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TESTO Commento su At 4,8-14;1Cor 2,12-16;Gv 14,25-29

don Raffaello Ciccone  

VI domenica T. Pasqua (Anno A) (25/05/2014)

Vangelo: At 4,8-14|1Cor 2,12-16|Gv 14,25-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,25-29

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

Atti degli Apostoli. 4, 8-14
Il testo di oggi, ripreso molte volte nelle liturgie settimanali del tempo pasquale, fa riferimento ad un segno particolare che è avvenuto a Gerusalemme alla porta "bella" del tempio. Un uomo, zoppo fin dalla nascita, trasportato ogni giorno presso il tempio per chiedere l'elemosina, da Pietro che con Giovanni sale al tempio per pregare, si sente rispondere quando chiede l'elemosina: "Oro e argento non ho ma quello che possiedo te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina" (At 3,1-6).
Il fatto ha suscitato meraviglia, stupore, assembramenti di persone, anche perché lo storpio guarito, da tutti conosciuto, continua a gridare la sua meraviglia e a ringraziare. Quando i responsabili del tempio decidono di intervenire per mettere fine al disordine e far tacere Pietro che spiega il fatto come un intervento di Gesù risorto, concludono di incarcerare gli apostoli. Il giorno dopo si riuniscono i capi dei Giudei, gli anziani e gli scribi (4,5-6) e, insieme, Luca fa l'elenco dei personaggi più importanti del tempio di Gerusalemme, tutte persone coinvolte nel processo di Gesù. Viene posta la domanda: "Con quale potere e in nome di chi avete fatto questo?" (v 7). Anche a Gesù, dopo la cacciata dei venditori dal tempio (Luca 20,2. 8), si pone una domanda simile. A Gesù si chiede con quale autorità ha operato. Agli apostoli si chiede invece l'origine di quel potere di guarigione e, quindi, in nome di chi hanno compiuto tutto questo.
La risposta è data con piena consapevolezza da Pietro, pieno di Spirito Santo. Luca ricorda spesso questo rapporto tra la Parola e lo Spirito: è il dono di Dio attraverso Gesù.
Pietro si sente testimone davanti ad Israele e davanti al mondo. La guarigione è avvenuta attraverso Gesù, "che voi avete ucciso e che Dio ha risuscitato dai morti".
- Pietro si rende conto che sta manifestando, agli esperti della legge e dei profeti, il valore della presenza di Gesù: Egli è venuto a liberare e ad inaugurare i tempi messianici, annunciati da Isaia (Luca 4,17 ss ) ed ora questi tempi continuano attraverso i credenti in Gesù, e quindi attraverso la sua comunità che lo celebra vivo e amato da Dio pienamente.
- Ma Pietro ricorda anche il salmo 117,22: quello della "pietra angolare" che viene posta a fondamento del tempio nuovo. La citazione del salmo, per sé, intende il tempio di Israele, distrutto dai nemici e ricostruito malgrado le opposizioni degli avversari. E la pietra angolare è parte delle fondamenta di un edificio che, posta all'angolo, deve sostenere il maggior sforzo del peso di tutta la costruzione. E' quindi la pietra più robusta, simbolo della resistenza dell'edificio stesso. Proprio Gesù è la pietra angolare del nuovo tempo, della nuova comunità, della nuova speranza di Israele e del mondo.
- Stupisce è la pretesa di una continuità tra l'azione di Gesù e l'azione della Chiesa.
- Soprattutto i capi hanno bisogno di salvezza perché essi, più degli altri, rischiano di farsi nemici di Dio e, forti della loro cultura, rischiano di non saper vedere, per la loro prevenzione ideologica, la realtà e i segni che Dio offre al mondo.
