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TESTO Commento su Gv 9,1-41

Monastero Domenicano Matris Domini  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno A) (30/03/2014)

Vangelo: Gv 9,1-41 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

39Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Forma breve (Gv 9, 1.6-9.13-17.34-38):

In quel tempo, Gesù 1passando, vide un uomo cieco dalla nascita; 6sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Collocazione del brano
Continua la catechesi battesimale proposta dall'anno A. Questa domenica il discorso gira attorno alla luce, al vedere e al non vedere, simbolo della fede.
Il capitolo 9 si apre con Gesù che esce dal tempio dove ha avuto un dialogo un po' acceso con i Giudei, tanto acceso che essi avevano portato delle pietre per lapidarlo (Gv 8,59). Egli si era nascosto e poi se ne era andato. Uscendo dal tempio dunque trova il cieco, gli ridona la vista e sparisce dalla circolazione. L'excieco subisce un fastidioso interrogatorio a opera dei farisei e alla fine viene espulso dalla Sinagoga, cioè dalla comunità religiosa dei giudei. Gesù lo ritrova e gli si manifesta. L'ex-cieco pronuncia davanti a lui la propria professione di fede. Questo gesto dà a Gesù l'opportunità per denunciare ad alcuni farisei lì presenti la loro cecità. Questa affermazione introduce il discorso del buon Pastore, che occuperà gran parte del capitolo 10 e che si può considerare una conseguenza dell'episodio del cieco nato. Tra le pecore che ascoltano la voce del pastore vi è anche il cieco guarito. Negli intrusi che sono penetrati nell'ovile si possono riconoscere i capi della sinagoga che hanno cacciato l'ex-cieco.
I racconti di guarigioni di ciechi nei vangeli hanno la funzione di mostrare che con Gesù i tempi messianici sono arrivati. Ai discepoli del Battista, venuti ad accertarsi chi fosse veramente, Gesù ha risposto citando Isaia "i ciechi vedono". In questo brano si aggiunge un altro significato: il cieco miracolato rappresenta la figura del credente illuminato dalla fede. Giovanni racconta il miracolo facendolo precedere dalla sua spiegazione: Gesù è la luce del mondo. Una luce che purtroppo può anche non essere accolta: i farisei non lo vogliono riconoscere come proveniente da Dio e diventano "ciechi". La prospettiva giovannea abbraccia il mistero nella sua totalità: venendo nel mondo la luce illumina oppure abbaglia, secondo la capacità del singolo di accoglierla.
La missione di Gesù acquista in questo testo due connotazioni: egli è venuto a rivelare il Padre (attraverso le sue opere 9,3-5), ma è venuto anche per fare una discriminazione, per distinguere tra coloro che accettano o non accettano la sua rivelazione.
Lectio
In quel tempo, Gesù 1 passando vide un uomo cieco dalla nascita
L'uomo è cieco dalla nascita. Questo elemento non è presente negli altri miracoli di guarigione di ciechi nei vangeli. Giovanni lo inserisce forse per rendere più eccezionale il miracolo e per accentuare la sua portata simbolica.
2 e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?".
I discepoli permettono a Gesù di precisare meglio il motivo del suo intervento. Essi lo interrogano su un'opinione ereditata dalla cultura ebraica sul problema della sofferenza. Per l'Israele più antico l'aldilà non era un luogo di retribuzione del male o del bene fatto, quindi per salvare la giustizia divina le azioni buone o malvagie dell'uomo venivano retribuite direttamente sulla terra, tramite una vita piena di benedizioni o una vita segnata dalla malattia. Questa mentalità aveva avuto dei critici autorevoli già nei profeti Geremia ed Ezechiele, ma continuava ad avere un certo successo popolare. Il ragionamento rasentava l'assurdo quando si trattava di malattie presenti sin dalla nascita, come nel caso di questo cieco. In tal caso sarebbe stata la punizione per un peccato compiuto dai suoi genitori, oppure si pensava che un bambino già nel grembo di sua madre potesse peccare. Molto più verosimile l'idea espressa nei testi di Qumran secondo i quali alcuni esseri fossero creati «nell'iniquità». Di fatto, sottostante alla domanda dei discepoli vi è la mentalità che associava la sofferenza alla colpevolezza, tema che si trova criticato anche nel libro di Giobbe.
