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TESTO Commento su Gs 4,1-9; Rm 3 29-31; Lc 13,22-30

don Raffaello Ciccone  

VII domenica dopo Pentecoste (Anno A) (27/07/2014)

Vangelo: Gs 4,1-9|Rm 3 29-31|Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Giosuè. 4, 1-9
Ormai tutto il pellegrinare nel deserto si sta concludendo. Il popolo è stato accompagnato da Mosè per il tragitto di 40 anni, mediatore fedele e coraggioso, segno della presenza e della protezione di Dio. Ora, anche Mosé è morto, dopo aver intravisto la terra promessa da lontano, dal monte Nebo, al di là del Giordano. E' necessaria una guida nuova, fedele a Dio e al suo progetto, coerente come Mosè, docile alla volontà del Signore. Così, in modo preciso e sommario, la Bibbia ricorda il passaggio delle consegne. "Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, aiutante di Mosè: «Mosè, mio servo, è morto. Ora, dunque, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso la terra che io do loro, agli Israeliti. Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l'ho assegnato, come ho promesso a Mosè [...].Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò" (1,1-5).
Il popolo d'Israele ha ormai completato il suo itinerario nel deserto ed è alle soglie della terra promessa. Si ripete, qui, il grande segno della protezione di Dio: Egli toglie ogni ostacolo e fa superare ogni sbarramento. In questo caso aiuta il popolo liberato a oltrepassare nuovamente l'ostacolo dell'acqua. Come per il mar Rosso un tempo, ora il popolo disarmato supera lo sbarramento del fiume Giordano. Si comporta come in una liturgia: precede l'arca, portata dai sacerdoti che si fermano in mezzo al fiume mentre l'acqua si arresta prima dell'arca e defluisce dopo. Il letto del fiume si fa asciutto. Davanti all'arca passano tutte le 12 tribù d'Israele e quindi, da ultimo, viene portata sulla riva l'arca. A questo punto, il fiume riprende a scorrere. Il testo che leggiamo oggi si ferma ad un comando particolare di Iahvé che ordina a Giosuè di scegliere 12 uomini, uno per tribù, perché portino 12 pietre tolte dal Giordano, per costituire insieme, sull'altra riva, un altare e offrire un sacrificio di lode e di ringraziamento al Signore. Queste pietre daranno origine al santuario di Galgala: "Giosuè eresse a Gàlgala quelle dodici pietre prese dal Giordano e disse agli Israeliti: «Quando un domani i vostri figli chiederanno ai loro padri: "Che cosa sono queste pietre?", darete ai vostri figli questa spiegazione: "All'asciutto Israele ha attraversato questo Giordano, poiché il Signore, vostro Dio, prosciugò le acque del Giordano dinanzi a voi, finché non attraversaste, come il Signore, vostro Dio, fece con il Mar Rosso, che prosciugò davanti a noi finché non attraversammo; perché tutti i popoli della terra sappiano che la mano del Signore è potente e voi temiate tutti i giorni il Signore, vostro Dio"(4,20-24).
Si parla poi di un secondo comando: i 12, uno per tribù, devono portare altre pietre nel letto del Giordano perché siano visibili, resistendo all'impeto della corrente. Anche qui, come in altre situazioni, c'è la preoccupazione di una catechesi per le nuove generazioni: così le pietre diventano occasione di interrogativi. E' dall'interrogativo che nasce l'occasione di una memoria che renda ogni volta il senso della vita attuale come opera di Dio. Tale opera è avvenuta nel proprio passato, ma continua attraverso la fede ancora oggi.