- Non c'è negli apostoli la volontà di vincere, ma la volontà di testimoniare. Si rendono conto delle rigidità e della durezza di posizione attorno a loro, ma non se ne preoccupano, né vogliono difendersi, né cercano attenuanti. Ritengono di dire proprio ciò che ritengono sia giusto e lo fanno in piena libertà. La parola che viene usata in greco è "parresia". E' la capacità di testimoniare liberamente e coraggiosamente in un mondo ostile. Nel mondo greco significa la libertà di parola che spetta nell'assemblea al cittadino che gode dei pieni diritti civili.
- Gli apostoli non ne fanno un problema di pubblicità, né si contrappongono come in concorrenza. Ritengono che il problema fondamentale sia la conversione totale sulla persona di Gesù.
- Essi sono consapevoli che la vera novità che portano, sconcertante, è che la salvezza promessa da Jahvé è ora presente nella persona di Gesù.
- In fondo anche oggi, nella verifica dei valori e delle scelte che ciascuno di noi fa', ci dovrebbe essere questo confronto con le parole e le scelte di Gesù nella vita quotidiana. Non sempre è facile, non sempre abbiamo lucidità di fronte alle situazioni complesse e diverse che stiamo vivendo. Questo ci dice che, tra credenti, ci dovrebbe essere una maggiore comunicazione della fede, consapevoli che non sono solo i sacerdoti ad aiutare il popolo di Dio, ma ogni credente adulto dovrebbe poter essere sostegno perché ognuno tenti una traduzione quotidiana di vita, filtrata attraverso la propria competenza e la propria esperienza.
1 Corinzi. 2, 12-16
Paolo sente la fatica della predicazione poiché scopre che nel mondo greco, dove si è avventurato, la sapienza, nata nella cultura ebraica e maturata nei fatti e nella parola di Gesù, sapienza di Dio tra noi, è stata profondamente rifiutata. Infatti, all'inizio di questo capitolo, Paolo fa riferimento alla delusione sofferta nella sua prima esperienza di predicazione ad Atene. Il fallimento in Atene, la città dei filosofi, ha fatto comprendere l'insignificanza della cultura umana su cui egli aveva puntato molto per farsi accettare. La delusione è diventata consapevolezza e così si esprime alla sua comunità di Corinto a cui scrive dopo essersi fermato molti mesi.
"Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio" (1 Cor 2, 1-5).
Al principio egli impiega i suoi giorni feriali nel lavoro manuale, fabbricando tende nella casa di Aquila e Priscilla, una coppia di cristiani scacciati dall'imperatore Claudio da Roma per tensioni e scontri tra ebrei (probabilmente sono tensioni tra nuclei di cristiani e residenti di cultura ebraica tradizionale) Questa coppia accoglie in casa l'apostolo, inizialmente come lavoratore; dopo qualche tempo, Paolo si dedicherà, a tempo pieno, alla predicazione (At 18,1-11).
Paolo ha sempre apprezzato la cultura ebraica, e pensando al mondo occidentale, ha apprezzato la cultura greca e la sua filosofia. Ma l'esperienza gli ha fatto capire che sono due realtà che non possono mescolarsi. Ciò che egli porta è la sapienza di Dio attraverso Gesù e questa sapienza non può essere offerta se non dallo Spirito che è il principio rivelatore. E' lo Spirito di Dio che ci permette di conoscere i doni che ci sono stati elargiti. E si chiamano spirituali perché vengono dallo Spirito.
Certamente questo comporta una grande responsabilità perché il dono di Dio non è solo un richiamo morale del proprio comportamento ma è l'offerta di una comprensione più alta che nasce da parte di Dio per poter interpretare e far maturare il mondo.
D'altra parte Gesù non ci ha assicurato che ci aiuterà a capire nel tempo e a sviluppare in noi e nel mondo i semi che egli ha gettato?
"Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv14,25).
