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TESTO Commento su Es 34,1-10; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59

don Raffaello Ciccone  

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III domenica di Quaresima (Anno A) (23/03/2014)

Vangelo: Es 34,1-10|Gal 3,6-14|Gv 8,31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 8,31-59

31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Esodo 34, 1-10
Mosè sale sul Sinai una seconda volta. La prima volta ha ricevuto da Dio le tavole dell'alleanza, le "dieci parole" che debbono definire completamente l'adesione, la fedeltà e la conferma della preferenza di Dio per questo popolo.
Ma il ritorno è stato disastroso. Mosè ha scoperto il tradimento del suo popolo, l'idolo: il vitello d'oro, fabbricato con l'oro di famiglia portato dall'Egitto, il totale abbandono del Dio del Sinai e della liberazione.
E' vero che il Signore stesso dice a Mosè mentre è sul monte: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, rifiutando di tradire il suo popolo. E il Signore ha desistito. Così Mosè è ancora invitato da Dio (Es. 34,4-10) a ritornare sul monte. Dio ancora accetta di scrivere una seconda volta la legge, ma le nuove tavole di pietra debbono essere preparate da Mosè stesso: la legge nasce e si propone in collaborazione.
Qui avviene la rivelazione sorprendente di Dio. Dio non è astratto, non è un oggetto ma è una persona in relazione con Mosé e quindi con il popolo. Qui Dio si esprime con cinque aggettivi, cinque nomi che si possono sintetizzare così: "Compassionevole, clemente, paziente, misericordioso e fedele". Dio esprime la sua bontà e la sua tenerezza verso coloro che chiama. È un Dio che si svela come accogliente e misericordioso e desidera essere conosciuto, capito, accolto così, con fiducia, nella propria vita. Poiché è Compassionevole, si lascia coinvolgere nell'intimo dalla vicenda umana, poiché Clemente è disposto a chinarsi sull'uomo, poiché è Paziente sa attendere e non è facile all'ira, ama ogni persona in modo sovrabbondante e non viene mai meno.
L'ebreo osservante recita ogni giorno i versetti 6-7, definiti "i 13 attributi di misericordia". I rabbini garantiscono che questa preghiera avrebbe portato nel cuore dei fedeli il perdono per i peccati da parte di Dio. E se pur ci deve essere un rapporto tra misericordia e giustizia, il perdono sta come 1000 a 4.
Rincuorato, Mosè riprende la sua preghiera di intercessione: "Il Signore cammini in mezzo a noi, che perdoni la nostra colpa e ci faccia sua eredità ".
Mosè si sente mediatore fino in fondo e sceglie la solidarietà del suo popolo, a somiglianza di Gesù che ha preso sulle sue spalle il peccato del mondo.
Galati. 3, 6-14
Paolo rivendica la sua qualità di evangelizzatore perché, al pari degli apostoli, è stato lui stesso chiamato dal risorto ad annunciare il Vangelo. Purtroppo, dice Paolo, da parte di battezzati provenienti dal giudaismo e quindi molto legati alla fede mosaica, si insiste che un vero cristiano, per ottenere la salvezza, deve osservare ancora la legge mosaica. Paolo si preoccupa, invece, e deve sforzarsi molto per convincere i cristiani che sono sufficienti la grazia e la legge che vengono da Gesù: questa è la sua fede. Paolo predica il Vangelo di Gesù il quale solo può dare garanzia di salvezza perché si appoggia alla fede nel Figlio di Dio.
Ci si salva mediante la fede e non attraverso le opere.
Abramo ebbe fede e gli fu accreditato come giustizia (Gen 15,6). Perciò tutti i credenti, i pagani compresi, che abbiano accettato Gesù sono liberi dalla legge e accolgono nella fede la liberazione. Il linguaggio di Paolo è particolarmente ricco di citazioni e, come ogni buon rabbino, utilizza la Scrittura per dimostrare ciò che sta affermando. Infatti da una parte si rende conto dell'impossibilità di obbedire strettamente alla legge e dall'altra parte si ritrova come una condanna: "Chi non fa tutto quello che è prescritto nel libro della legge incorre nella maledizione" (Deut. 27,26). Chi ci salva è Gesù, mandato del Padre per strapparci dalla maledizione della morte. Solo Gesù, inviato dal Padre, può salvare e solo Gesù, il redentore dei maledetti. Si è fatto egli stesso maledetto poiché è stato confitto in croce (nella sensibilità ebraica i crocifissi sono maledetti). "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno (Deut. 21,23)".