Costui si dichiara innocente davanti a Dio e preferisce lasciarsi avvolgere dal mistero di Colui che conosce come fedele fino in fondo. E' lo stesso atteggiamento che Gesù propone davanti agli uomini che morirono per la crudeltà di Pilato o per il crollo della torre di Siloe (Lc 13,1-5).
3 Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Gesù dunque non avalla la teoria popolare, ma al tempo stesso non cerca di dare una spiegazione sull'origine del dolore innocente. Con la sua spiegazione non afferma la necessità della cecità dell'uomo per manifestare la potenza di Dio. Egli fa solo un'anticipazione del miracolo che sta compiendo e del valore che vuole dare a questo gesto.
4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire.
Sorprende l'uso di questo "noi". La comunità di Giovanni evidentemente si sentiva incaricata di continuare l'opera di Gesù sulla terra. Gesù precisa che deve agire "finché è giorno", cioè per quanto dura il suo itinerario terreno, fino alla notte, cioè alla sua morte. Questa risposta rievoca l'affermazione "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (5,17), viene giustificato così anticipatamente il suo lavorare in giorno di sabato.
5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo".
Dio interviene nel mondo mediante la luce che irradia il Figlio, attratta dal termine "giorno" ritorna l'affermazione "io sono la luce del mondo", di 8,12. Il miracolo spiega questa affermazione di Gesù. Esso manifesta l'efficacia della luce, la presenza di Gesù. Ma su quale tenebra egli trionfa?
La tenebra in cui si trova il cieco nato non proviene dal peccato, quindi non è segno della condizione peccatrice dell'umanità. La sua tenebra è piuttosto figura della situazione in cui si trova ogni uomo prima di essere illuminato dalla rivelazione del Figlio. Nel Prologo Giovanni ha definito il Verbo come la luce che brilla nelle tenebre (1,5). Qui presentando il cieco nato, sembra risalire a questa immagine. Il cieco non chiede la guarigione, è un cieco nato, non può domandare ciò che ignora. Così l'umanità avvolta nelle tenebre non ha invocato Dio. E' stato Lui stesso a venirle incontro.
6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
Il modo con cui Gesù opera la guarigione è stato sottoposto a numerose interpretazioni. Sant'Ireneo di Lione (padre della Chiesa vissuto nel II secolo d.C.) ha suggerito che questo gesto dell'impastare il fango ricorda quello della creazione dell'uomo da parte di Dio raccontato nel libro della Genesi: questo ricorrere al fango di Gesù sarebbe dunque il perfetto compimento della creazione primitiva, in vista della nascita dell'uomo perfetto, cioè il credente.
7 e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Dando l'ordine di andare a Siloe, cioè all'Inviato che è Gesù stesso, Gesù manifesta che la sua missione è quella di liberare l'uomo dalle tenebre. Solo a Siloe il fango cade e il cieco nato acquista la vista.
La piscina di Siloe, a sud-ovest della città vecchia di Gerusalemme, si trovava allo sbocco di un tunnel fatto costruire da Ezechia (verso il 704 a.C.) per portare le acque del torrente Ghicon all'interno di Gerusalemme.
Secondo il rito della festa delle Capanne, che aveva un significato messianico, una processione veniva solennemente ad attingere acqua in questo che era l'unico serbatoio della città; si onorava così la dinastia davidica di cui tale piscina era diventata un simbolo, da quando Isaia aveva rimproverato il popolo di disprezzare queste acque, cioè il re discendente di Davide (Is 8,6). Questi dati biblici formano lo sfondo dell'identificazione che il narratore fa tra Siloe e l' "Inviato". Ancora una volta la tradizione giudaica trova il suo compimento nella persona di Cristo.
