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TESTO Commento su Luca 12,32-48 (forma breve: Luca 12,35-40)

mons. Ilvo Corniglia

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (08/08/2004)

Vangelo: Lc 12,32-48 (forma breve: Lc 12,35-40) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Forma breve (Lc 12,35-40):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

La condizione di vita del cristiano, la sua appartenenza a Cristo, è caratterizzata dalla fede. Il cap. 11 della Lettera agli Ebrei presenta una lunga carrellata di personaggi dell'A.T. quali autentici testimoni di fede. Nel testo di oggi (Eb 11, 1-2. 8-19: II lettura) l'autore sacro si sofferma sulla storia di Abramo che è tutta spiegata e permeata dalla fede. L'obbedienza scattante e l'affidamento incondizionato a Dio che lo chiama a intraprendere il viaggio del pellegrino; l'attesa fiduciosa, lunga e ostinata, del figlio che Dio gli ha promesso; la decisione estremamente dolorosa di offrirlo a Lui in sacrificio: sono tutti aspetti che compongono la fisionomia della fede esemplare di Abramo.

Risvegliare e alimentare la fede rimane l'intento principale di Gesù, come possiamo osservare anche nel Vangelo odierno.

I discepoli sono un gruppo sparuto, senza potere né rilevanza sociale, povero e insignificante. Non è la condizione di "minoranza" in cui anche oggi si trovano, sotto molteplici aspetti, le comunità cristiane? La Chiesa resterà sempre "piccolo gregge" e non avrà mai la pretesa di essere forte e di gareggiare sullo stesso piano con i potenti. Tante pecore insieme non faranno mai un lupo! Eppure nessun complesso, nessuna paura deve bloccare il suo cammino e l'impegno dell'evangelizzazione: "Non temere, piccolo gregge". Il termine evoca il "popolo di Dio" che la Bibbia spesso presenta come il "gregge" custodito e guidato dal suo pastore, che è il Signore. "Piccolo gregge": un'espressione che sulla bocca di Gesù assume anche una certa connotazione affettiva.

I motivi per non temere: "Beato il popolo che appartiene al Signore" (Sal. resp.)... "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla...se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Sal. 23, 1.4). Dio, però, non è soltanto il vostro pastore. È soprattutto il "Padre vostro" al quale "è piaciuto di darvi il suo Regno". Il vostro "papà", nella sua decisione sovrana e insindacabile, nella sua benevolenza totalmente gratuita vi ha fatto partecipi del bene più grande: il suo Regno. Il Regno di Dio: Dio stesso, il re e Signore infinitamente potente e buono, che interviene in favore degli uomini per liberarli da ogni male e legarli intimamente a sé, facendoli felici della sua stessa felicità. Il Regno è Dio che si rivela e si dona in Gesù. È la presenza di Dio Amore fra gli uomini attraverso Gesù. Il Regno è quindi la persona di Gesù. È Gesù tra noi e con noi. È come se Gesù ci dicesse: Non temete, perché il Padre nella sua bontà vi ha donato me. Riconoscerlo e accoglierlo e, quindi, vincere ogni paura, rinnovando il coraggio e l'entusiasmo dell'annuncio evangelico: ecco la fede! "La paura ha bussato alla porta. La fede è andata ad aprire. Non c'era nessuno". È tonificante, specialmente in particolari momenti della vita personale e comunitaria, riascoltare questa parola di Gesù.

"Vendete ciò che avete e datelo in elemosina". Se il Regno è il tesoro più prezioso, tutti gli altri beni impallidiscono e non meritano perciò di essere ricercati e difesi con attaccamento ostinato. I discepoli li sanno condividere con i poveri. Ecco l'"elemosina" (=misericordia solidale). Il Regno, tra l'altro, è Gesù con tutta la realtà trinitaria che ci porta. È, cioè, la civiltà, la cultura della Trinità, che è l'amore reciproco, l'amore che dona ed è dono di sé. La libertà verso i beni materiali diventa condivisione.

"Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli". L'uso delle ricchezze in favore dei poveri, le opere di bene compiute sulla terra sono come un capitale depositato presso quel buon banchiere che è Dio. Anzi, più propriamente, il "farsi borse" implica un'attività finanziaria, un trafficare in modo corretto e fruttuoso i beni di cui si è in possesso. Tale attività consiste nell'aiutare con i propri beni i bisognosi. Il migliore investimento, la più intelligente operazione finanziaria consiste nel dare ai poveri. Chi investe il proprio denaro presso Dio in forma di "elemosina" non deve temere alcuna perdita. A differenza dei beni terreni che si possono perdere (denaro, gioielli: vengono rubati; vestiti preziosi: vengono mangiati dalle tarme), i tesori celesti non corrono alcun pericolo, sono al sicuro. "Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore". Il tesoro è ciò per cui l'uomo lavora, ciò che gli sta più a cuore e a cui si attacca con passione. Per Gesù si identifica con la realtà del Regno, che il discepolo è invitato a scegliere senza riserve. La ricchezza non è cattiva in sé, ma è un grosso pericolo per l'uomo, che è tentato di riporre in essa tutta la sua fiducia, invece che riporla nell'Unico infinitamente affidabile che è Dio.