Gesù, morto e risorto, recupera ogni benedizione per tutti poiché in lui, maledetto, si è consumata la morte. La risurrezione è il nuovo mondo in cui Dio esprime le promesse, lo Spirito, la fede.
Giovanni 8, 31-59.
Il testo di Giovanni è molto complesso poiché risente delle grandi polemiche, delle perplessità e dei drammi che portano allo scoperto la responsabilità dei puri e dei colti, l'ambiguità della loro fede, l'ideologia dominante dei perfetti, il rifiuto di mettersi in discussione.
Si appoggia su un confronto terribilmente alto: tra Gesù ed Abramo (che qui è ricordato 8 volte). Il testo, così come viene presentato, offre alcune difficoltà interpretative. Tutta la polemica, ad esempio, non coinvolge «quei Giudei che gli avevano creduto» (8, 31). Ma la violenta requisitoria che segue, fino alla fine del capitolo, si rivolge alle autorità giudaiche, ostili a Gesù.
E' un dialogo terribile tra la rabbia degli interlocutori che si sentono sbugiardati e totalmente in balia della menzogna e Gesù che li affronta a viso aperto. Egli afferma persino che Abramo ha visto il suo tempo e se n'è rallegrato. Deve essere suonata come pazzia pura ma anche lucida e blasfema.
Il primo tema è la verità e quindi la libertà che passa attraverso la verità.
Conoscere la verità significa conoscere la volontà di Dio sull'uomo, così come ci è stata trasmessa da Cristo. Conoscere, per gli ebrei, è accoglierla in modo che dimori stabilmente in ciascuno di noi. E' il principio di vita morale: noi «camminiamo» (= viviamo) secondo le sue direttive, noi «facciamo la verità». La nostra identità è quella di essere a immagine di Dio e quella di vedere nel volto dell'altro la stessa nostra dignità: e insieme siamo chiamati a ricercare, operare, costruire, pur faticosamente e spesso confusamente, eppure sempre alla ricerca dei segni e della pienezza di Dio. Dalla verità, in controluce, si gioca la libertà e la schiavitù. E' un tasto drammatico poiché Dio stesso ha amato la libertà per il suo popolo. Parlare di schiavitù agli ebrei significa non essere più nel popolo salvato,
essere decaduti e traditi dalle proprie mani. Gesù il Figlio, in comunione con il Padre e perfettamente libero, è Lui che ora può rendere liberi uomini, fatti schiavi dal male e dal peccato. Ma essi debbono credere in Lui ed essere fedeli alla sua Parola.
Non solo coloro che gli si oppongono non assomigliano ad Abramo e non sono suoi figli, ma sono figli di prostituta. I profeti hanno rimproverato il popolo di Dio di infedeltà. (cf.Os 1,2) e i suoi interlocutori hanno capito benissimo. "Non siamo nati da prostituzione" poiché protestano la loro fedeltà al Dio dell'alleanza.
Tutto il brano risente di ingiurie. L'ultima ingiuria che scagliano contro Gesù è quella di essere samaritano cioè eretico e di essere indemoniato. Gesù afferma: "In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». (8, 51). E questa affermazione fa giungere al parossismo. E tuttavia Gesù rivendica la sua conoscenza del Padre: "Ma io lo conosco e osservo la sua parola" (8, 55). Nella esasperazione c'è la domanda ovvia: "Ma tu chi credi di essere?" (8,53). La risposta che conclude questa polemica arroventata pone una risposta assolutamente assurda per loro: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». (8, 58) Gesù afferma di non essere solo il Messia, ma di essere il vero Figlio di Dio che esiste ancor prima di Abramo, eterno come il Padre. "Io sono" nel Primo Testamento è il nome di Dio e significa che Egli è sempre vicino al suo popolo con una presenza misteriosa e salvatrice. Egli è entrato nella storia per salvare gli uomini. E questo si rivelerà soprattutto nel momento della massima umiliazione perché è la prova di aver amato fino alla morte. E' la prova che Dio ama ogni persona fino all'assurdo, nella morte del Figlio davanti a cui Dio non reagisce e non si vendica. A questa mancanza di accoglienza che disorienta corrisponde la volontà di voler la morte di Gesù.
Gesù ha scacciato dal tempio la gente perché profana la casa del Padre (2,15). Adesso il Padre non è più nel tempio che è occupato da assassini e bugiardi e perciò Gesù esce dal tempio.

 

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