"L'uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui" (v 14) ma il dono di Dio, se viene offerto a colui che accetta il Signore, non va lasciato come un tesoro da mettere in cassaforte, raggiungibile solo da alcuni eletti, ma va sviluppato perché la Chiesa possa aiutare il mondo a scoprire valori e significati che il Signore ha voluto imprimervi. Credo che debba essere ripensato, senza la pretesa di una pubblicità, il cammino che ha fatto il mondo da 2000 anni. A questo cammino ha preso particolarmente parte il pensiero di Gesù e, lo si sappia o non lo si sappia, ha coinvolto tutti: siamo stati liberati dalle superstizioni o delle paure, sono state introdotte libertà ed uguaglianza; è maturato il criterio di valutazione sulle malattie, sulle disabilità, sulla liceità della schiavitù e della pena di morte, sul valore delle donne e dei bambini; si sono sviluppati ospedali e maturata la scienza; è stato proposto l'umanesimo, sono maturati patti di solidarietà e l'umanità è stata via via maggiormente coinvolta in un progetto di pace. Anche il mondo cristiano, purtroppo, molte volte, si è lasciato travolgere dalla mentalità del mondo e tuttavia prezioso è stato il significato del perdono e della misericordia. Il perdono non è acquisire a poco prezzo una mentalità egoista o abitudinaria, ma aprire la strada alla speranza di reggere; il perdono chiude le porte della disperazione.
Misericordia non significa abitudine a farla franca.
E se il perdono e la misericordia suppongono certamente il coraggio di un cammino faticoso e difficile, dispongono e sostengono la possibilità e la capacità del superare i propri limiti e i limiti del mondo.
Gv14,25-29
Come sono consolanti le parole di Gesù: Vi lascio la pace. Vi do la mia pace.
Ci sembra quasi, in mezzo ai tumulti quotidiani, di respirare una tregua, di assaporare qualcosa che veramente ci aiuterebbe a recuperare la calma del cuore e l'agitarsi dei turbamenti dell'animo.
Eppure, c'è una chiave, una paroletta quasi insignificante, che definisce e in un certo senso delimita le parole di Gesù: è quell'aggettivo "mia".
Ma come? Ci possono essere modi diversi di interpretare la pace? Si, è vero, oggi -ma è così da sempre- si è portati ad usare le parole con disinvoltura, addirittura con significati opposti e divergenti, quindi anche qui si potrebbe non andare troppo per il sottile.
Infatti, quando si dice ‘pace', si pensa a qualcosa di tranquillo, ad un rispetto di parole e di gesti, al macero di tutte le armi, ad un afflosciarsi delle violenze, ad una comprensione e ad una possibilità di soluzione dei problemi, per gravi che siano.
Si pensa e si desidera qualcosa di bello, di sicuro, di dolce, di contentezza per un desiderio ottenuto, per un progetto raggiunto, per un piacere di vivere, per un affetto appagante.
Ma Gesù sembra voler scindere: la pace è qualcosa di più delle nostre normali attese. E'la MIA pace. E la pace di Gesù non è mai un riposo, perché implica il desiderio di Dio di un'umanità che si vuole bene, che apre le porte, che condivide, che si china ad accarezzare, a togliere un ostacolo.
A me sembra di capire che la pace di Gesù sia soprattutto il coraggio di vivere secondo un senso, secondo appunto quel Suo Spirito Vivente che ci ha trasfuso perché possiamo fare memoria di che cosa sia l'amore vero, la volontà di trasformare ogni affetto ed ogni rapporto in una relazione vera.
E mi sembra allora che possiamo pregare il Signore di continuare a richiamarci alla Sua pace - e lo si fa ogni giorno nella Messa- e non limitarci alle nostre piccole egoistiche ‘paci' e tranquillità, bensì alla possibilità, che è poi un suo dono, di coinvolgerci in questo coraggio incredibile di non lasciare il mondo così com'è, anche se le nostre forze sono limitate e piccoli sono gli ambiti del nostro vivere quotidiano.
Perché è Lui che respira in noi con la sua forza e pace viventi.
Don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini

 

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