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TESTO La vita non dipende dai beni

don Romeo Maggioni  

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/08/2004)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Questa volta siamo nel cuore dei nostri problemi, il rapporto strano e difficile tra la vita e i beni materiali.

Si potrebbe dire che i soldi sono molto, ma non sono tutto per la vita. Sono un mezzo e non il fine. E sta bene. Ma poi capita che siamo tirati dentro ai nostri affari al punto che prendono tutta la vita, e allora ne abbassano la mira, riducendola a consumo di beni, o a gestione di potere, chiusi nell'ambito dell'orizzonte terrestre e temporale.

E' necessario uno sguardo globale sul senso della vita per collocarvi poi l'uso dei beni e delle ricchezze, perché divengano strumenti positivi e non tentazioni e pericoli per il suo fallimento.

1) ARRICCHIRSI DAVANTI A DIO

La parabola mette drammaticamente in luce l'errore di chi "accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio". Il fallimento sta nell'aver sbagliato riferimento, cioè traguardo, pensando di assicurare e riempire da sé la vita, mentre questa è solo dono e pienezza che ci viene da Dio. Questo significa che, nonostante tutto il nostro darci da fare non aggiungiamo un'ora in più alla nostra vita (cfr. Lc 12,25), perché essa ha un destino oltre il tempo, aspira ad una pienezza oltre le cose, esige una qualità che è niente di meno che quella di divenire "simili a Dio", perché appunto creati "a sua immagine e somiglianza". Destino irrinunciabile, pena una lunga catena di delusioni, e alla fine l'infelicità eterna. "Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (sant'Agostino).

San Paolo oggi allora ci esorta: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio". Un uomo cioè - questo Gesù di Nazaret - ha provato tutto il limite umano ed ora è oltre, in possesso della pienezza di vita propria di Dio. Tale possibilità è offerta ad ognuno di noi dal battesimo, di avere cioè nel tempo una dimensione divina che ingloba la condizione umana per esaltarla fino a "sedere alla destra di Dio". Implica certamente una morte alla concezione autosufficiente dell'uomo che crede di salvarsi da sé, e una attesa - non il tutto e subito che si pretende da noi -, una paziente e operosa attesa come di nuova risurrezione. Altrove san Paolo usa l'immagine di un parto difficile (cfr. Rm 8,22).

Alla fine la sentenza di Gesù è esplicita e riassuntiva: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni". E' di moda dire che non l'avere, ma l'essere qualifica una persona. Di questo siamo persuasi. Ma è quell'essere che va riempito, per non sbagliare ancora! Essere intelligente, essere operoso e giusto, essere importante e lasciare una memoria, essere dei signori e non tanto dei ricchi...: è tutto un essere buono, ma non sufficiente. L'avere e il fare umano qualificheranno pienamente l'essere solo se sarà un arricchirsi davanti a Dio, un essere divino! Si è già al di là di ogni etica umana; ben oltre cioè il piccolo problema d'eredità in cui si vuol coinvolgere Gesù.

2) "STOLTO..."

"Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?". Tutto il castello di sicurezza che quest'uomo s'era costruito, diviene insipienza, perché quando uno muore con sé non porta nulla. E' la riflessione amara e realista di tutto il libro del Qoelet: "Vanità delle vanità, tutto è vanità". Cioè un soffio che passa, una illusione. "Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato?". Piange il cuore, sembra dire Qoelet con sarcasmo, vedere un padre che ha messo in piedi una azienda fiorente e il figlio poi che scialacqua tutto...! Quanta poca soddisfazione dà la vita! Ma anche a fare il bene, che serve se non si è sicuri che vi è una ricompensa definitiva ed eterna diversa da quella di chi fa il male? L'anelito dell'uomo ad una giustizia piena al di sopra delle parti e del tempo, solo in Dio trova piena soddisfazione.

"Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la sua anima?" (Mt 16,26). La ricchezza porta il pericolo dell'idolatria, cioè a far perdere di vista Dio come bene supremo e a non accorgersi più di Lui. La ricchezza chiude il cuore di fronte agli altri, e anche questo è contro il disegno di Dio, che ha immesso nel creato risorse per tutti, chiedendo all'uomo collaborazione per la loro equa distribuzione. La ricchezza porta più facilmente anche a soddisfare "quella parte di noi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quell'avarizia insaziabile che è idolatria" (II lett.). E alla fine, per denaro, vediamo quanto disordine sociale si produce: tangentopoli, illegalità, mafia, stragi...!

Il cristiano non è fuori dalla storia, e quindi dalla realtà economica, base necessaria al vivere e all'esercizio della libertà. Dai criteri evangelici la Chiesa ha saputo trarre in questi anni una precisa e illuminante dottrina sociale per quel che concerne il retto uso dei beni economici. Di fronte alla realtà sociale sempre più complessa, non mancano indicazioni concrete per i problemi del lavoro, della proprietà, dello sviluppo, dei sistemi economici, del capitalismo da correggere: l'enciclica "Centesimus Annus" ne è come la Magna Charta. Il richiamo evangelico alla saggezza e alla prudenza di fronte ai beni non ha distolto la Chiesa dal rispondere alle sfide più concrete della cultura attuale, proponendo un'etica sociale sempre più apprezzata e condivisa.

Al di là di tutte queste indicazioni però sta un fatto di base: il mondo non si cambia con regole nuove, ma col cuore nuovo. E quindi con uomini nuovi, rinnovati dalla Grazia di Cristo. Ce lo dice san Paolo: "Vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore" (II lett.). Come a dire: tocca proprio a voi cristiani per primi a impegnarvi a trasformare il mondo per più giustizia e sviluppo, proprio perché voi dovete avere criteri nuovi e soprattutto cuore e capacità nuove per gestire nel modo giusto i beni della terra. "Noi cristiani – han detto recentemente i Vescovi Italiani - siamo chiamati ad essere seminatori di speranza in una società che sembra spegnerla del tutto con la violenza, l'illegalità e le furberie".

 

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