Il cieco obbedisce senza discutere agli ordini di Gesù. Poi torna "vedendoci". Non è spiegato ulteriormente come fosse avvenuto il miracolo.
8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: "Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?".
Come avviene di solito nel vangelo di Giovanni, il segno è debitamente costatato da persone estranee all'avvenimento. I segni compiuti da Gesù provocano un'opzione che impegna di fronte al mistero significato dal prodigio. Qui è la gente del posto che incontrando il miracolato non crede ai propri occhi e manifesta opinioni contrastanti. Il richiamo al passato "era seduto e mendicava", dà ulteriore rilievo al cambiamento avvenuto.
9 Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma è uno che gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io!".
Dicendo "io sono", l'ex-cieco conferma la sua identità. Le parole "io sono" hanno un significato molto forte.
Sono la manifestazione di Dio a Mosè dal roveto ardente. Sono poste spesso in bocca a Gesù nel vangelo di Giovanni. Alcuni studiosi hanno suggerito che queste parole dette dall'ex-cieco rivelino che ormai lui e Cristo formano una cosa sola. Forse l'affermazione è troppo forte. Certo resta la forza di questa affermazione. L'ex-cieco non si nasconde.
10 Allora gli domandarono: "In che modo ti sono stati aperti gli occhi?".
Stabilito il fatto e l'identità dell'uomo è necessario comprendere il "come" questo sia accaduto. Il "come" continua a ripetersi all'interno del racconto, provoca una molteplice ripetizione della risposta creando un effetto letterario di insistenza, che si addice alla straordinarietà dell'evento.
11 Egli rispose: "L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista".
Il miracolato non parla della saliva di Gesù, dunque il miracolo è da ascrivere soprattutto al fango e al lavaggio nella piscina di Siloe su comando di Gesù. Per dire che ci vede, l'uomo usa il verbo anablépo, qui e in 9,15. 18. Questo verbo indica in Mt 14,19 che gli occhi sono alzati verso il cielo e in At 22, 13 significa che gli occhi sono alzati verso qualcuno. Qui il verbo suggerisce che il miracolato guarda verso Colui che al termine del racconto egli "vede" (heoraka) con una fede perfetta (9,37). Per il momento non conosce ancora Gesù, se non di nome.
12 Gli dissero: "Dov'è costui?". Rispose: "Non lo so". 13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco:
L'ex cieco ignora dov'è l'uomo che l'ha guarito. Anche lui anche se ha acquistato la vista, dovrà fare un cammino alla scoperta di Gesù e verso la sua professione di fede. Ora che il prodigio è stato costatato è opportuno sottoporlo ai responsabili della Sinagoga, cioè ai farisei. Questi realizzano una regolare inchiesta: interrogano il miracolato due volte, convocano anche i suoi genitori.
I farisei (termine che significa separati) erano dei laici i quali, al tempo dei Maccabei, si erano opposti all'ellenizzazione della Giudea e tendevano a realizzare l'ideale di santità richiesto a Israele. Da qui il loro studio della Legge e la cura di insegnarla al popolo, con cui (a differenza dei sadducei) si mantenevano in contatto. Esperti della tradizione orale essi cercavano di rendere praticabili alla gente le esigenze della Legge nella vita quotidiana.
Dopo la distruzione del tempio, avvenuta nel 70 d.C, il gruppo dei farisei finì con l'identificarsi con il potere della nazione giudaica e la loro ortodossia divenne intransigente. Gesù di Nazareth ebbe tutto sommato delle relazioni positive con i farisei del suo tempo. Il quadro qui presentato riflette soprattutto la situazione al tempo in cui scriveva Giovanni, segnato dal conflitto tra Chiesa e Sinagoga, principalmente a causa della pretesa che Gesù fosse il Messia e il Rivelatore escatologico.
14 era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo".
16 Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri invece dicevano: "Come può un peccatore compiere segni di questo genere?". E c'era dissenso tra loro.