Non è un caso che ci si preoccupi delle nuove generazioni, delle loro domande, dei segni di un coraggioso cammino in obbedienza al Signore. Risulta fondamentale che i giovani pongano domande e che restino sul territorio i segni visibili del proprio cammino.
Israele ha molto coltivato e ha molto incoraggiato la curiosità che si traduce in perché e in quesiti: rispecchia intelligenza ed offre occasioni per fondare nel cuore delle nuove generazioni la comprensione e la custodia della propria storia che è frutto delle scelte e della vocazione che il Signore ha posto sul popolo.
Conoscere la propria storia che si incatena a quella degli altri fa superare l'individualismo, ricupera la solidarietà, incoraggia ad un cammino comune dove Dio stesso ha messo mano e fa sentire tutti uniti nelle scelte religiose del Dio potente che però chiede sempre partecipazione e fiducia. Il ricordare, insieme, riempie il cuore di speranza.
Romani. 3, 29-31
Paolo deve affrontare discussioni durissime per arrivare a far cogliere che la misericordia di Dio raggiunge tutti, ebrei e pagani che si convertono alla parola di Gesù, siano o non siano circoncisi.
Ma è anche comprensibile, visto che quel Gesù, che era stato crocifisso, non era mai uscito dai confini d'Israele, salvo circospette eccezioni.
Bisogna rifarsi a qualche versetto precedente di questa splendida e complessa lettera di Paolo. "Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti". Si parla della giustizia di Dio ma ci si deve rendere conto del suo significato nella Scrittura: essa corrisponde sempre e solo alla sua misericordia, alla sua benevolenza, alla sua grazia. Egli fa giustizia quando fa germogliare il bene e cambia l'uomo da malvagio a giusto. Così nella Scrittura bisogna sempre tradurre alcuni testi che ci intimoriscono, come: "Dio viene per giudicare", riprendendo il significato di speranza. Il Signore viene per elargire i suoi beni, per far sorgere nel mondo la sua misericordia. E se nei primi capitoli Paolo presenta, in modo drammatico, la situazione dell'umanità prima della venuta di Gesù nel mondo pagano, anche Israele, pur privilegiata come popolo che conosce la legge del Signore, anch'essa contravviene alla legge (2,20-22). Il testo allora continua ricordando che "la giustizia di Dio, per mezzo della fede in Gesù Cristo, è per tutti quelli che credono. Infatti non c'è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù" (2,22-24). Allora Paolo si preoccupa di garantire tutti, sia i pagani che i giudei, che pure sono sotto il dominio del peccato, e garantisce che in Dio c'è un unico atteggiamento nei loro riguardi. Non c'è un Dio dei giudei e un Dio dei pagani. Garante è la fede in Gesù che porta il dono di grazia di Dio e che è aperto a tutti gli uomini.
Per noi si aprono gli orizzonti di tutto il mondo: siamo inviati a portare la speranza e la parola del Signore, ma possiamo contare che il Signore ci ha preceduto, attento ad ogni persona e il campo è già abitato, anche se in modo anonimo. Noi dobbiamo fidarci, arando, facendo scoccare una parola comprensibile, un gesto da interpretare come gratuito, un'attenzione, una pazienza solidale. Dio lavora in modo sotterraneo, ma vivo e garantito.
Luca. 13, 22-30

