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TESTO Discepoli di strada - Discepoli di casa

don Fulvio Bertellini

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/07/2004)

Vangelo: Lc 10,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,38-42

In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

La meta del cammino

Nella prima parte del viaggio verso Gerusalemme, il tema dominante è il cammino, la domanda di fondo: "chi è il discepolo che è in grado di camminare con lui, di preparargli la strada?", l'imperativo di fondo: "andate e annunciata". La domanda dello scriba, e la parabola del Buon Samaritano aprono un orizzonte diverso, centrato sui destinatari dell'annuncio, sulla meta finale del cammino. L'andare di Gesù ( e l'andare dei discepoli) non è un camminare a vuoto, ma ha una meta, un punto di convergenza: il suo termine è l'incontro, lo sbocciare della relazione, l'accoglienza, l'instaurarsi di un rapporto di amore.

L'amore concretizzato

Dopo la parabola, che aveva dato una prima risposta alla domanda "chi è il mio prossimo?", la storia di Marta e Maria dà la risposta basata sulla vita, sull'esperienza concreta e quotidiana. Chi sarà il prossimo di Gesù? Nella fattispecie, è questa donna che lo accoglie nella sua casa. Amare il prossimo come sé stessi può voler dire anche accoglierlo, rendersi disponibili a lui, senza grandi esteriorità.

L'accoglienza del Regno

L'accoglienza di Marta però non richiama soltanto il comandamento dell'amore, ma richiama anche le istruzioni date ai discepoli: "andate... dite: pace a questa casa... se vi accoglieranno, mangiate... curate... dite: è vicino a voi il Regno di Dio". E' interessante notare che in questo brano Gesù fa in prima persona ciò che poco prima è stato comandato ai discepoli, e che richiede una risposta da parte di Marta: a lei infatti Gesù non chiede di partire. Cosa che non chiede neppure alle varie città e villaggi dove passa. Non va a Gerusalemme reclutando le folle, né chiede a tutti di seguirlo. Dopo il suo passaggio, dovranno restare nelle loro case, con una consapevolezza nuova: "E' vicino il Regno di Dio". Abbiamo qui una diversa figura di discepolo: che (almeno esteriormente) non parte per le strade, ma resta nella sua casa. E la trasforma in luogo di ospitalità e di accoglienza del Signore.

Le nostre case

Salta agli occhi l'immediata attualità di questo mistero: Gesù che chiede di entrare, di essere accolto, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nei nostri luoghi di lavoro. La possibilità di essere discepoli anche lì dove siamo, nei nostri paesi e nelle nostre città. Il dono dell'ospitalità, che permette di amare Dio nel fratello incontrato, accolto, sostenuto. L'amore di Dio che si nasconde e si rivela nelle nostre relazioni familiari, nelle nostre amicizie... tuttavia un grave rischio incombe su tutti coloro che sono chiamati ad essere "discepoli di casa".

Contro l'affanno

La Parola di Gesù non è la semplice ratificazione dell'esistente. La presenza di Gesù non lascia intatti i rapporti familiari, non diventa approvazione di tutto ciò che facciamo; possiamo essere discepoli di Gesù anche lavorando, mettendo su famiglia, vivendo le nostre amicizie... ma non qualunque lavoro, non qualunque tipo di famiglia, non qualunque tipo di amicizia è automaticamente cristiano. Nel caso di Marta e Maria, la presenza di Gesù destabilizza i rapporti tra le sorelle, e mette in discussione l'affanno amorevole ma scomposto di Marta. Marta ha accolto l'ospite, ma non ha riconosciuto il Signore e Maestro. Riceve la sua presenza, ma non accoglie a fondo la sua Parola. E si lamenta della sorella, che non l'aiuta. Ama Gesù con tutte le sue forze: ma non con la sua mente e il suo cuore - e non ama nel giusto modo se stessa, perdendosi nell'affanno, quando "di una sola cosa c'è bisogno". E perdendo la misura con se stessa, non è in grado di accogliere né Gesù, né il prossimo, pretendendo che la sorella partecipi delle sue pene.

Accogliere con tutto il cuore

Maria invece si fa discepola di Gesù Scopre che non è un semplice bisognoso, ma qualcuno che ha qualcosa da donare, di estremamente serio e importante, e si fa sua discepola, gustando fino in fondo la sua presenza. Dall'accoglienza esteriore, all'accoglienza del cuore, l'accoglienza integrale. Questo passaggio è richiesto anche a noi, se veramente vogliamo essre discepoli nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro.

