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TESTO Consumare di più per essere felici? La vita non dipende dai beni

don Mario Campisi  

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/08/2004)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

E' quello che ci propone, in modo più o meno sofisticato e scoperto, la pubblicità. Compra questo o quel prodotto e risolverai i tuoi problemi. Acquista questo o quell'oggetto di marca e soddisferai il tuo bisogno di apparire, di trovarti a tuo agio, di essere apprezzato e invidiato. Come se bastasse riempire la propria vita di oggetti per raggiungere la pienezza... Come se l'accumulo di beni fosse in grado di colmare la sete che ci portiamo dentro... Chimera che si rivela ben presto ingannatrice. Le promesse non vengono per niente mantenute. Anzi, ci si viene a trovare in una situazione peggiore. Il bisogno crescente di consumare, l'avidità, l'ansia di rendere sempre più consistente la propria ricchezza fa dimenticare qualcosa di ben più grande e vitale: le attese più profonde, i desideri più significativi, le domande fondamentali. Tutto ciò che ci conduce all'incontro con Dio e ad una relazione autentica con gli altri. Così, con le mani ingombre, ci si ritrova più soli r affamati che mai...

Magro bilancio di un'esistenza quello che coincide con una lista di proprietà, di beni mobili e immobili. E' triste, tutto sommato, l'apprezzamento che talvolta basta a descrivere tutta una vita: "Fu un grande lavoratore". Perché, come Gesù ci ricorda, senza alcuna ombra di equivoco: "La vita di un uomo non dipende dai suoi beni". E, per essere oltremodo efficace, Gesù non esita a fornire un ritratto della "stoltezza": la storia del ricco che crede di essere "arrivato", di essere al riparo da qualsiasi imprevisto e che si trova, proprio sul più bello, ad abbandonare questa vita...

Queste parole non mancheranno di risultare scomode, ma domandano di essere accettate, così come sono. In ogni caso, pur girate e rigirate, sono lì ad inquietare la nostra coscienza con la loro dirompente chiarezza.

Una medicina amara per noi, generazione del consumismo, del benessere, dei mille accessori e delle mille comodità? Sì, una medicina di saggezza per evitare di buttare via la propria vita per cose che non ne valgono la pena.

Di cibo, di vestiti, di una casa, di un'auto e di un conto in banca abbiam tutti bisogno. E per questo dobbiamo lavorare. Ma non è questa attività per procurarsi l'indispensabile che Gesù prende di mira. Egli ci mette in guardia dalla cupidigia, dalla voglia insana di accumulare, da ammassare, di moltiplicare i propri beni. Non si tratta solo di uno dei tanti vizi a cui possiamo cedere. La cupidigia, infatti, è una vera e propria idolatria. I beni di questo mondo da "strumenti" diventano un obbiettivo per rendere sicura la propria esistenza.

Quella fiducia che può essere accordata solo a Dio viene riposta in essi, perché si ritiene che proprio da essi dipenda la riuscita o il fallimento di un'esistenza.

Un'idolatria vera e propria, dunque, anche se in qualche modo mascherata.

Un'idolatria a cui si finisce col sacrificare tutto: l'amicizia e gli affetti più grandi, il proprio tempo e le proprie energie... Un'idolatria che assorbe tutte le attese, i desideri, gli obiettivi di una persona. Al punto che uno finisce, irretito dal suo veleno, col perdere il contatto con la realtà, con tutti quei valori che fanno bella e nobile un'esistenza, con quelle regole e quegli imperativi morali che contribuiscono a orientare la vita di un uomo.

"La realtà della realtà" diventa, quindi, il denaro, la proprietà, le possibilità infinite di moltiplicare soldi con attività finanziarie. Una sorta di ubriacatura a cui fa seguito un risveglio amaro: la consapevolezza di aver "perduto" la propria esistenza.

Da questo rischio si esce solo facendo proprio un altro atteggiamento: non il desiderio di "accumulare tesori per sé", ma quello di "arriccchire davanti a Dio". L'unica scelta che porta verso una pienezza di vita che comincia fin da quaggiù e si dilata per tutta l'eternità.

 

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