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TESTO Orgogliosi di essere pecore

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (11/05/2014)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Conoscere tutte le proprie pecore al punto da chiamare ciascuna per nome. Forse è possibile quando si dispone di pochissimi capi di bestiame, ma che un allevatore proprietario di greggi sterminate sia in grado di conoscere tutte le pecore ad una ad una e mostri tale attenzione da dare a ciascuna un nome di battesimo, è inverosimile. Nessun mandriano di greggi si preoccuperebbe di denominare alcuna delle sue bestie, ciò che conta è che siano produttive per il suo profitto.

Ed è parimenti inverosimile che il solo padrone delle pecore sia in grado di ottenere attenzione dal suo gregge: sia che entri per la porta dell'ovile, sia che si manifesti attraverso altre vie di ingresso, le pecore si pongono sempre al seguito di chiunque. Quand'ero bambino capitò che trascorressimo in famiglia, assieme ad altri parenti, una scampagnata presso la fattoria di un pastore che per noi preparò zabbina calda (usanza tipica nelle campagne siciliane). Per ammazzare il tempo e per divertirci, io e altri miei cugini iniziammo a giocare con un gregge di numerose pecore che i proprietari avevano raccolto all'interno di un recinto. Le provocavamo, le stuzzicavamo e siccome la porta dell'ovile era rimasta aperta per una noncuranza del pastore, tutte le pecore da noi sollecitate un po' per volta uscirono e si sparpagliarono chi in gruppo chi da sola per la prateria antistante. Il pastore (che per questo poi ci rimproverò) dovette correre a perdifiato per raggiungerle tutte, riorganizzarle e riportarle al recinto.

Certamente è vero che un ladro non entrerebbe per la porta del recinto e provvederebbe ad un ingresso più astuto e levantino, ma che il solo pastore si in grado di farsi ascoltare dal gregge, questo è abbastanza discutibile.

Ma la similitudine di Gesù verte a ragguagliarci di un messaggio molto più profondo, poiché egli nella sua reale intenzione ci invita a... essere pecore per riconoscere in lui il pastore sollecito ed amico. Nei nostri riguardi Gesù si atteggia come nessun altro proprietario di greggi farebbe, cioè si china su ciascuna delle pecore per assisterle e per accudirle sanando eventuali loro ferite, le conosce tutte ad una ad una e le tratta come fossero persone amiche e confidenti: le chiama per nome. Gesù si mostra non solamente pastore ma anche confidente delle sue pecore e attento scrutatore dei loro bisogni e delle loro difficoltà, in grado di intervenire con solerzia e particolare prontezza nei loro confronti. Già nell'Antico Testamento si parlava di Dio come pastore universale che andava in cerca egli stesso delle pecore, anche considerando l'egoismo e l'arroganza dei pastori che pascevano se stessi anziché occuparsi del gregge (Ez 34) e tale profezia si realizza di fatto nel Cristo Figlio di Dio, che è la porta e la guida delle pecore. Quando Gesù parla di "porta delle pecore" ci si trova nella Festa della Dedicazione del Tempio di Gerusalemme. Questo ha diverse vie di accesso, diverse porte e una di queste è appunto la "Porta delle pecore". Forse Gesù intende paragonare se stesso alle medesima "porta" gerosolimitana, onde illustrarci che il vero Tempio, cioè luogo di incontro fra Dio e gli uomini è ormai solamente lui; che la vera "porta" per la quale le pecore possono entrare per accedere al padre è sempre lui e ancora lui è la guida, colui che conduce a sereni pascoli il proprio gregge. Tempio, porta e guida. Così si qualifica Gesù nei nostri confronti mentre contemporaneamente ci si mostra pastore di estrema confidenza e amicizia, ben lungi dal trattare le sue pecore come soli capi di bestiame.

Ma come dicevamo poc'anzi, egli ci chiede anche di assumere il ruolo spassionato e libero delle pecore, pur non compromettendo in noi la razionalità e la maturità di giudizio. Anche se intelligenti e dotati di spirito critico, siamo invitati ad essere docili e mansueti come le pecore e a lasciarci guidare senza riserve e obiezioni da Colui che ha dimostrato di usarci infinito amore e misericordia. Il che comporta aprire il cuore a Gesù che è la Rivelazione di Dio Padre per la nostra salvezza, immedesimarci nelle sue vie per poterle percorrere, incamminarci con fiducia nei sentieri che lui stesso ci indica come veritieri e garanti.

Del resto, come anche indirettamente afferma Pietro arringando i Giudei il giorno di Pentecoste e come anche ripete la Lettera agli Ebrei, Gesù è in grado di porsi dalla parte delle pecore perché è stato egli stesso "agnello mansueto condotto al macello" e quindi in grado di compatire e partecipare delle nostre infermità.

Quelle di Pietro sono parole categoriche che non possono non rendere "pecore" gli attoniti ascoltatori ebrei che comprendono di aver commesso una leggerezza nei confronti del vero Pastore: "Sappia con certezza la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso." ." Pietro affronta il tema della condanna capitale di Gesù sottolineando come proprio la sua morte di croce sia stata per lui propiziatoria di gloria e di innalzamento, poiché proprio dalla croce scaturisce la resurrezione e da questa la signoria di Dio che ci salva dalla morte.

Signore (Kirios) è infatti appellativo di dominio di Gesù sul mondo, sulla varietà degli elementi e sugli uomini e le nazioni. Cristo vuol dire invece Unto, inviato da Dio per la salvezza e il riscatto di tutti.

Ecco perché gli ascoltatori si lasciano trasportare dalla commozione e il loro cuore sussulta al punto da rodere dal desiderio di porre rimedio alla loro malefatta: si convertono e si fanno battezzare nel suo nome. Diventano pecore nella misura in cui prima erano stati lupi rapaci, mentre Cristo diventa il loro Pastore nella misura in cui prima era stato indifeso Agnello.

Essere pecore non equivale ad ingenuità, ma se così dovesse essere è meglio essere ingenui purché ci raggiunga l'Amore. Scrive J. Morrinson "Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire. L'amore è infatti pazienza, sacrificio e sofferenza e solo nel Cristo crocifisso si realizzano tutte le prerogative dell'amore reale e questo va solamente accolto, corrisposto e condiviso con altri. Orgogliosi di essere pecore.

 

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