"Fatevi borse". Possiamo anche intendere: preparate le valige per il viaggio verso la patria eterna, riempiendole ogni giorno di atti d'amore.

È in questo modo che nel concreto si attua l'appello insistente di Gesù alla vigilanza operosa: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese". Secondo l'uso di allora, chi si cinge la veste con una cintura è pronto per il lavoro, è in tenuta da lavoro o si mette in viaggio. La lampada accesa rischiara il buio permettendo di lavorare anche di notte. Entrambi gli elementi (cintura e lampada) simboleggiano il vegliare durante la notte, cioè durante il tempo che precede la venuta del Signore. I discepoli sono direttamente interpellati a tenersi pronti in atteggiamento di servizio per accogliere il "padrone" quando torna. Non ha detto quando. Sarà come la venuta di un "ladro", che non manda nessun preavviso. Un'accoglienza sollecita e scattante ("per aprirgli subito appena arriva e bussa"). Gesù ha di mira quei cristiani (quanti oggi!) che rimangono "appiattiti" sul presente, catturati dai problemi e interessi immediati, senza impegno responsabile né desiderio né attesa di quel futuro che è la sua ultima venuta. Il suo appello a vegliare resta, perciò, sempre attuale e necessario perché sia il singolo cristiano che la comunità corrono sempre il rischio di assopirsi, allentando il legame vivo con Lui. Si tratta, insomma, di vivere e agire in modo che, quando busserà alla mia porta per dirmi "Sono qui!", io possa rispondergli "Sono pronto! Eccomi!".

La ricompensa per i servi che il Signore troverà vigilanti e laboriosi è magnifica e incredibile: "Beati quei servi...beati loro!...Beato quel servo che il padrone arrivando troverà al suo lavoro". La scena che Gesù descrive è inattesa e fuori del normale: il Signore in persona si mette al lavoro, fa accomodare i servi e li serve a tavola. Nel Regno di Dio, descritto come un banchetto, Gesù esprimerà il suo essere "Signore" nel servizio, atteggiamento di cui aveva dato l'esempio durante la sua esistenza terrena, soprattutto nel dono di sé sulla croce (cfr. Lc 22,27). Questo servizio di Cristo spinto fino al dono della propria vita i fedeli lo ricevono personalmente in ogni Eucaristia, dove Gesù si dà come cibo. Amorevole dedizione che – sperimentata già ora nel rito eucaristico – godremo in forma estremamente intensa nella festa del Regno. Anzi, in cielo ognuno servirà gli altri: la mia gioia sarà nel servire e nel lasciarmi servire (=amore). È questa, infatti, la vita della SS. Trinità: un esistere gli uni per gli altri e qui c'è la perfetta beatitudine. Sulla terra questa esperienza Gesù ci chiede di anticiparla, pur nella dimensione della precarietà e della fatica. In altre parole, vigilare è amare.

"Al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno". La comunità cristiana può essere numericamente esigua, senza una forte influenza sociale. Ma possiede una "bomba" ad altissimo potenziale energetico, che è la presenza di Gesù in essa. Ha cioè il Regno di Dio, ha l'Eucaristia. Einstein ha scritto che se potessimo sfruttare tutta l'energia racchiusa in una goccia d'acqua, con questa energia si potrebbe illuminare un'intera città con i suoi dintorni. Chi può misurare la forza esplosiva nascosta nella comunità cristiana e in modo specifico nell'Eucaristia? Questa è la sintesi, il concentrato di tutto quanto Dio ha operato e opererà per la nostra salvezza. In essa "è racchiusa tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo" (EdE 1, che cita PO 5). Che cosa può mancarci? "Cristo c'è e basta per ogni tempo" (GPII). E l'Eucaristia è Lui.

Ognuno potrà, lungo la settimana, impegnarsi a custodire e vivere quello che più lo colpisce nel messaggio odierno di Gesù, sottolineando un giorno una parola, un giorno un'altra: "Non temete...al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno...Date in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro nei cieli...Siate pronti...Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro..."

"Nell'aldilà il libretto degli assegni non serve a nulla. Di fronte all'eternità ha valore una sola moneta: l'amore concreto" (Helder Camara)

 

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