Una domanda, che sorge da uno sconosciuto del seguito di Gesù: "Sono pochi quelli che si salvano?", lo interpella il Signore nel mezzo della predicazione lungo il percorso che porta Gesù a Gerusalemme. I modi diversi di insegnamento passano da una predicazione organica ad un dialogo che si fa spunto per approfondimenti, da un fatto ci si allarga su un orizzonte, da una pianta senza frutti nasce l'immagine della sterilità di una nazione. La predicazione dà una linea di ricerca, il dialogo affronta interrogativi di verifica personale e pubblica quando l'ascolto è ad alta voce tra persone che vogliono ascoltare, le osservazioni, spesso, diventano similitudini e parabole per riletture più alte.
La domanda, qui posta, probabilmente segue un riflessione sul cercare il regno, sul mettersi in sintonia con la parola e la volontà del Signore, è accettare di fare le proprie scelte lottando contro il male. Probabilmente è sorto il timore che ci possa essere un Paradiso spopolato e che la forza del Signore è troppo debole di fronte al male.
Gesù non risponde poiché non fa statistiche, che non servono, non fa previsioni rassicuranti ma, al solito, rimette in discussione le garanzie che ciascuno istintivamente si è procurato, tanto più che un buon numero di persone ritiene di essere tra i giusti per la propria fedeltà alla legge.
Questo testo è sconcertante. Eppure viene dallo stesso evangelista Luca che presenta, per lo più, un Gesù molto più comprensivo e indulgente, misericordioso e paziente. Ma questa volta sembra che il problema della salvezza sia in pericolo, tra minacce e condanne.
Gesù deve avere davanti agli occhi le porte della città che, al tramonto, vengono chiuse. Resta una porta piccola e stretta per i ritardatari che devono contorcesi e farsi piccoli se vogliono entrare. E se il gruppo che preme è numeroso, bisogna sgomitare e far fatica: bisogna lottare. Con tutta probabilità Luca sta affrontando il clima di comunità cristiane rilassate e abitudinarie, sicure di una propria superiorità morale e garantite. In tal modo c'è il pericolo della superficialità, dell'annacquare il messaggio di Gesù, chiusi nei propri confini garantiti. "Sforzarsi di entrare per la porta stretta" richiede impegno, fatica, coerenza di vita, superamento delle suggestioni e delle mode. Bisogna sentirsi piccoli e bisognosi di misericordia, mentre ci si impegna a seguire Gesù che cammina verso Gerusalemme. "Sforzatevi" si misura con la preoccupazione di non essere "operatori di iniquità". In questo caso, però, il problema non si pone più su quanto il Signore è disponibile a salvare. Il problema si pone su quanto ciascuno di noi è disposto ad impegnarsi fino in fondo. Collegato con l'insegnamento che Gesù sta sviluppando nel suo cammino, mentre sale a Gerusalemme, lo "sforzatevi" rimanda non tanto ad un allenamento sportivo, ma ad un impegno verso mete attese e conquistate. L'alternativa si gioca nel non essere "operatori di iniquità". La porta è stretta ma la sala è immensa poiché c'è una umanità impensabile, universale che ha percepito esigenze e richiami del Signore ed ha camminato sulla sua scia, inconsapevole, magari ma coerente, una folla che allarga il cuore poiché fa scoprire l'ampiezza del bene e il vero splendore della salvezza.
Restano fuori i conoscenti, i frequentatori, gli amici o presunti tali, coloro che sanno a memoria le parole di Gesù ed hanno avuto confidenza con lui ("hanno mangiato e bevuto in sua presenza") od hanno celebrato l'Eucarestia. E qui rientriamo tutti noi, sacerdoti e laici battezzati.
Il cristianesimo di routine, la litania del "Ho fatto il mio dovere", "io ci ho provato. Si arrangino gli altri" è il nostro vocabolario del buonismo tranquillo e si potrebbe allungare all'infinito.
In questi giorni si sentono voci sconcertate di mafia scomunicata, e ci si stupisce. Scioperi della messa in carcere, "tanto siamo scomunicati", di inchini di statue della Madonna in processione al Boss del paese agli arresti domiciliari, condannato all'ergastolo; "Si è sempre fatto così. Che male c'è?"
Chi è in carcere è sempre un povero e il Signore gli vuole ancor più bene e va rispettato come persona. Ma risorge una mentalità diffusa. La religione è fatta di quattro avemarie, di messe domenicali, di immaginette e di confessioni ogni tanto, di una offerta vistosa, per chi vuole un piacere ed ha tanti soldi.
Anche la mafia è una religione, con tanto di riti, poco importa se assomigliano a quelli della Chiesa, con tanto di obbedienza cieca, con tanto di premi e di condanne. E c'è pure la scomunica. Se te ne vai ti escludiamo, ovvero ti ammazziamo.
La Chiesa cattolica non chiede obbedienza per sé ma obbedienza al Signore che non uccide ma per amore si fa uccidere, che domanda il coraggio di amare e perdonare anche il peggior nemico, e che dice che questo comportamento di assassini è contro l'amore del Padre. "Finché continui ad essere contento di obbedire alla mafia, sei sempre aggregato ad una religione di morte". "Che se accetti di rifiutare questa logica, ti liberi da questa esclusione e ritorni dignitosamente ad essere accolto in questo popolo". Ti liberi automaticamente della scomunica. Ma questo popolo, pur poveramente, crede in Gesù, in quello vero e non in quello fasullo a cui ti rivolgi e fai anche il segno della croce prima di ammazzare qualcuno. E se riesci a far fuori qualcuno, chi ha vinto? Cristo in croce o satana? Non tutti sono mafiosi, ma è diffusa una religione da quattro soldi, carica di santini, di superstizioni, di interessi, di maldicenze e di odi.
A nessuno è vietata la parola del Signore. Se cominci a rileggerla, se a Messa ci vai per riflettere su ciò che il Signore dice, se cominci a pregare per cambiare criteri di vita e modi di pensare, se cominci a desiderare di capire e di cambiare, non sei scomunicato ma in armonia con tutto il popolo che crede.

 

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