che il Padre si rivela agli umili solo attraverso colui che "mite e umile di cuore".
28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Siracide 51,23-26 si rivolgeva agli "stolti", coloro che non hanno istruzione, e li esortava a mettersi alla sua scuola. Gesù invita tutti gli affaticati e i gravati a mettersi alla scuola del regno dei cieli. Egli dunque si rivolge a coloro che sono stanchi a causa dei pesi inutili imposti loro dai sapienti (cf. 23,4) e vuole dare loro riposo. Riposo (anapausis) è un termine tecnico, è il riposo che si può ottenere grazie all'acquisizione della sapienza.
29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".
Vi è un certo "giogo" della sapienza, vi è un carico che non è faticoso, ma riposante. Ne parlano spesso i rabbini, parlando dell'obbedienza alla Torah. Questo giogo però è di Gesù, poiché è Lui la Sapienza, la Torah personificata. Prendere il suo giogo significa imparare da lui, diventare suo discepolo. Non significa soltanto studiare la Torah, ma porsi alla sequela di Gesù, "mite e umile di cuore" come lo sono i piccoli, gli infanti. Il termine "mite" si incontra anche nelle Beatitudini (5,5) e nell'entrata di Gesù in Gerusalemme (21,5). E' su questa mitezza che si fonda la connaturalità della rivelazione di Gesù ai poveri, agli afflitti, ai perseguitati.
Meditiamo
- Secondo te chi sono oggi i sapienti e gli intelligenti che non hanno conosciuto le opere di Cristo? Chi sarebbero invece i piccoli a cui il Padre le ha rivelate?
- Ti sei mai sentito/a aggravato/a e oppresso dalla religione cristiana? Perché?
- Cosa significa imparare da Gesù ad "essere mite e umile di cuore"?

Preghiamo
(Colletta della XIV Domenica del Tempo Ordinario Anno A)
O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai miti l'eredità del tuo regno, rendici poveri, liberi ed esultanti, a imitazione del Cristo tuo Figlio, per portare con lui il giogo soave della croce e annunziare agli uomini la gioia che viene da te. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

 

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