La perplessità dei farisei è reale. Dt 13,1-6 esigeva che chi compisse prodigi fosse condannato nel caso in cui incitasse il popolo a disprezzare la legge divina. In questo caso l'infrazione del sabato poteva squalificare il taumaturgo.
17 Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!".
L'ex-cieco riconosce Gesù come un profeta. Non sembra essere un titolo di portata messianica, indica piuttosto (come in altri passi dei vangeli) un uomo di Dio fedele alla sua missione. Anche la Samaritana aveva riconosciuto Gesù come un profeta.
18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?". 20 I genitori di lui risposero: "Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé".
L'ex-cieco è in età di testimoniare validamente. Questo avveniva all'età di tredici anni e un giorno.
22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età: chiedetelo a lui!".
Questo riferimento all'espulsione dalla sinagoga è un anacronismo. Certo Gesù nei sinottici aveva preavvertito i discepoli che sarebbero stati espulsi dalle sinagoghe, ma questo di fatto avvenne solo nel 90 d.C. dopo il raduno di Jamnia, in cui furono prese decise misure contro gli "eretici", cioè i cristiani. La messa al bando dalla società giudaica aveva delle conseguenze molto gravi per l'individuo e la sua famiglia.
Il termine "confessare che Gesù è il Cristo" è un a formulazione propria del linguaggio della Chiesa. La troviamo in Rm 10,9.
24 Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore".
I farisei scongiurano l'ex-cieco di dare gloria a Dio, cioè di dire la verità riconoscendo che Gesù è un peccatore, perché aveva infranto la Legge.
25 Quello rispose: "Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo". 26 Allora gli dissero: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?". 27 Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?". 28 Lo insultarono e dissero: "Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia". 30 Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Il tema dell'origine di Gesù è molto presente nel vangelo di Giovanni. Il miracolato non si sorprende più del miracolo di cui è stato protagonista, ma del fatto che le autorità non sappiano da dove venga Gesù.
31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.
L'ex-cieco si dimostra istruito nella Legge, e ha anche un bel senso dello humor, quando usando le stesse parole dei farisei (noi sappiamo) esprime un principio stabilito dalla Scrittura: Dio non esaudisce i peccatori.
L'ex-cieco della Legge ha colto l'essenziale: tutto dipende dal compimento della volontà divina.
33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". 34 Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?". E lo cacciarono fuori.
In questo racconto Giovanni mostra i farisei divisi e nel tentativo di negare il fatto; poi, sempre meno sicuri di sé, trincerati nella loro "verità"(Dio ha parlato a Mosè); infine, ridotti all'argomento di autorità e all'uso della forza. Ciò facendo si condannano da sé (9,39-41).
Il loro itinerario è simmetrico in senso inverso a quello del miracolato che progredisce dalla costatazione del miracolo alla difesa del suo autore.
Giovanni mostra di fare uso di ironia. Egli usa spesso il termine "sapere" (oîda). Tramite questo termine si fa sentire la tensione tra la Sinagoga e la Chiesa: la prima, forte delle sue certezze, le ribadisce con la ripetizione del "noi". La seconda le contrappone un sapere più radicale che non può essere superato (9,31, l'ultima volta in cui si usa il verbo "sapere").
Giovanni pensa ai farisei del suo tempo e procede con tutta evidenza alla rilettura dell'avvenimento. Noi che leggiamo dobbiamo quindi valutare se l'atteggiamento dei farisei non sia anche il nostro, soprattutto se siamo persone che esercitano una qualche autorità. In presenza dei fatti, un sapere troppo sicuro di se stesso rischia di non trovare altra via d'uscita che nell'abuso del potere, se non nella malafede.
35 Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: "Tu, credi nel Figlio dell'uomo?".
L'episodio non poteva terminare con la semplice espulsione dell'ex-cieco dalla sinagoga. Egli doveva almeno entrare in dialogo con colui che lo aveva guarito. Gesù lo trova di nuovo e lo interroga in modo personale, come sottolinea il "tu" enfatico. Nel primo loro incontro non c'era stato dialogo, ma un gesto e un ordine, al quale il cieco nato aveva risposto eseguendolo. Ora Gesù gli pone una domanda che grammaticalmente richiede una risposta positiva.
