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TESTO Commento alla liturgia

fr. Massimo Rossi  

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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (11/05/2014)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Domenica scorsa abbiamo riflettuto insieme sulla distanza che separa spesso l'idea dalla realtà, l'immagine che ci siamo fatti di Dio dal Cristo, la convinzione di credere dalla vera fede.

Il Vangelo di oggi ci aiuta a proseguire la riflessione: Gesù rivela la sua vera identità ricorrendo a immagini familiari al popolo che lo ascoltava: il pastore, l'ovile, le pecore...

Detto tra noi, non son convinto che la sua gente avesse capito granché; un conto è essere il pastore delle pecore, un altro conto la porta dell'ovile. Ebbene, Gesù è l'uno e l'altro! Camminando dietro di Lui, come il gregge dietro il pastore, siamo certi di non sbagliare strada; ma il Signore non è soltanto colui che indica la strada giusta; ci insegna anche come affrontare il cammino.

Nella seconda lettura, l'apostolo Pietro aggiunge alcuni particolari che chiariscono le modalità del cammino, il ‘come' di cui sopra. Non si tratta di dettagli; si tratta dell'essenza della fede cristiana: "Cristo patì per noi, lasciandoci un esempio perché ne seguiamo le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia.".

Questo è il modo cristiano di camminare per raggiungere la pienezza della vita (eterna).

Il nostro pastore ha vissuto così; anche noi dobbiamo vivere così.

L'atteggiamento non violento, di chi ripone in Dio ogni speranza di riscatto; e il perdono concesso sempre e a tutti, rimangono le due coordinate della vita cristiana, tracciate da Cristo con il suo sangue. Essere battezzati nel nome di Gesù Cristo significa assumere solennemente, cioè davanti alla chiesa e al mondo, l'impegno a vivere la stessa radicalità d'amore che Lui ha vissuto, per la quale è morto ed è ritornato in vita.

Sapete una cosa? Io temo che l'aspetto dell'impegno non sia stato sufficientemente sottolineato dall'insegnamento della Chiesa nel corso dei secoli passati, almeno da quando la morale cattolica ha lasciato sullo sfondo le virtù, e si è strutturata sui Comandamenti, ‘la morale del non...', tanto per essere chiari. Invece che illuminare ciò che si deve fare per vivere una vita virtuosa, siamo stati educati su ciò che non si deve fare per evitare i peccati.

Gli stessi sacramenti, in particolare il battesimo e la riconciliazione sono stati spiegati, insegnati e amministrati quasi esclusivamente come rimedio contro il peccato originale - il battesimo - e (contro il peccato) personale/abituale - la riconciliazione -.

E pensare che la prassi liturgica riconosce ai sacramenti un'importanza capitale per edificare la vita cristiana. Ora, edificare non significa soltanto rimuovere le macerie del peccato, ma costruire...

È questo l'aspetto meno presente nella mente e nel cuore dei credenti. La mentalità, appunto sbilanciata sulla convinzione che battesimo e confessione siano per lo più cancellazione dei peccati, sta all'origine della crisi dei sacramenti che si registra in questi ultimi decenni.

Cristo ha istituito i sacramenti per delineare gradatamente, cioè giorno dopo giorno, l'identità del cristiano. L'atto di fede non consiste solo nel confessare un peccato commesso, ma nel riconoscere che quanto ho commesso è peccato: molti fedeli elencano i loro peccati, ma lasciano intendere che per alcuni di questi non c'è alcuna consapevolezza di peccato, ma soltanto l'ossequio al magistero e alla morale cattolica che li riprova come tali. Questo non è un atto di fede in Cristo.

Devo accettare che sia la Parola di Dio, Gesù Cristo, a dirmi ciò che nella mia vita è peccato e ciò che non lo è! Non è l'opinione pubblica, non è quello che sento dentro, non sono neppure i mass-media, o il codice civile e penale; neanche la morale, da sola, è sufficiente a definire il peccato; se è vero come è vero che il peccato attiene alla relazione con Dio, dunque alla fede nella persona di Cristo che si manifesta nella sua Parola.

In principio non sta la mia coscienza tout court, come soggettività assoluta, ma la coscienza che si lascia misurare sulla Parola di Dio. Chiamo peccati taluni pensieri, parole, opere, omissioni, perché è la Parola di Dio a chiamarli così; proprio perché anch'io li chiamo così, divento credente, cioè compio un atto di fede. Sono un peccatore che ri-diventa cristiano. Il Vangelo è messaggio di salvezza proprio per coloro che si arrendono a Cristo e si lasciano dire da Lui: "Va in pace e non peccare più". Ecco, ciò che ancora sfugge alla maggior parte dei credenti è il dopo-sacramento, appunto, l'impegno a fare il bene, oltre che ad evitare il male.

Tornando alla similitudine dell'ovile, emerge un altro problema: oltre alla difficoltà di guardare avanti, corroborati dalle virtù che lo Spirito sempre rinnova in noi, ci chiediamo: perché il cristiano è tenuto a confrontarsi con Dio all'interno della comunità, secondo le modalità stabilite dalla Chiesa? L'obbiezione invero assai diffusa prova che non sappiamo che cosa significhi essere battezzati peccatori. E' un fatto di importanza capitale! Nel battesimo è avvenuto l'incontro definitivo con Cristo. Il battesimo è la chiave di accesso al popolo dei credenti, alla Chiesa. Non posso più pensarmi come se fossi fuori da questo popolo e, da esterno (o estraneo) a motivo del peccato, potessi rientrare, dopo la riconciliazione. Il peccato non esclude, non estromette dalla Chiesa. Commettendo il peccato, il cristiano battezzato entra in contraddizione con la sua intima verità, la quale coincide con l'appartenenza alla Chiesa.

Ora, questa verità del cristiano, sfugge alla maggioranza dei cristiani. Malati un po' tutti di questa elefantiasi del peccato, sindrome di marca giansenista, rischiamo di perdere di vista l'intero per la parte, la verità di noi stessi, a motivo di uno sbilanciamento su un aspetto, il nostro peccato. Per quanto grave possa essere, Dio è più grande (cfr. 1Gv 3), e anche la nostra dignità di battezzati.

Non perdiamo di vista il cammino a causa delle cadute che registriamo sul nostro cammino. Guardiamo avanti, guardiamo lontano, invece di ripiegarci sui nostri errori - ce lo insegnano anche a scuolaguida! - e non andremo fuori strada. "Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensiamo attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, e non perdiamoci d'animo." (cfr. Eb 12).

 

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