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TESTO Commento su Is 58, 4b-12b;2Cor 5, 18 - 6, 2;Mt 4,1-11

don Raffaello Ciccone  

I domenica di Quaresima (Anno A) (09/03/2014)

Vangelo: Is 58, 4b-12b|2Cor 5, 18 – 6, 2|Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,1-11

1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Isaia. 58, 4b-12b
La pratica del digiuno si sviluppa in molti popoli come segno di supplica e ricerca di misericordia da parte di Dio in condizioni di pericolo o di sofferenza. Al digiuno si accompagnano preghiere, suppliche, atteggiamenti di povertà e gesti di miseria: abiti strappati, cenere sul capo, camminare scalzi e dormire per terra.
Il popolo è tornato da Babilonia con grandi sogni, sostenuto dalle profezie di profeti che garantiscono bellezza, ricchezza, pace e armonia. Siamo nel secolo V. Ha iniziato con entusiasmo e speranza, ma poi si ritrovano con la miseria, con lotte fratricide, con autorità costituite da arrivisti e da sfruttatori.
E se questo popolo h nella memoria il valore della preghiera, delle suppliche e delle grida di dolore degli ebrei schiavi in Egitto che il Signore sente e lo commuove fino a liberarlo, oggi non vale più nulla ed il Signore non sa ascoltare. "Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero" (Es 2,23).
La verifica di questa miseria, insieme all'ingiustizia che subisce, scoraggia il popolo nella sua fiducia e fa pensare all'inutilità. Fino al punto di dover dire: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?» ( Is 58,3).
La risposta del profeta diventa sonora risposta del cuore di Dio. "Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso" (Is 58,3-4). La risposta è un capolavoro morale di altissima fattura. In pratica si suggeriscono due dimensioni per un confronto con l'ingiustizia: adoperati per liberare ogni persona e cerca di capire e soddisfare i suoi bisogni essenziali. In altri termini la libertà ed il pane. Non basta solo la libertà. Se non c'è pane (e il pane suppone il lavoro, non tanto l'elemosina), da sola non permette una dignità poiché alla ricerca del pane c'è il rischio che ci si venda come schiavi; e, nello stesso tempo, il solo pane non è sufficiente per trovare la libertà. I beni dell'uomo sono insieme libertà e possibilità di vita. La possibilità di vita è riassunta nel cibo, nella casa e nel vestito a cominciare dall'attenzione a coloro che ci sono vicini (e che significa la condivisione). La "luce" è il benessere materiale e morale e la "gloria" richiama la costante protezione divina. Il risultato si rispecchierà nella bellezza di una nuova creazione con il giardino delle delizie e la sorgente che non inaridisce, mentre si trovano risorse e coraggio di ricostruire la città di Dio, la nuova Gerusalemme.
2 Corinzi. 5, 18 - 6, 2
Il testo che leggiamo ci presenta un richiamo importante per la Quaresima. Essa è un tempo particolarmente favorevole: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" Con il brano di Isaia (49,8), che ricorda l'invito a sperare nel ritorno a Gerusalemme nel secolo V, Paolo incoraggia ad accogliere il tempo della riconciliazione come il grande tempo della pacificazione con Dio che già ha avuto inizio con la morte e la risurrezione di Gesù e che continua per tutta la durata della evangelizzazione. Ci sono state incomprensioni con alcuni della Comunità di Corinto per cui Paolo è stato accusato di non portare il vero messaggio di Gesù, non avendolo conosciuto nella carne (5,16). Non ha valore averlo o non averlo conosciuto alla maniera umana, dice Paolo. Gesù è morto per amore e "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio". Ora che tale ambasciatore non è più sulla terra, ci ha lasciato il suo esempio e la sua garanzia; il suo ruolo è svolto dai ministri del Vangelo. Noi siamo ambasciatori di questa riconciliazione, ambasciatori, collaboratori e possiamo portarvi il messaggio vero che ci investe in una vita nuova con Dio. Così anche Cristo ha supplicato l'umanità di lasciarsi riconciliare e ora attende e la supplica risuona della predicazione apostolica. Riconciliarsi, così, è abbandonare il male, il peccato, l'ambiguità e la chiusura di cuore, ricercare la fede in Gesù per aprire gli occhi sul suo stile di vita e le sue scelte. Rintracciare la fiducia in lui ci offre la vita nuova e ci apre orizzonti di pace e speranza. Così vale anche per il mondo che cerca il Signore e soffre di solitudine e di desolazione.
