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TESTO Sciocchi

Paolo Curtaz  

III Domenica di Pasqua (Anno A) (04/05/2014)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Sanno che Gesù è risorto: glielo hanno detto alcune discepole.

Ma, si sa, sono donne, emotivamente instabili, facilmente suggestionabili.

E la notizia dell'assenza del cadavere del Maestro è stata confermata da alcuni apostoli.

Ma, si sa, loro sono stati talmente travolti dagli eventi che, probabilmente, vedono lucciole per lanterne.
Tornano ai loro affari, i due discepoli.

Alle loro occupazioni: hanno pensato che il Nazareno fosse il Messia, quello che avrebbe regnato per mille anni su Israele sbaragliando i suoi nemici. Invece è morto, nel peggiore dei modi.

Si allontanano dalla comunità, come fanno molti di noi, delusi da Dio.

Di uno di loro sappiamo il nome, Cleopa, un personaggio conosciuto nella primitiva comunità. L'altro, invece, non ha nome: ognuno metta il suo.
Sono tristi, i discepoli, e parlano delle loro disgrazie.

Tristi, e si caricano a vicenda, facendo a gara a chi si butta più giù, come si fa', a volte, fra persone scoraggiate. Come se ci fosse un premio da vincere: lo sfortunato del mese.

Il loro cammino è di reciproca lamentazione, di progressivo affossamento.
Sconcertante.

È terribile avere a che fare con persone che, quando vedono che sei afflitto, invece di incoraggiarti iniziano anch'esse a fare l'elenco delle loro disgrazie.
Mal comune non fa mai mezzo gaudio.
Spesso, fa doppia tristezza.

Compagno di viaggio
Gesù si avvicina e cammina con loro.
Non se ne accorgono, come potrebbero?

Non alzano lo sguardo da loro stessi per incrociare lo sguardo del Signore. Sono talmente pieni del loro santo dolore da non accorgersi che la ragione della loro sofferenza non esiste più!
Sono incapaci di uscire dalla gabbia che si sono creati.
E li prende per il naso.
Perché quella faccia?

Maleducato

Sono offesi, ora, i discepoli. Da dove viene questo buzzurro? Non si vede a sufficienza che sono tristi? Non hanno il volto sufficientemente disperato? Come si permette questo sciocco straniero di interrompere le loro lamentazioni? Non sa della situazione mondiale? Del terrorismo? Della crisi economica?
Ci rassicura, il dolore, ci dona identità, ci identifica.

A volte, purtroppo, in un percorso insalubre e folle, finiamo col coltivare questa identità.
Finiamo col coltivare il dolore.

Ho perso un figlio. Sono un esodato. Mio marito mi ha lasciata. Ho avuto un'infanzia terribile.
Diventiamo il nostro dolore.

Questi diventa il nostro segno di riconoscimento: così ci presentiamo, così vogliamo che ci riconoscano, sperando, magari, in un cenno di benevolenza, in un gesto di compassione.
Illusi.
Quando capiremo che la gente fugge il dolore come la peste?

È da abbandonare, il sepolcro, da superare, non da usare come segno di riconoscimento.
Sono offesi, i discepoli restati orfani.
Cosa è successo? Chiede il risorto.
Parlano della sua croce, e Gesù nemmeno se ne ricorda.
E pronunciano la frase più triste dell'intero vangelo.
Noi speravamo.

Tristezza

La speranza è sempre rivolta al futuro. Declinarla al passato significa ammetterne il totale fallimento.

È difficile accettare il fallimento di un progetto, di un'azienda, di un gruppo parrocchiale.
Il fallimento della speranza porta alla morte interiore.

Noi speravamo: che sciocchi siamo stati a seguire il Nazareno, a credere che fosse lui il Messia! Che ingenui! Noi speravamo: ci siamo illusi, siamo stati degli idioti abissali, non abbiamo giustificazioni!
La speranza è morta su quella maledetta croce.

È morta e sepolta con Gesù, nel sepolcro regalato da Giuseppe di Arimatea.
Quanti ne conosco di discepoli così, tristi e rassegnati!
Noi speravamo, dicono i discepoli.

E intanto il Signore che credono morto cammina con loro.

Rimbrotti divini

Descrivono con dovizia di particolari le vicende che riguardano il Maestro, i discepoli restati orfani.

Si aspettano comprensione, compassione. Ottengono uno schiaffo in pieno volto.
Sciocchi e tardi, dice loro lo straniero.

La sua provocazione li scuote, li costringe ad alzare lo sguardo.
Cosa sta dicendo questo maleducato? Come si permette?
Sciocchi a tardi nel credere, insiste.

Gesù spiega il senso di quella sofferenza, della sua sofferenza, e li aiuta a rileggere tutti gli eventi in una chiave diversa, più ampia, a leggere il dolore alla luce del grande disegno di Dio.
Sono fermi alla croce, i discepoli del risorto.

Possiamo continuare a fissare il bruco, senza accorgerci che sta per diventare una farfalla.
Non sempre chi ti dà una carezza ti vuole bene.
Non sempre chi ti dà uno schiaffo ti vuole del male.

A volte una bella scrollata ci distoglie dal dolore e ci aiuta a vedere le cose in maniera diversa.
Arde, ora, il cuore dei discepoli.

Il loro dolore inutile, paradossalmente gratificante, è spazzato via dalla Parola che riscalda e illumina. Tutto acquista senso, una dimensione nuova. La loro vita, riletta alla luce del grande progetto di Dio, assume un colore completamente diverso.

Ancora Buona Pasqua, cercatori di Dio.

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