Flash sulla I lettura

"In quei giorni il Signore apparve ad Abramo alle querce di Mamre": è una specie di titolo, o di intestazione, o di introduzione al racconto. Il lettore sa già da subito che Dio si manifesta ad Abramo: non c'è dunque nessun effetto sorpresa. La dinamica del racconto si gioca dunque sulla non-conoscenza di Abramo, e il lettore sta a vedere se e come Abramo sarà capace di riconoscere la presenza di Dio nei tre misteriosi pellegrini che passano davanti alla sua tenda.

"... sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno": è un orario di quiete assoluta, in cui non è bene effettuare nessun lavoro, a causa del caldo, soprattutto per un vecchio quale è Abramo. Ma la sacralità della legge dell'ospitalità sconvolge la siesta di Abramo.

"...corse loro incontro": la fretta gioiosa dell'accoglienza domina la scena. Abramo corre incontro, mette fretta a Sara e ai servi, si impegna lui stesso nella scelta accurata del vitello; tutto ha un termine soltanto quando Abramo è "in piedi, presso di loro, sotto l'albero". Così si conclude la prima scena del racconto, ambientata sotto la "quercia di Mamre", e incentrata sull'ospitalità di Abramo. Tuttavia, né Abramo né Sara hanno compreso l'identità degli ospiti, né il segreto che nasconde la loro visita.

"E' là, nella tenda": la seconda parte del racconto (che non viene letta nella sua interezza, ha come centro di interesse Sara, e come luogo simbolico la tenda. Il passaggio dalla quercia all'interno della tenda sottolinea il passaggio dall'esteriorità all'interiorità, dall'ospitalità di Abramo alla rivelazione della misericordia di Dio, dall'accoglienza esteriore all'accoglienza piena del compimento della promessa. Abramo, che ha accolto gli sconosciuti stranieri, scopre in maniera di essere lui stesso ricercato e amato da Dio, che compie i suoi giuramenti.

Flash sulla II lettura

"Fratelli, sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi": più volte nelle lettere paoline ricorre il motivo della sofferenza apostolica, sia esterna (persecuzioni, naufragi, difficoltà economiche...), sia interiore (incomprensioni, rifiuti, divisioni, scandali...). La stessa idea è presente anche nei Vangeli (il "centuplo insieme a persecuzioni") e configura in maniera permanente ogni servizio apostolico: per essere veramente tale, non può essere esente da ostacoli. Da qui la gioia paradossale di Paolo: gioia che deriva dalla consapevolezza di essere al servizio di Cristo e dei fratelli.

"e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa": la costruzione della frase in italiano può risultare fuorviante, come anche l'espressione "patimenti di Cristo". Molti la intendono nel senso di un "completare la Passione": ma in realtà il mistero salfivico della croce e risurrezione è già completo, e non vi manca nulla. I "patimenti di Cristo" sono invece quelli sofferti dall'Apostolo a causa di Cristo, le persecuzioni subite a favore della Chiesa. Solo il rapporto vivo con Gesù crocifisso e risorto permette di risultare vincitori nella prova.

"... per rendere ciascuno perfetto in Cristo": ciò che manca, ciò che deve essere completato, non è dunque il mistero della salvezza, ma la sua comunicazione ad ogni uomo, la sua crescita in ogni persona. Dio affida alla comunità cristiana, soprattutto a chi svolge la missione apostolica, l'incarico di far crescere questa consapevolezza: incarico (Paolo lo chiama "ministero") che è fonte di gioia, ma che è anche sempre associato alla "tribolazione di Cristo", cioè sopportata per amore suo. Ma noi rigettiamo (giustamente) la sofferenza, tendiamo ad evitarla, e spesso confondiamo il successo pastorale con i riconoscimenti e le soddisfazioni. Spesso d'altra parte si giustificano i fallimenti in nome della croce, quando invece nascono soltanto dalla nostra insipienza. Deleterio infine è quando si accettano (o si impongono ad altri) sofferenze ingiuste, che nulla hanno a che vedere con la partecipazione al mistero di salvezza di Cristo. Si impone perciò un accurato discernimento: se non viviamo la tribolazione, è forse perché abbiamo annacquato il Vangelo? e le difficoltà che incontriamo, nascono dallo scandalo della croce, o derivano dalla nostra tiepidezza? e abbiamo in noi la gioia autentica, che permette di sopportare le asprezze del servizio apostolico?

 

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