Riconciliarsi significa ricostruire rapporti di fiducia e ricercare sentimenti di fedeltà al Signore che ci chiama a portare la sua parola e le sue scelte.
Riconciliarsi suppone cercare la giustizia nel mondo che è la porta alla pace e che è molto più dell'elemosina: accogliere ogni persona con rispetto, senza strumentalizzarla o servirsene.
Matteo 4,1-11
Le tentazioni di Gesù (4,1-11) sono il terzo episodio che Matteo presenta nel racconto della predicazione di Gesù adulto nel popolo d'Israele. Prima viene l'incontro con Giovanni Battista (3,1-12), poi il battesimo di Gesù (3,13-17), e quindi il periodo del deserto con le tentazioni. Gesù, a modo suo, trova ostacoli sia da parte di Giovanni Battista (3,15) sia da parte del tentatore (4,11): il testo greco usa la stessa parola che però, nella traduzione, si diversifica: "Giovanni acconsentì" e "il diavolo lo lasciò". Gesù, di fronte a tutti, deve imporre una sua nuova visione messianica in obbedienza alla piena volontà di Dio e alla sua giustizia che non viene accettata, neppure da chi gli sta vicino..
Gesù è solidale con l'umanità peccatrice, sia mettendosi in fila con tutti gli altri peccatori che ricercano il perdono, anticipando così l'immagine del "servo sofferente" (Isaia), sia accettando il digiuno come tempo di accoglienza del progetto di Dio e di preghiera per prepararsi alla sua missione.
Dopo 40 giorni e 40 notti, si dice, "Gesù ebbe fame".
È il momento della debolezza che diventa anche il momento della tentazione. E' lo Spirito che introduce Gesù nella prova, non è Gesù che la cerca. Corrisponde alle ultime richieste nella preghiera del "Padre nostro": "non ci indurre nella tentazione ma liberarci del male" (6,13). Qui Matteo sintetizza le tentazioni che Gesù deve affrontare in tutta la sua breve prossima vita, prima della morte. Satana, infatti, si oppone alla scelta di salvezza che Dio porta e vuole distogliere Gesù dalla via che il Padre gli ha assegnato ("un messianismo sofferente"), suggerendo la via della passionalità, del successo, del potere.
Gesù resta turbato poiché come uomo non può restare indifferente davanti alla prospettiva di rifiuto, di abbandono, di annientamento e di morte che si profila, ma sa opporsi alla tentazione, appoggiandosi alla Parola di Dio (ripetuta tre volte) e tutte le tre volte Gesù nomina il nome di Dio. Dio è la fonte e la garanzia. Così Gesù non risponde con argomentazioni o ragionamenti ma con "Sta scritto". Il ricorso alla Scrittura, in genere, è argomento decisivo per ogni discussione tra i rabbini. I testi che vengono citati sono tratti dal libro del Deuteronomio: * "Non di solo pane" (vedi Deut 8,3): alla tentazione della fame, comprensibile nel deserto, Gesù offre la ferma fiducia che hanno i figli di Dio nell'onnipotenza provvidente della sua Parola.
* "Non tenterai" (Deut 6,16): dalla mancanza di fiducia nella Provvidenza il tentatore passa al lato opposto, suggerendo una eccessiva fiducia in Dio, tale da metterlo alla prova, (severamente condannata nella Bibbia). Gesù sa di dover rispondere, lui stesso, ogni giorno, con la propria responsabilità e libertà.

* "Adorerai" (Deut 6,13): il tentatore vuole indurre Gesù ad un messianismo terreno, ma Gesù richiama il grande principio della fede ebraica che riconosce solo a Dio il culto, come unico sovrano del mondo e unico Signore. E tuttavia, dopo la risurrezione, Gesù diventerà autorità universale per tutte le nazioni, ma in termini completamente diversi: non sarà dominio ma amore e servizio per la felicità di ogni persona (Mt 28,18-20).
In conclusione "gli angeli lo servirono". Gli angeli sono simbolo della riconquista del Paradiso terrestre da cui l'uomo è stato cacciato, sono il premio per la fedeltà alla Parola del Signore. Qui, servire significa: lo sfamano, lo proteggono, lo riconoscono Signore del mondo. Gesù è veramente tentato tutta la sua vita ed ha superato la suggestione, diventando finalmente il nuovo Adamo. Ed è anche il nuovo Mosé che accoglie la sapienza di Dio nel deserto mentre il popolo ne esce sconfitto dalle tre prove tipiche di Israele nel deserto: "la fame, la sete, l'idolatria".

 

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