Qui si trova per l'unica volta nei vangeli l'espressione "credere nel Figlio dell'uomo". Forse questo titolo è stato suggerito dal tema del giudizio che si trova nel versetto 39: secondo la tradizione giudaica di Daniele, la figura del Figlio dell'uomo è quella del giudice escatologico (Dn 7,13). Però questo elemento del giudizio si trova poco nel vangelo di Giovanni. E' meglio vedere il riferimento al Figlio dell'uomo come a un termine che suggerisce il mistero di Cristo nel suo complesso, nella sua portata salvifica.
36 Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". 37 Gli disse Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te".
Sorretto dalla sua formazione giudaica, l'ex-cieco aveva riconosciuto attraverso il segno Gesù come un profeta e un uomo che veniva da Dio; ora è chiamato a credere al Figlio dell'uomo. La sua domanda mostra che egli non ne conosce l'identità, ma anche il suo desiderio di scoprirla. Egli intuisce che Gesù dopo avergli aperto gli occhi, gli propone un'adesione a lui che è sorgente di vita.
In armonia con la simbolica del vedere, Gesù non risponde "sono io" come ha fatto con la Samaritana, ma gli dice "Tu lo vedi", questo verbo vedere è diverso dai precedenti, significa una vista più profonda, quella della fede.
Gesù aggiunge: "colui che parla con te è lui", come per la Samaritana (Gv 4,26). La visione viene così abbinata alla parola. Tutto il racconto è strutturato dal rapporto dei due elementi parlare/vedere, dei quali il principale è la parola. Infatti se il cieco non avesse ascoltato Gesù non avrebbe compiuto gli atti che ne hanno segnato la guarigione. Inoltre la costatazione del miracolo non è stata sufficiente ai presenti. C'è voluta l'attestazione da parte dei farisei, la quale a sua volta ha avuto bisogno della testimonianza dei genitori. Alla fine il miracolato riconosce chi è il suo salvatore grazie al dialogo in cui Gesù si rivela. E' la Parola il dono per eccellenza, quello che permette all'uomo di passare dalla tenebra originaria alla luce divina.
38 Ed egli disse: "Credo, Signore!". E si prostrò dinanzi a lui.
Il cieco-nato divenuto credente percepisce il Signore nella sua fede, "crede" senz'altra precisazione, ma compie un gesto con cui rende gloria a Dio in un altro senso rispetto a quello che gli avevano chiesto i farisei (9,24). Il verbo prostrarsi acquista il senso forte di adorare Dio stesso.
39 Gesù allora disse: "È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi".
In questo versetto Gesù pronuncia una condanna verso i farisei che, gonfi del loro sapere avevano escluso ogni eventualità che Gesù potesse essere un uomo di Dio. Il termine giudizio (krima) fa una distinzione tra due azioni opposte: divenire vedente o divenire cieco. Tra i ciechi che vedono c'è il cieco nato. Tra i vedenti che diventano ciechi ci sono i farisei. Ovviamente ci si riferisce al vedere spirituale, come già negli scritti dei profeti.
40 Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo ciechi anche noi?".41 Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane".
Gesù precisa il suo messaggio ai farisei che si sentivano chiamati in causa. Egli dice: «Voi siete ciechi perché pretendete di essere vedenti», ma lo esprime in maniera indiretta, per invitare a una presa di coscienza, a mutare atteggiamento. Se foste ciechi desiderereste la luce, allora non avreste alcun peccato. Voi siete in stato di peccato perché con il vostro sapere del tutto irrigidito che vi impedisce di vedere, non lasciate il minimo spiraglio all'iniziativa di Dio e al suo dono.
Dicendo queste cose Egli esercita il krima, il giudizio, la discriminazione tra gli uomini. Essendo la luce, egli svela il fondo dei cuori. Giovanni non conosce altro peccato che il rifiuto della luce.
Gesù non condanna i farisei, li avverte affinché prendano coscienza del rischio cui si trovano di fronte, ora che è apparsa la luce dall'alto, per la salvezza che Dio prepara.
Meditatio
- Quali sono gli atteggiamenti del cieco-nato che lo hanno portato a vedere e a credere?

- Mi è mai capitato di rendermi conto che il mio atteggiamento era quello di un cieco, che non si rendeva conto di determinate situazioni? Chi mi ha aperto gli occhi?

- In cosa la parola e l'esempio di Gesù mi possono rendere vedente?

 

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